La Direttiva U.E. 2024/1385 sulla lotta alla violenza sulla donna e alla violenza domestica

05 Settembre 2024

Il 14 maggio 2024, nel percorso virtuoso della “Strategia per la parità di genere 2020 – 2025” elaborata dalla Commissione dell'Unione Europea, volta a realizzare “un'Europa garante della parità di genere” nei settori di competenza dell'Unione, è stata approvata, dal Parlamento e dal Consiglio dell'Unione Europea, la direttiva (UE) 2024/1385 sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica, che è stata successivamente pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea in data 24 Maggio 2024 ed è entrata in vigore il 13 giugno 2024.

Premessa

La direttiva, approvata anche con il voto favorevole dell'Italia (nel Parlamento Europeo la direttiva è stata approvata con 522 voti a favore, 27 contrari e 72 astenuti) e che dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 14 giugno 2027 - attuando attraverso normative specifiche le indicazioni contenute nella direttiva - rappresenta un prezioso strumento programmatico di repressione, sensibilizzazione e prevenzione di un fenomeno di straordinaria attualità ed allarme sociale, quale quello della violenza di genere.

Al fine di raggiungere tale obiettivo, per la Commissione è essenziale individuare delle modalità di eliminazione delle disuguaglianze tra uomo e donna e per combattere la violenza di genere e le discriminazioni sessuali.

    

Nell'ambito della strategia si inserisce la direttiva in commento, che nasce da una proposta specifica della Commissione del 2022 e che:

  • ha lo scopo, che si evince proprio dal paragrafo § (1) del preambolo, di «fornire un quadro giuridico generale in grado di prevenire e combattere efficacemente la violenza contro le donne e la violenza domestica in tutta l'Unione. A tal fine essa rafforza e introduce misure in relazione a: la definizione dei reati e delle pene irrogabili, la protezione delle vittime e l'accesso alla giustizia, l'assistenza alle vittime, una migliore raccolta di dati, la prevenzione, il coordinamento e la cooperazione»;
  • è volta a tutelare «la parità tra donne e uomini e la non discriminazione» quali «valori e diritti fondamentali dell'Unione sanciti rispettivamente dall'articolo 2 del trattato sull'Unione europea (TUE) e dagli articoli 21 e 23 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea» (cfr. paragrafo § (2) delle premesse);
  • intende raggiungere tali obiettivi approvando «un complesso di norme che affrontino il problema persistente della violenza contro le donne e della violenza domestica in modo mirato e rispondano alle esigenze specifiche delle vittime di violenza» (cfr.  § (5) delle premesse).

L'avanguardia della normativa italiana

Dalla mera analisi delle premesse è possibile comprendere che l'Unione Europea ha il chiaro obiettivo – nei limiti della sovranità di ogni Stato – di fissare delle regole comuni da applicare uniformemente in tutti gli Stati Membri per poter concretamente combattere e soprattutto prevenire tali fenomeni.

In tal senso, ancor prima di esaminare il contenuto dell'atto, deve premettersi che la normativa italiana è, in questo caso, all'avanguardia, integrando la quasi totalità delle disposizioni presenti nella direttiva.

A tal proposito, si precisa infatti che con l'approvazione del c.d. “Codice Rosso” (l. 19 luglio 2019 n. 69), prima, con la legge 27 settembre 2021, n. 134, poi, e, da ultimo, con il cd. d.d.l. Roccella (l. n. 168/2023)  sono stati fatti dei passi da gigante nella repressione e prevenzione alla lotta contro la violenza di genere, introducendo nuove fattispecie di reato, prevedendo dei binari particolarmente rapidi per la fase delle indagini preliminari, garantendo un'effettiva tutela alle vittime dei reati, imponendo la valutazione dell'applicazione di una misura cautelare a tutela delle vittime di determinati reati e preoccupandosi anche della fase successiva alla condanna, prevedendo la subordinazione della sospensione condizionale della pena alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati.

