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Droga (traffico di)

30 Agosto 2024

L'art. 73 d.P.R. n. 309/1990 punisce chiunque coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede o riceve a qualsiasi titolo, distribuisce, commercia, acquista, trasporta, esporta, importa, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo o comunque illecitamente detiene sostanze stupefacenti o psicotrope.

Inquadramento

L'assetto della norma incriminatrice è venuto a mutare più volte nell'ultimo decennio: a 8 anni dall'entrata in vigore della l. n. 49/2006, che aveva radicalmente innovato la disciplina delle sostanze stupefacenti, acuendone gli aspetti repressivi ed introducendo la contestata equiparazione tra droghe “leggere” e droghe “pesanti”, la sentenza n. 32 del 21 febbraio 2014 della Corte costituzionale ha spazzato via la parte più significativa di quella novella, viziata da un illegittimo ricorso alla decretazione di urgenza, facendo rivivere l'originario impianto normativo del Testo Unico del 1990.

L'eccessivo iato tra la pena massima prevista per i fatti “lievi” (quattro anni di reclusione) e quella minima prevista per i fatti “ordinari” (otto anni di reclusione) ha, successivamente, portato la Corte costituzionale a dichiarare illegittima la norma incriminatrice, riducendo a sei anni di reclusione la pena minima per i fatti “ordinari” relativi alle droghe “pesanti”.

Il bene giuridico tutelato

L'incriminazione dei fatti di produzione e traffico di sostanze stupefacenti ha come scopo diretto ed immediato la repressione del mercato illegale della droga, a fini di tutela della salute pubblica (qui intesa non come bene individuale, ma come «autonomo bene di sintesi rispetto alle offese alla vita e alla incolumità personale dei singoli individui»: così Cass. pen., sez. un., 22 gennaio 2009, n. 22676), della sicurezza pubblica e dell'ordine pubblico, poiché il consumo di ogni tipo di sostanza avente effetti psicoattivi (sia essa “leggera” o “pesante”, naturale o sintetica) è dannoso e nocivo per la salute, ed ogni attività illecita rientrante nel c.d. ciclo della droga (coltivazione, fabbricazione, importazione, cessione, ecc.) è potenzialmente idonea a turbare la tranquillità e la pacifica convivenza dei consociati, l'ordinato assetto del vivere civile cui corrisponde il senso di sicurezza della collettività, costituendo altresì – come si legge nella Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di stupefacenti e di sostanze psicotrope, adottata a Vienna il 20 dicembre 1988 - «fonte di profitti finanziari e di patrimoni considerevoli che permettono alle organizzazioni criminali transnazionali di penetrare, contaminare e corrompere le struttura dello Stato, le attività commerciali e finanziarie legittime e le società a tutti i livelli».

Va, tuttavia, segnalato che uno dei più recenti interventi in argomento del massimo consesso nomofilattico (Cass. pen., sez. un., 19 dicembre 2019, dep. 2020, n. 12348) ha ritenuto «superfluo» «il richiamo a concetti come la sicurezza, l'ordine pubblico o il mercato clandestino, che, con riferimento alla fattispecie in esame, appaiono declinati in forma eccessivamente generica», e che «Al fine di individuare l'oggetto giuridico della tutela, è sufficiente, dunque, riferirsi al bene giuridico della salute».

Il criterio tabellare, le tabelle vigenti e le sostanze “ritabellate”

Il d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non reca una definizione farmacologica delle sostanze stupefacenti o psicotrope: in virtù del criterio c.d. tabellare adottato dal nostro ordinamento, nella categoria rientrano esclusivamente quelle sostanze - di origine naturale ovvero sintetica - inserite nelle tabelle allegate al Testo Unico, con la conseguenza che le condotte relative ad ogni ulteriore sostanza che pure presenti i caratteri tipici di quelle stupefacenti (la capacità di incidere sul sistema nervoso centrale dell'assuntore, stimolandolo ovvero deprimendolo, e di creare assuefazione, tolleranza e dipendenza), non sono penalmente rilevanti (cfr. Cass. pen., sez. VI, 23 giugno 2003, n. 34072, relativa alla chata edulis; Cass. pen., sez. I, 16 febbraio 2007, n. 19056, relativa ai semi di rosa hawaiana; Cass. pen., sez. un., 18 ottobre 2012, n. 47604, relativa ai semi di canapa).