Una normativa che dimostra l'attenzione del legislatore italiano verso un fenomeno di estrema rilevanza sociale e che consentirà un'agevole opera di integrazione e armonizzazione dei precetti individuati a livello comunitario nella direttiva del Consiglio e del Parlamento Europeo.

Nel lungo preambolo della direttiva in commento, composto da novantacinque paragrafi, sono state dettate “le basi” e i “princìpi” su cui si fondano le disposizioni divise in sette capi.

Di particolare rilievo, anche a livello “programmatico”, per quella che sarà l'attività di coordinamento della normativa nazionale da parte dei singoli Stati membri, sono le disposizioni presenti ai paragrafi:

  • § (6) che prevede che i singoli Stati debbano tenere in considerazione, ai fini della protezione e dell'assistenza delle vittime, quando i reati di violenza di genere si basino sulla discriminazione ex art. 21 della CEDU;
  • § (13) che pone particolare rilievo alla tutela dei minori vittime di violenza assistita;
  • § (15) e  § (16) in cui, pur premettendo che gli Stati sono liberi di determinare le forme e i mezzi attraverso cui raggiungere i risultati oggetto della direttiva – la cui applicazione è vincolante ai sensi dell'art. 288 del trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (TFUE) – il Parlamento e il Consiglio rappresentano la necessità di introdurre delle specifiche norme di diritto penale in tema di mutilazione genitale femminile e di matrimonio forzato, essendo delle forme radicate di violenza e di discriminazione che creano danni estremamente gravi nelle vittime. Fattispecie che sono state già da tempo introdotte nell'ordinamento italiano. In particolare, con la legge 9 gennaio 2006, n. 7 è stato introdotto l'art. 583-bis c.p. che punisce le “pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili”, mentre con la l. 19 luglio 2019 n. 69 (c.d. Codice Rosso) è stato introdotto il reato di “costrizione o induzione al matrimonio” all'art. 558-bis c.p.;
  • § (17) di grande rilevanza perché anticipa quelle che saranno le disposizioni in tema di reati perpetrati attraverso l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (“TIC”), su cui sono incentrate diverse disposizioni della direttiva tanto in tema di stalking online, di revenge porn (introdotto nel nostro ordinamento con la l. 19 luglio 2019 n. 69), di haters digitali, impartendo indicazioni anche ai fini della rimozione dei contenuti diffusi attraverso il web.

     

Nelle premesse, si rileva come sia «necessario prevedere definizioni armonizzate dei reati e delle pene inerenti a determinate forme di violenza online laddove la violenza sia intrinsecamente connessa all'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione («TIC») e tali tecnologie siano utilizzate per amplificare in modo significativo la gravità dell'impatto dannoso del reato, modificando in tal modo le caratteristiche dello stesso». Ciò in quanto, come evidenziato nel paragrafo (18), «l'uso delle TIC comporta il rischio di un'amplificazione facile, rapida e diffusa di alcune forme di violenza online, con l'evidente rischio di provocare o aggravare danni profondi e a lungo termine per la vittima. Il potenziale di amplificazione, presupposto essenziale di molti reati di violenza online definiti nella presente direttiva, dovrebbe corrispondere alla capacità di rendere certi materiali «accessibili al pubblico» tramite TIC»;

  • § (21), § (22) e § (23) che prevedono l'introduzione di una specifica fattispecie di “stalking online”, definita come una «forma moderna di violenza spesso perpetrata nei confronti di familiari, o persone che convivono con l'autore del reato, ma anche ad opera di ex partner o conoscenti» perpetrata attraverso «l'uso improprio della tecnologia per rendere più pressante un comportamento coercitivo e controllante, la manipolazione e la sorveglianza» che, in particolare, nella direttiva viene identificata come «la sorveglianza ripetuta o continua della vittima tramite TIC, senza il suo consenso o in assenza di un'autorizzazione legale (…)a cui può concorrere il trattamento dei dati personali della vittima, ad esempio appropriandosi della sua identità con il furto di password o atti di pirateria informatica sui dispositivi della vittima»;
  • § (30) sulle possibilità di sporgere denuncia online o tramite “TIC” con «modalità accessibili e sicure per denunciare la violenza contro le donne o la violenza domestica, almeno per quanto riguarda i reati informatici»;
  • § (37) nel quale si osserva che «le indagini o l'azione penale in relazione agli atti di stupro non dovrebbero essere subordinate alla querela o alla denuncia da parte della vittima o del suo rappresentante. Analogamente, il procedimento penale dovrebbe proseguire anche nel caso in cui la vittima ritiri la denuncia»;
  • § (51) sull'attenzione che deve essere riservata ai casi di vittimizzazione secondaria, molto più frequenti nei reati oggetto della direttiva, soprattutto quando perpetrati tramite “TIC”;
  • § (57) e seguenti in tema di assistenza specialistica per la vittima dei reati;
  • § (65) nel quale si punta l'attenzione sul tema delle molestie sul lavoro, specificando che «le molestie sessuali sul lavoro sono considerate una forma di discriminazione fondata sul sesso ai sensi delle direttive 2004/113/CE, 2006/54/CE e 2010/41/UE. Le molestie sessuali sul lavoro hanno conseguenze negative rilevanti sia per la vittima che per il datore di lavoro. Laddove tale condotta sia specificamente configurata come reato ai sensi del diritto nazionale, dovrebbero essere forniti servizi di consulenza interna o esterna sia alle vittime che ai datori di lavoro. Detti servizi dovrebbero comprendere informazioni su come affrontare adeguatamente i casi di molestie sessuali sul lavoro e anche sui mezzi di ricorso a disposizione per allontanare l'autore del reato dal luogo di lavoro»;
  • § (74) e (75) in tema di misure preventive e di sensibilizzazione alla violenza di genere e domestica, atte ad «impedire che si alimentino stereotipi di genere dannosi, in modo da sfatare l'idea dell'inferiorità della donna o scardinare i ruoli stereotipati di donna e uomo».

I sette capi della direttiva

Sulla base di tali princìpi che servono ad indirizzare concretamente l'azione degli Stati Membri – nel rispetto della loro sovranità nazionale e dello spazio lasciato dal legislatore europeo – volta ad armonizzare la normativa, si dipanano i sette capi in cui è suddivisa la direttiva.

    

Il primo capo, dedicato alle “disposizioni generali” è di grande interesse in quanto fornisce le definizioni di alcuni reati e il loro ambito di applicazione, specificando come la direttiva miri a:

  1. elaborare norme minime sulla definizione dei reati e delle sanzioni in materia di sfruttamento sessuale femminile e minorile e di criminalità informatica;
  2. tutelare i diritti delle vittime di tutte le forme di violenza contro le donne o di violenza domestica prima, durante e per un congruo periodo dopo il procedimento penale; 
  3. proteggere e assistere le vittime, svolgere attività di prevenzione e intervenire “precocemente” a tutela delle vittime che, all'art. 2, vengono definite come le «persone che, indipendentemente dal genere, ha subito un danno causato direttamente da violenza contro le donne, o violenza domestica, compresi i minori che hanno subito un danno perché sono stati testimoni di violenza domestica».

     

Per quanto concerne proprio le definizioni, particolare rilevanti sono quelle di: - “violenza contro le donne”, inquadrata come «qualsiasi atto di violenza di genere perpetrata nei confronti di donne, ragazze o bambine solo perché donne, ragazze o bambine, o che colpisce le donne, le ragazze o le bambine in modo sproporzionato, che provochi o possa provocare danni o sofferenza fisica, sessuale, psicologica o economica, incluse le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, nella sfera pubblica come nella vita privata»;

- “violenza domestica” definita come «qualsiasi atto di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica, consumato all'interno della famiglia o del nucleo familiare, indipendentemente dai legami familiari biologici o giuridici, tra coniugi o partner o tra ex coniugi o partner, a prescindere che l'autore di tali atti conviva o abbia convissuto con la vittima)».