L'aggiornamento delle tabelle è rimesso – ai sensi dell'art. 13 T.U. – a decreti che il Ministro della Salute emette di concerto con il Consiglio Superiore di Sanità e con l'Istituto Superiore di Sanità: si tratta di una fonte sub-primaria che integra il precetto penale mediante specificazioni di carattere tecnico, sicché non è riscontrabile alcuna violazione del principio di riserva di legge.

Le vigenti tabelle delle sostanze stupefacenti sono quelle introdotte dal d.l. 20 marzo 2014, n. 36, convertito con modificazioni nella legge 16 maggio 2014, n. 79: l'intervento normativo del 2014 ha fatto seguito alla cancellazione - per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014 - delle tabelle ridisegnate dalla l. n. 49/2006, ed ha colmato il vuoto normativo che aveva improvvisamente precluso l'incriminazione delle condotte relative alle oltre 500 sostanze inserite nelle tabelle a far data dal 2006.

Le nuove tabelle ripropongono la classificazione già seguita fin dagli anni '70, e dunque distinguono le droghe “pesanti” (l'oppio, la morfina e l'eroina; le foglie di coca e la cocaina; le anfetamine ad azione eccitante sul sistema nervoso, tra le quali L.S.D. ed ecstasy o M.D.M.A.; le sostanze di sintesi contenenti tetraidrocannabinolo, come ad esempio la cannabis sintetica; la chata edulis e la catina), annoverate nella prima tabella, dalle droghe “leggere” (la cannabis, l'hashish, la marijuana), annoverate nella seconda tabella. Nella terza e nella quarta tabella sono elencate le sostanze medicinali equiparate ai fini sanzionatori rispettivamente alle droghe “pesanti” (ad esempio i barbiturici ad alto effetto ipnotico e sedativo) ed alle droghe “leggere” (ad esempio le benzodiazepine). Vi è poi un quinto elenco, la tabella dei medicinali, a sua volta ripartito in cinque sezioni, nel quale sono indicati i medicinali di impiego terapeutico contenenti il principio attivo di sostanze stupefacenti (ad esempio il metadone, la morfina, il nandrolone), che possono essere detenuti solo nei limiti delle prescrizioni sanitarie.

Poiché, come si è visto, le tabelle sono introdotte nell'ordinamento ed aggiornate da una fonte sub-primaria che integra il precetto penale, secondo lo schema tipico delle norme penali in bianco, trovano inderogabile applicazione i principi dettati dall'art. 2 c.p., ed in specie quello di non retroattività delle disposizioni incriminatrici o comunque di sfavore. L'inclusione di una sostanza nella tabella spiega, dunque, effetti solo per le condotte poste in essere successivamente; ne consegue che, per tutte le condotte commesse prima del 21 marzo 2014 (data di entrata in vigore del d.l. n. 36/2014), l'imputato non può essere condannato se la sua condotta è relativa ad una sostanza stupefacente che era stata tabellata solo dalla l. 49/2006 ovvero successivamente (come, ad esempio, la chata edulis, inserita in tabella per effetto del decreto ministeriale 11 aprile 2006, o il nandrolone, inserito in tabella per effetto del decreto ministeriale 11 giugno 2010).

La sentenza n. 32/2014 ha dunque prodotto, irrimediabilmente, una serie di abolitiones criminis rispetto a tutti i fatti concernenti sostanze introdotte per la prima volta nelle tabelle dal 2006 ad oggi: fenomeno destinato non solo ad incidere sui processi ancora in corso, ma anche a travolgere, ex art. 673 c.p.p., quelli già definiti con sentenza irrevocabile di condanna o di applicazione della pena (cfr. Cass. pen., sez. un., 26 febbraio 2015, n. 29316).

Il principio attivo

Gli effetti tipici correlati all'assunzione di una sostanza stupefacente (alterazione del sistema nervoso centrale, assuefazione, dipendenza) sono provocati dal principio attivo in essa contenuto. Per questo si afferma che, per ritenere penalmente rilevante una condotta relativa ad una sostanza stupefacente, non è sufficiente accertare che detta sostanza sia inserita nelle tabelle ministeriali ma - in ossequio al principio di offensività - è necessario accertare che si tratti di sostanza che in concreto contenga principio attivo.

    

In evidenza

Non sono idonee ad arrecare una lesione al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice le condotte relative a sostanze che contengono un principio attivo talmente esiguo (ossia prossimo allo zero) che la loro assunzione non potrebbe spiegare alcun effetto drogante neppure su un soggetto non assuefatto.

   

Ove la sostanza abbia un principio attivo esiguo ma comunque idoneo a spiegare efficacia drogante, il reato deve ritenersi integrato, anche se il quantitativo di principio attivo sia inferiore a quello della dose media singola indicato (ad altri fini) dal d.m. 11 aprile 2006 (cfr. Cass. pen., sez. IV, 6 aprile 2023, n. 20950).

È pertanto imprescindibile l'accertamento della natura e della qualità della sostanza stupefacente oggetto di contestazione: ove un'indagine di tal genere non sia stata fatta nel corso delle indagini preliminari, vi si deve procedere nel corso del giudizio; se l'imputato sceglie di essere giudicato nelle forme del rito abbreviato, non può dolersi della decisione del giudice di disporre perizia sullo stupefacente ex art. 441, comma 5, c.p.p.; in questo caso, peraltro, il giudice può comunque fondare l'affermazione di responsabilità dell'imputato sull'esito del narcotest condotto dalla polizia giudiziaria (cfr. Cass. pen., sez. III, 14 aprile 2023, n. 22701), a meno che non venga in rilievo un quantitativo così esiguo di sostanza stupefacente da far residuare, in assenza di accertamenti tossicologici, il dubbio sulla concreta offensività della condotta (cfr. Cass. pen., sez. III, 26 settembre 2013, n. 44420).

L'elemento materiale

La norma incriminatrice contiene una illustrazione precisa e dettagliata delle condotte relative alle sostanze stupefacenti idonee ad integrare il reato, condotte che possono essere commesse da chiunque, non essendo richiesto che il soggetto agente possieda alcuna particolare qualifica soggettiva: si tratta, pertanto, di un reato comune.

Si tratta di un reato di pericolo presunto o astratto, che ha natura permanente in relazione alle condotte che - come la detenzione, la coltivazione, il trasporto, ecc. - presuppongono un prolungato rapporto di disponibilità della sostanza stupefacente, e dunque un perpetuarsi dell'offesa al bene protetto che dipende direttamente dalla volontà del reo; in tali casi la consumazione si protrae fino a quando perdura la disponibilità; ha, invece, natura istantanea in relazione alle condotte che - come la vendita, la cessione, la consegna - integrano ed esauriscono l'offesa al bene protetto; in tali casi il reato si consuma nel momento in cui viene posta in essere l'illecita condotta.