    

Il secondo capo è incentrato sui reati di sfruttamento sessuale femminile e minorile e sulla criminalità informatica che, come evidenziato nelle premesse, è al centro di plurime disposizioni contenute nella direttiva.

Sotto il primo profilo, oltre a fornire definizioni sulle mutilazioni genitali femminili e sul matrimonio forzato, in linea con quelle delle normative interne e con quella italiana dettata dagli artt. 583-bise 558-bis c.p., di particolare interesse sono le disposizioni dettate dagli artt. 5, 6, 7, 8 e 9 in tema di reati perpetrati a mezzo “TIC”.

Nello specifico:

- l'art. 5, relativo alla «condivisione non consensuale di materiale intimo o manipolatorio» è estremamente importante, perché invita gli Stati membri a punire tali “condivisioni” indipendentemente dall'autore di tale produzione e dalla “finalità” di recare documento alla persona ripresa. L'unico discrimen preso in considerazione dalla norma è il consenso della persona oggetto di produzione e la potenzialità di un danno grave alla stessa.

In Italia il reato è stato introdotto dal c.d. “Codice Rosso” (l. 19 luglio 2019 n. 69) nel contesto di un intervento mirato ad arricchire il novero dei reati di violenza di genere e di adeguamento del contesto normativo alle nuove tecnologie, dimostrando grande attenzione per il fenomeno. L'art. 612-ter c.p. punisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato, al primo comma, «chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate», al secondo comma «chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento».

    

Inoltre la direttiva invita a punire anche:

  • le c.d. attività di deepfake, ovvero immagini manipolate, o alterate in modo tale «da far credere che una persona partecipi ad atti sessualmente espliciti»;
  • le condotte di chi minaccia di diffondere immagini private, o immagini oggetto di alterazione e/o manipolazione «al fine di costringere una persona a compiere un determinato atto, acconsentirvi, o astenersi dallo stesso»;

- l'art. 6, relativo allo stalking online, già esaminato in tema di premesse, invita gli Stati Membri a punire “come reato” le condotte intenzionali consistenti nel sottoporre ripetutamente o continuamente un'altra persona a sorveglianza tramite TIC, senza il suo consenso o autorizzazione legale, per seguirne o monitorarne i movimenti e le attività;

- gli articoli da 7 a 9, riguardano i casi delle molestie online, dell'istigazione alla violenza e all'odio online e dell'istigazione, favoreggiamento, concorso e tentativo relativo ai reati appena esaminati. In particolare, si cerca di creare un argine per tutti i messaggi di odio che, quotidianamente, vengono propalati sul web sia nelle forme di molestia, sia nelle forme di istigazione ad odio verso un determinato gruppo di persone, utilizzando strumenti informatici (TIC) che, molto spesso, consentono di “schermarsi” dietro un apparente anonimato.

Oltre ad invitare i paesi membri a punire tali condotte, l'art. 10 della direttiva traccia anche un paradigma sul quantum della pena che deve essere previsto per tali reati, specificando che «gli Stati membri provvedono affinché i reati di cui all'articolo 3 siano puniti con la reclusione non inferiore nel massimo ad anni cinque. 3. Gli Stati membri provvedono affinché i reati di cui all'articolo 4 siano puniti con la reclusione non inferiore nel massimo ad anni tre. 4. Gli Stati membri provvedono affinché i reati di cui agli articoli 5 e 6, all'articolo 7, primo comma, lettere a), b) e d), siano puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a un anno».

   

Il capo terzo è incentrato sulle modalità di protezione delle vittime e di accesso alla giustizia.

In particolare, nell'art. 14, come già osservato in sede di premessa, la direttiva invita gli Stati a creare dei canali di segnalazioni e denunce  online che consentano anche di presentare elementi di prova, a far accedere le vittime di violenza al patrocinio a spese dello Stato (nel nostro ordinamento previsto dall'art. 76 comma 4-ter d.P.R. n. 115/2002), nonché facilitare le segnalazioni alle autorità competenti di atti di violenza, di cui terze persone siano a conoscenza o abbiano sospetti, con particolare tutela nei confronti dei minori, vittime di violenza o denuncianti.