Le diverse fattispecie elencate dalla norma incriminatrice sono tra loro alternative, disegnando una sorta di progressione che parte dalle attività necessarie a produrre lo stupefacente (coltivazione, produzione, fabbricazione, estrazione, raffinazione), si sviluppa indicando le attività che comportano il trasferimento dello stupefacente da o verso lo Stato (esportazione, importazione, passaggio o spedizione in transito) e il passaggio dello stupefacente dallo spacciatore al consumatore (vendita, cessione, offerta in vendita, messa in vendita, commercio, consegna, distribuzione, invio, procacciamento) e si conclude con l'incriminazione di condotte relative alla semplice disponibilità, che possa comunque reputarsi illecita, dello stupefacente (acquisto, ricezione, trasporto, ed infine la condotta residuale ed omnicomprensiva della detenzione): il reato è certamente configurabile ove l'imputato abbia posto in essere anche solo una delle condotte ivi previste.

In applicazione dei generali principi su unità e pluralità di reati, non può ravvisarsi un concorso formale di reati quando, nel medesimo contesto spazio-temporale, un soggetto ponga in essere, in relazione al medesimo quantitativo di sostanza stupefacente, più azioni tipiche tra quelle descritte dalla norma incriminatrice (cfr. Cass. pen., sez. VI, 28 marzo 2017, n. 22549).

Se non vi è identità spazio-temporale tra le condotte, ovvero se esse non fanno riferimento al medesimo quantitativo o alla medesima partita di sostanza stupefacente, devono configurarsi diversi reati in concorso materiale tra loro (cfr. Cass. pen., sez. III, 6 luglio 2022, n. 28389): così, ad esempio, nel caso di acquisto di stupefacente da parte di chi - dopo aver compiuto le necessarie operazioni di taglio, suddivisione e confezionamento delle singole dosi - lo ceda poi al dettaglio ai diversi acquirenti, ovvero nel caso di cessione di due diverse dosi di sostanza stupefacente a due distinti acquirenti.

Se la condotta ha ad oggetto sostanze stupefacenti di diversa natura ma rientranti nella medesima tabella o nel medesimo gruppo omogeneo di tabelle, deve ritenersi integrato un unico reato, trattandosi di azione connotata da un'unica aggressione a beni tutelati in maniera omogenea dalla norma incriminatrice; viceversa, ove la condotta – pur se connotata da quella identità spazio-temporale della quale si è detto – interessi sostanze stupefacenti ricomprese in tabelle diverse e non affini, sono configurabili più reati in concorso formale tra loro, dovendosi ritenere che il commercio illecito di droghe “pesanti” rechi in sé una maggiore offensività rispetto a quello di droghe “leggere” (cfr., dopo la ripristinata distinzione tra droghe “leggere” e droghe “pesanti”, Cass. pen., sez. IV, 15 luglio 2014, n. 34261).

Gli elementi sintomatici della destinazione ad uso esclusivamente personale

In relazione a cinque condotte descritte dalla norma incriminatrice (importazione, esportazione, acquisto, ricezione e detenzione) il reato sussiste solo se i fatti sono stati commessi fuori dalle ipotesi previste dall'art. 75, norma che prevede sanzioni amministrative ove si accerti che una di quelle cinque condotte è stata posta in essere per uso personale.

Il comma 1-bis dell'art. 75 (riproponendo la formulazione dell'art. 73, comma 1-bis introdotta dalla l. 49/2006, poi spazzata via dalla sentenza n. 32/2014) individua i c.d. elementi sintomatici della destinazione dello stupefacente al consumo esclusivamente personale, elementi che dunque non fanno parte della struttura del fatto tipico, assolvendo ad esigenze di natura meramente probatoria; l'accertata sussistenza di uno o più elementi sintomatici (ad esempio il possesso di stupefacente dal quale può ricavarsi un quantitativo di principio attivo superiore alle soglie indicate dal d.m. 11 aprile 2006) non è di per sé sufficiente a ritenere integrato il reato: si sarà, semplicemente, in presenza di un indizio, che dovrà essere valutato congiuntamente a tutte le ulteriori emergenze istruttorie, rimanendo sempre a carico dell'accusa l'onere di dimostrare che l'imputato ha tenuto la condotta fuori dalle ipotesi previste dall'art. 75, ossia che lo stupefacente del quale si discute fosse anche solo in parte destinato alla illecita cessione a terzi (cfr. Cass. pen., sez. VI, 9 novembre 2023, dep. 2024, n. 5079).

   

In evidenza

L'onere della prova rimane a carico dell'accusa: non è la difesa a dover dimostrare la destinazione ad uso personale della droga detenuta ma è l'accusa che, secondo i principi generali, deve dimostrare che la droga era detenuta per un uso diverso da quello personale.

   

Questo, naturalmente, non esclude l'onere di allegazione gravante sull'imputato, laddove egli intenda contrastare ciò che può ricavarsi dalla valutazione degli elementi sintomatici (ad esempio il significativo quantitativo di principio attivo ricavabile dallo stupefacente rinvenuto in suo possesso), sottoponendo al giudice ulteriori elementi in grado di riscontrare l'ipotesi difensiva (ad esempio lo stato di tossicodipendenza e la disponibilità di risorse finanziarie sufficienti per l'acquisto di una “scorta” di sostanza stupefacente), così dando prova dell'insussistenza del reato o quanto meno introducendo il ragionevole dubbio della destinazione ad uso personale della sostanza.

Il principale tra questi parametri (alternativi e di per sé non esaustivi) è costituito dal superamento dei limiti quantitativi massimi di principio attivo ricavabile dalla sostanza, individuati con decreto dal Ministro della Salute.

I limiti massimi quantitativi sono stati individuati partendo dall'unico dato certo dal punto di vista scientifico che la Commissione di studio all'uopo istituita presso il Ministero della Salute è stata in grado di fornire: quello della dose media singola, intesa come la quantità di principio attivo per singola assunzione idonea a produrre in un soggetto tollerante e dipendente un effetto stupefacente e psicotropo (mg. 0,05 per l'L.S.D.; mg. 25 per l'eroina, l'hashish e la marijuana; mg. 150 per la cocaina e l'ecstasy); questo dato è stato elevato (essendosi ritenuto irragionevole far coincidere il quantitativo massimo detenibile con il dato relativo alla dose media singola efficace: la prassi insegna, invero, che è ben raro il caso dell'assuntore di sostanze stupefacenti che acquisti il quantitativo sufficiente a consentirgli una singola assunzione, essendo certamente più frequenti i casi nel quali l'acquisto riguarda quantitativi idonei a soddisfare le esigenze di consumo di più giorni) attraverso l'utilizzo di un moltiplicatore variabile in relazione alle caratteristiche di ciascuna sostanza, con particolare riferimento al potere di indurre alterazioni comportamentali e scadimento delle capacità psicomotorie, più alto (20) per le droghe leggere quali i derivati della cannabis, e molto più basso per le droghe più pericolose quali eroina (10), cocaina (5), ecstasy (5) e L.S.D. (3).

Può dunque riconoscersi la astratta compatibilità con la destinazione ad uso personale di un quantitativo di principio attivo idoneo a consentire 3 assunzioni di L.S.D. (pari a mg. 0,150), 5 di ecstasy (pari a mg. 750), 5 di cocaina (pari a mg. 750), 10 di eroina (pari a mg. 250) e 20 di hashish e marijuana (pari a mg. 500); fermo restando che, trattandosi di elementi da valutare unitamente agli altri che caratterizzano il caso concreto, è ben possibile ritenere penalmente rilevante la detenzione di stupefacente in misura inferiore al quantitativo massimo detenibile (si pensi al classico caso dello spacciatore colto nell'atto di vendere una sola dose di stupefacente), così come è possibile ritenere rilevante solo in via amministrativa la detenzione di stupefacente in misura superiore al quantitativo massimo detenibile, quando non vi siano elementi sufficienti a sostenere che la detenzione fosse anche solo in parte finalizzata alla illecita cessione a terzi (cfr. Cass. pen., sez. IV, 7 giugno 2023, n. 37062).