L'art. 15 reca le disposizioni per lo svolgimento delle indagini e l'esercizio dell'azione penale, affinché i soggetti responsabili abbiano le necessarie competenze e sia consentita la più celere trattazione dei procedimenti anche ai fini dell'adozione delle misure di protezione di cui all'art. 19, che specifica che le esigenze di protezione ed assistenza delle vittime debbano essere valutate caso per caso, da parte delle competenti autorità locali, in forza di una serie di parametri soggettivi e dei rapporti che legano indagati e vittime.

Gli artt. 17-18 riguardano, invece i servizi di assistenza specialistici che devono essere garantiti per le vittime e che devono essere sempre concepiti su base individuale.

Gli articoli da 19 a 21, invece impongono agli Stati Membri di introdurre una normativa che consenta l'emanazione di ordini urgenti di allontanamento, misure restrittive, ordini di protezione, allorquando si verifichino situazioni di pericolo immediato per la salute o l'incolumità della vittima o delle persone a suo carico. Tutte misure previste nel nostro ordinamento agli artt. 282-bis e ter c.p.p.

In questo caso la direttiva prevede che nei singoli Stati Membri debba essere prevista la possibilità di emettere provvedimenti che impongano all'indagato di reati di violenza di allontanarsi dalla residenza della vittima, o delle persone alla stessa vicine, per un periodo di tempo sufficiente e che impediscano allo stesso di entrare nella residenza, nel luogo di lavoro, o di avvicinarsi alla vittima, ovvero di contattarla in qualsiasi modo, nonché di emettere ordinanze restrittive o ordini di protezione per assicurare, per il tempo necessario, un'adeguata protezione.

L'art. 23, invece, riguarda i reati perpetrati attraverso TIC e, in particolare, quelli di condivisione non consensuale di materiale intimo o manipolato, molestie online, istigazione alla violenza e all'odio online. La norma prevede che ogni stato membro debba adottare misure necessarie per garantire che il materiale pubblicato online attraverso le condotte integranti i suddetti reati, possa essere rimosso.

La “norma quadro” contenuta nella direttiva è molto dettagliata e prevede ogni possibile modalità di tutela dell'immagine della vittima, specificando che le richieste debbano essere rivolte dall'autorità ai servizi di hosting e quando la rimozione non sia possibile, debba essere previsto un percorso di “disabilitazione” all'accesso al materiale in questione dai servizi intermediari diversi dagli hosting.

La norma prevede, altresì, che nel caso in cui non venga accertata la penale responsabilità degli indagati, gli ordini di rimozione e disabilitazione dei contenuti possano essere revocati, informando i diretti interessati.

Allo stesso modo, la norma tutela anche i servizi di hosting e di intermediari, prevedendo l'introduzione di strumenti di ricorso avverso gli ordini di revoca e disabilitazione dei contenuti che, in ogni caso, devono essere resi disponibili all'autorità procedente per perseguire i reati ritenuti sussistenti.

L'art. 24 impone agli Stati di prevedere che le vittime dei reati possano avere un diritto ad un risarcimento dei danni subìti nel corso del procedimento penale.

    

Il quarto capo della direttiva è dedicato all'assistenza specialistica per le vittime che già era prevista dagli artt. 8, par. 3 e 9, par. 3 della direttiva 2012/29/UE.

Il capo contiene una disciplina organica di tale materia, con disposizioni volte ad imporre agli Stati membri di attivare e offrire servizi di informazione ed assistenza specialistica necessari per rispondere in modo idoneo ad ogni tipo di esigenza delle vittime, attraverso operatori specializzati e formati.

Obblighi informativi che, con l'introduzione del c.d. Codice Rosso, sono stati già introdotti nel nostro ordinamento a partire dal 2019.

Tali servizi assistenziali devono comprendere quelli di carattere medico, sia di prima necessità che di indirizzamento alle cure successive, quelli di competenza ai servizi sociali, al sostegno psicosociale, ai servizi legali e a quelli legati alla sicurezza e ad ampie informative su come accedere e con quali modalità ai predetti servizi.