Secondo l'espressa previsione legislativa, elementi circa la destinazione dello stupefacente possono essere ricavati anche dalle modalità di presentazione delle sostanze stupefacenti o psicotrope, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato ovvero ad altre circostanze dell'azione.

Vengono dunque in rilievo le modalità di presentazione dello stupefacente, che, illustrando nel dettaglio caratteristiche, tempi, quantità e modi della condotta, aiutano a comprendere se essa sia stata o meno posta in essere al solo scopo del consumo personale.

Le modalità di presentazione sono illustrate dal peso lordo complessivo (parametro fondato sul solo dato quantitativo della sostanza rinvenuta nella disponibilità del soggetto, a prescindere dunque dal principio attivo da essa ricavabile: si tratta di un dato che può assumere significativo valore indiziario soprattutto nell'immediatezza dei fatti, poiché è evidente che il suo rilievo scema, fino quasi a scomparire, dopo che si sia accertato il principio attivo ricavabile dallo stupefacente caduto in sequestro), dal confezionamento frazionato (di regola il detenere sostanza stupefacente suddivisa in più dosi lascia intendere che si tratta di droga destinata ad essere ceduta a terzi, tanto più ove si tratti di condotta accertata in luoghi pubblici) e dalle altre circostanze dell'azione, quali ad esempio le modalità di custodia (ad esempio la circostanza che quantitativi significativi di stupefacente siano trasportati in auto ovvero custoditi sulla persona dell'imputato), l'accertata disponibilità di sostanze di diversa natura (dato da valutare con attenzione e rigore, non essendo infrequente nella pratica che il tossicofilo assuma regolarmente e contestualmente diversi tipi di droga), ovvero di sostanze da taglio (quali ad esempio il lattosio, la lidocaina, il mannitolo), ovvero di materiale idoneo alla suddivisione dello stupefacente ed al confezionamento di singole dosi (coltellini, bilancini di precisione, cellophane, carta stagnola, ecc.), ovvero ancora di considerevoli ed ingiustificate somme di denaro, che possano ritenersi il provento dell'attività di spaccio.

L'univoca giurisprudenza di legittimità assegna rilievo (il più delle volte in favore dell'imputato) anche a circostanze di natura soggettiva, quali lo stato di tossicodipendenza dell'imputato (che ovviamente non deve essere solo allegato ma concretamente provato, ad esempio attraverso documentazione di data certa ed anteriore ai fatti proveniente dal locale Sert) e la disponibilità da parte dello stesso di risorse finanziarie sufficienti a consentirgli un acquisto di più considerevoli quantitativi di stupefacente, al fine di precostituirsi una “scorta” e di non avere la necessità di recarsi con frequenza dai cc.dd. spacciatori.

L'elemento soggettivo

Il reato di cui all'art. 73 d.P.R. n. 309/1990 è punibile a titolo di dolo generico, integrato dalla coscienza e volontà di porre in essere la condotta descritta nella fattispecie incriminatrice; il dolo deve investire tutti gli elementi della fattispecie ma non anche gli elementi sintomatici che si sono appena illustrati, poiché gli stessi non sono elementi costitutivi del reato e rimangono, pertanto, fuori anche dalla struttura dell'elemento soggettivo.

È irrilevante lo scopo perseguito dall'agente: ad esempio, nei casi di cessione o di vendita il reato sussiste indipendentemente dal fatto che l'azione sia stata posta in essere a scopo di lucro o per amicizia o per una qualsiasi altra finalità, essendo punibile anche colui che ceda gratuitamente per fini simbolici modesti quantitativi di stupefacente destinati all'uso personale del cessionario.

L'errore circa la natura della sostanza ovvero circa la sua inclusione nella tabella delle sostanze vietate è giuridicamente irrilevante, in quanto si traduce in un errore sulla norma penale: non si può, cioè, parlare di errore sul fatto, ma bensì di errore sulla interpretazione tecnica della realtà percepita e sulle norme che la disciplinano; esso è pertanto ininfluente ai fini dell'applicazione della norma incriminatrice.

Il concorso di persone nel reato

In applicazione dei generali principi ricavabili dagli artt. 110 ss. c.p., il concorso nel delitto di cui all'art. 73 d.P.R. n. 309/1990 può essere ravvisato quando il soggetto ha materialmente partecipato alla esecuzione materiale di taluna delle diverse condotte tipiche contemplate dalla norma incriminatrice, ovvero quando ha partecipato all'attività riguardante la preparazione del delitto e la messa a disposizione dei mezzi occorrenti alla relativa commissione, ovvero infine quando ha fornito un qualsiasi apporto causale concreto all'attività criminosa posta in essere dall'autore materiale, così da consentirne e agevolarne l'azione.

I primi due casi sono quelli in relazione ai quali è più semplice e meno controversa la configurabilità dell'istituto, dovendosi solo precisare che ovviamente, provatasi la sussistenza del concorso, ogni imputato risponderà dell'unico reato commesso e dunque della condotta (di detenzione, acquisto, trasporto, ecc.) relativa all'intero quantitativo di sostanza stupefacente che venga in rilievo.

Quanto al terzo caso, deve evidenziarsi che il contributo partecipativo può essere di qualsiasi genere: risponde ad esempio di concorso nel reato colui che accompagni giornalmente lo spacciatore sul luogo ove si svolge l'illecito commercio, colui che si presti ad occultare il denaro provento dello spaccio ovvero colui che consenta allo spacciatore di custodire la droga nella propria abitazione, ferma restando, in quest'ultimo caso, la necessità di provare che l'imputato fosse a conoscenza non solo della presenza dello stupefacente, ma anche della sua destinazione alla illecita cessione a terzi (cfr. Cass. pen., sez. III, 6 novembre 2014, dep. 2015, n. 3384).

Il concorso è certamente ravvisabile anche nella semplice presenza, purché non meramente casuale, sul luogo dell'esecuzione del reato, quando essa sia servita a fornire all'autore del fatto stimolo all'azione o un maggior senso di sicurezza nella propria condotta (cfr. Cass. pen., sez. IV, 24 giugno 2014, n. 30479, relativa al caso del c.d. “palo”): occorre tuttavia che sia accertata una condotta ulteriore a quella che si esaurisca nella semplice adesione morale all'altrui illecito, giacché non può esserci concorso di persone nel reato se non è ravvisabile un concreto contributo causale in termini, sia pur minimi, di facilitazione della altrui condotta delittuosa (cfr. Cass. pen., sez. IV, 20 novembre 2020, n. 34754).

Ove l'imputazione sia elevata nei confronti del familiare convivente di un soggetto trovato in possesso di sostanza stupefacente, essa non può essere fondata sulla sola accertata conoscenza della illecita detenzione: non basta la semplice consapevolezza dell'esistenza della droga, essendo necessaria ed imprescindibile la prova della circostanza che il familiare abbia con coscienza e volontà fornito un concreto contributo, quanto meno agevolando la commissione del reato, ossia rendendone più semplice o più sicura la perpetrazione, ad esempio facilitando la detenzione, l'occultamento o il controllo della sostanza, ovvero garantendo anche implicitamente la propria collaborazione in caso di bisogno e necessità, in modo da consolidare l'altrui consapevolezza di poter fare affidamento su quel potenziale aiuto, e, dunque, l'altrui sicurezza; in tutti gli altri casi nei quali la semplice consapevolezza della condotta criminosa altrui non è stata accompagnata da alcun contributo, morale o materiale, volto a favorirla, si avrà mera connivenza non punibile (cfr. Cass. pen., sez. III, 23 giugno 2021, n. 41579).

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