All'art. 29, inoltre, viene specificamente richiesto la predisposizione di linee di assistenza telefonica gratuite e attive h/24 (analogamente al “1522” presente nel nostro paese)  per offrire informazioni e consulenza alle vittime, mentre l'art. 30 prevede l'individuazione di case rifugio e altre sistemazioni temporanee per assistere le vittime nel percorso di recupero, fornendo loro condizioni di vita sicure, facilmente accessibili e adeguate ai fini del ritorno a una vita indipendente, prevedendo misure specifiche in caso di vittime minorenni (artt. 31 e 32).

    

Il quinto capo della direttiva è quello rivolto alla “prevenzione e intervento precoce”, che, nell'ottica della direttiva, non riguarda la prevenzione di ulteriori condotte violente, ma l'opera di sensibilizzazione ed educazione volta ad evitare che determinate condotte possano verificarsi in futuro.

In tal senso, estremamente esemplificativa degli obiettivi perseguiti a livello comunitario, è la disposizione programmatica contenuta nell'art. 35 (misure specifiche per prevenire lo stupro e promuovere il ruolo centrale del consenso nelle relazioni sessuali) nel quale si afferma che «gli Stati membri adottano misure adeguate per promuovere cambiamenti nei modelli comportamentali radicati nei rapporti di potere storicamente iniqui tra donne e uomini o basati sui ruoli stereotipati di donna e uomo, in particolare nel contesto delle relazione sessuali, del sesso e del consenso».

Sulla scorta di questa linea guida, nel quinto capo della direttiva vengono invitati gli Stati membri allo svolgimento di campagne o programmi di sensibilizzazione da rivolgere a tutte le persone fin dall'infanzia, diffusione di informazioni sulle misure preventive, sui diritti delle vittime, sull'accesso alla giustizia e a un legale e sulle misure di protezione e assistenza disponibili, comprese le cure mediche, tenendo conto delle lingue più parlate sul loro territorio, sulla lotta contro gli stereotipi di genere dannosi; promozione dell'uguaglianza di genere, del rispetto reciproco e del diritto all'integrità personale.

Sotto il profilo dell'accesso alla difesa tecnica, sarebbe auspicabile, tanto a livello nazionale che comunitario, l'approvazione di una normativa ad hoc che preveda l'obbligatorietà della difesa della persona offesa che in Italia rivestirebbe la funzione di norma “di completamento” di quelle che sono le tutele processuali accordate alle vittime di violenza di genere.

Un ulteriore e imprescindibile strumento di salvaguardia, in considerazione della dirimente rilevanza che ha l'azione di un difensore nelle primissime fasi precedenti e successive alla presentazione di una denuncia e che oggi è prevista solo nel caso in cui la vittima intenda costituirsi parte civile nel processo.

Ed infatti, in via esemplificativa, a livello nazionale l'anticipazione del legislatore dell'intervento e della repressione di condotte penalmente rilevanti che prevedono la partecipazione della persona offesa nella fase delle misure cautelari – che, in alcuni casi, sono “salva vita” – con la notifica, a pena di inammissibilità ex art. 299 comma 3 c.p.p., dell'istanza di sostituzione o revoca della misura cautelare da parte del difensore dell'asserito autore del reato, ai fini del deposito di memorie atte ad interloquire sull'attualità delle esigenze cautelari, rischia talvolta di essere vanificata in assenza di un difensore della persona offesa e di un domicilio idoneo per ricevere la comunicazione.

Analogamente, e sempre in via esemplificativa, per la presentazione della querela e delle successive integrazioni della stessa che, spesso, possono avere una cadenza quotidiana, l'assistenza tecnica da parte di un difensore dà una ragionevole previsione deflattiva sull'operato della P.G. e delle risorse cronicamente inferiori al necessario.

Il tutto, ritenendo indispensabile la più efficace attuazione della normativa già esistente in ordine all'Autorità Giudiziaria e al suo intervento.

    

Il sesto capo della direttiva è dedicato al coordinamento e alla cooperazione tra gli Stati membri.

Come evidenziato in sede di premessa, infatti, l'obiettivo principe della direttiva è quello di creare una politica comune per tutta l'Unione, in modo da poter combattere unitariamente e con la medesima “forza” reati di particolare allarme sociale e che possono essere consumati anche con strumenti (TIC) che travalicano i confini di un singolo Stato.

Di talché, è fondamentale la cooperazione tra tutti gli Stati e  proprio per tale ragione, si prevede l'adozione di piani d'azione nazionali per prevenire e combattere la violenza contro le donne e la violenza domestica, il coordinamento e la cooperazione multiagenzia (con ciò intendendo autorità, agenzie, organismi pertinenti compresi difensori civici, enti locali e regionali, forze dell'ordine e autorità giudiziarie “fatta salva l'indipendenza della magistratura”, i servizi di assistenza, le organizzazione non governative, i servizi sociali, gli istituti di insegnamenti e di cura, le parti sociali e altri enti pertinenti), il coordinamento tra le organizzazioni non governative, nonché tra prestatori di servizi intermediari che possono elaborare la definizione di codici di condotta.

Al fine di avere sempre  un quadro attuale del livello di violenza di genere e domestica all'interno dell'Unione, l'art. 44 richiede agli Stati membri l'istituzione di un sistema per la raccolta, lo sviluppo, la produzione e la diffusione delle statistiche sulla violenza contro le donne e sulla violenza domestica, mentre l'art. 45 (contenuto nel capo settimo delle disposizioni finali), prevede che entro il 14 giugno 2032, gli Stati Membri debbano comunicare alla Commissione tutte le informazioni pertinenti riguardanti il funzionamento della direttiva.

Tali informazioni saranno necessarie per consentire alla Commissione di redigere un ulteriore rapporto volto a valutare l'impatto che ha avuto a livello comunitario l'approvazione delle nuove norme e se l'obiettivo di combattere e prevenire la violenza contro le donne e quella domestica è stato conseguito, presentando una relazione al Consiglio e al Parlamento Europeo.

In conclusione

L'analisi delle principali disposizioni contenute nel preambolo e nei sette capi che compongono la direttiva in parola, consente di percepire la direzione che l'Unione Europea ha imposto a tutti gli Stati membri.

La scelta di utilizzare lo strumento della direttiva non è di certo casuale, in quanto tale strumento, disciplinato dall'art. 288 TFUE, vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere.

In questo caso, ferma restando la libertà rimessa ai singoli Stati membri, si osserva come le disposizioni “quadro” contenute nella direttiva siano estremamente dettagliate e oggettivamente specifiche, arrivando persino a indicare il quantum di pena da prevedere per alcune fattispecie.

Allo stesso modo, la direttiva individua concretamente gli strumenti che devono essere adottati a tutela delle vittime e va ben oltre dal fornire un mero “indirizzo”, soprattutto per quanto riguarda i reati commessi online, anche per quanto attiene alla rimozione del materiale diffuso online.

Inoltre, se si considera la portata dell'intervento richiesto agli Stati membri, la scadenza per il recepimento di tutte le disposizioni contenute nella direttiva, di tre anni, fa comprendere quanto sia rilevante e concreta nell'agenda dell'Unione Europea la repressione e la prevenzione di un fenomeno così allarmante.

E se si prende in considerazione il capo relativo alla prevenzione e all'intervento precoce, e all'opera di sensibilizzazione e di educazione che l'Unione Europea pretende che gli Stati Membri mettano in atto nei confronti di tutti i cittadini, sin dalla tenera età, con l'obiettivo di «cambiare modelli comportamentali radicati nei rapporti di potere storicamente iniqui tra donne e uomini», si comprende il valore che ha la direttiva 1385/2024 e le disposizioni programmatiche in esse contenute per il futuro più immediato e per quello delle prossime generazioni.

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