Accordi pubblico-privato e responsabilità da comportamento della P.A.: condannata al risarcimento danni la P.A. che viola i principi di correttezza e buona fede
09 Agosto 2024
Massima E' tenuta al risarcimento dei danni per violazione dei principi di buona fede e correttezza, nei limiti dell'interesse negativo commisurato alle spese effettivamente sostenute, l'amministrazione comunale che, con la sottoscrizione di apposito accordo con il privato, impositivo anche di obblighi di natura economica, abbia ingenerato un legittimo affidamento in ordine alla possibilità di realizzare un impianto di trattamento dei rifiuti che la successiva e prevedibile attività di pianificazione urbanistica territoriale, sebbene legittima, ha reso irrealizzabile. Il caso Accordo amministrativo sulla possibile utilizzazione di un'area e sopravvenienze di tipo normativo urbanistico La società ricorrente aveva stipulato un accordo con l'Amministrazione comunale avente ad oggetto un complesso immobiliare, composto di fabbricati e aree, oggetto di procedure esecutive in danno degli originari proprietari da parte (anche) del Comune creditore, il quale aveva, altresì, disposto la bonifica del sito per presenza di amianto. In base all'accordo, successivamente integrato da tre appendici, alla società, che, previa acquisizione del complesso, avrebbe dovuto procedere alla bonifica dell'area, è stata riconosciuta la possibilità di realizzare in loco un impianto per il recupero dei fanghi prodotti dai processi di depurazione delle acque reflue. Conformemente agli impegni assunti, la società ha acquisito l'area, ha versato al Comune le somme concordate e si è impegnata a bonificare l'area. Con successiva deliberazione, l'Unione di Comuni comprendente anche l'Amministrazione de qua, ha adottato – e poi definitivamente approvato – una variante urbanistica che ha previsto l'inserimento nelle norme tecniche di attuazione del Piano regolatore comunale di un articolo ai sensi del quale è risultata vietata in modo assoluto la realizzazione di nuovi impianti di trattamento e di recupero dei rifiuti sull'intero territorio del Comune resistente. La società ha dunque promosso impugnazione davanti al TAR avverso i provvedimenti in questione, instando, altresì, per il risarcimento del danno. La questione La culpa in contrahendo dell'Amministrazione La sentenza di primo grado, che ha dichiarato in parte irricevibile e in parte ha respinto nel merito i gravami proposti, è stata impugnata innanzi al Consiglio di Stato dalla società soccombente, la quale ha eccepito che il TAR non avrebbe attribuito all'accordo intervenuto tra la stessa e il Comune la corretta qualificazione giuridica, in conformità con quanto previsto dall'art. 11 legge n. 241/1990. Mentre l'interesse pubblico cui era stato finalizzato l'accordo sarebbe stato perseguito con il versamento da parte della società delle somme dovute al Comune e con la bonifica dell'area, la società non ha potuto realizzare il previsto impianto per effetto della disposizione inserita nelle N.T.A. del P.R.G. Il Comune sarebbe, quindi, venuto meno agli obblighi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1173,1176 e 1337 c.c. applicabili anche agli accordi conclusi ai sensi dell'art. 11 l. n. 241/1990 e richiamati nell'art. 1, comma 2-bis, legge n. 241/1990 e s.m.i. La condotta del Comune sarebbe quindi connotata da culpa in contrahendo, con il conseguente obbligo di risarcimento del danno subito in relazione al c.d. “interesse negativo”, per avere l'Amministrazione tenuto, nel rapporto con l'appellante, una condotta improntata alla mancanza di serietà e alla irresponsabilità. La società ha poi ribadito che la tutela paesistico ambientale e la tutela della salute non spettano al Comune. La variante urbanistica sarebbe quindi illegittima in quanto invasiva delle competenze della Regione e della Provincia. Sotto il profilo risarcitorio, l'appellante ha chiesto il ristoro delle spese tecniche, delle spese legali, dei pagamenti disposti in favore dell'Amministrazione, delle spese per bonifica, nonché delle spese per analisi del contesto ambientale e per studio di Valutazione ambientale strategica. Le Amministrazioni resistenti hanno eccepito l'inammissibilità dell'appello per violazione del principio di specificità dei motivi di gravame, di cui all'art. 101, comma 1, c.p.a., e per la proposizione di nuove domande e nuovi motivi, in violazione dell'art. 104, comma 1, c.p.a., sostenendo che nel ricorso di primo grado la pretesa risarcitoria era stata ricollegata alla dedotta illegittimità degli atti di approvazione della variante parziale mentre nell'atto di appello la società avrebbe posto a fondamento della propria richiesta il comportamento del Comune in quanto in contrasto con le clausole generali di condotta. Le soluzioni giuridiche Accordi amministrativi e giurisdizione esclusiva Il Consiglio di Stato ha preliminarmente dichiarato la propria giurisdizione sia con riguardo alla domanda di annullamento degli atti impugnati, sia con riguardo alla domanda risarcitoria, essendo quest'ultima ancorata anche all'accordo intervenuto tra il Comune e la società appellante; accordo che, avendo ad oggetto l'esercizio di potestà di natura pubblicistica, è stato qualificato di diritto pubblico ai sensi dell'art. 11 l. n. 241/1990, in quanto tale assoggettato alla giurisdizione esclusiva del g.a., ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. a), punto 2, c.p.a. Ancora preliminarmente, il Consiglio di Stato ha dichiarato infondata l'eccezione di inammissibilità dell'appello per modifica della causa petendi, in quanto già con il primo motivo del ricorso introduttivo la società aveva sostenuto di aver maturato, a seguito della sottoscrizione dell'accordo con il Comune e delle successive appendici, l'aspettativa qualificata al mantenimento dell'assetto urbanistico previgente all'adozione della variante impugnata, che, impedendole di dar corso all'intervento progettato, sarebbe stata adottata in spregio dei diritti dalla stessa acquisiti, nonché in violazione del principio di legittimo affidamento. Con il secondo motivo del ricorso di primo grado, la società aveva sostenuto che il Comune e la Comunità Collinare avrebbero dovuto esternare compiutamente le puntuali ragioni a supporto del revirement in ordine alla realizzazione dell'intervento nel complesso immobiliare, tenendo conto del fatto che il divieto di cui alla variante delle N.T.A. al P.R.G. sarebbe intervenuto a distanza di pochi mesi dalla sottoscrizione dell'ultima appendice all'accordo. Quindi, già nel ricorso originario, la società aveva lamentato la violazione dell'affidamento ingenerato dalla stipula dell'accordo intervenuto con il Comune e delle successive appendici negoziali. Non vi è stata, pertanto, modifica della domanda inizialmente proposta (mutatio libelli), quanto, piuttosto, senza variazione della causa petendi, la delimitazione dell'oggetto del petitum (emendatio libelli) con la circoscrizione della pretesa risarcitoria all'interesse negativo (ed esclusione del lucro cessante) commisurato alle spese sostenute e alle perdite subite per effetto del mancato adempimento degli impegni pattiziamente assunti dal Comune. Il Collegio ha, altresì, ritenuto che il ricorso in appello contenesse tutti gli elementi essenziali individuati dall'art. 101 c.p.a. Nel merito, il Consiglio di Stato ha ritenuto che i vizi di legittimità denunciati dalla società appellante non fossero idonei ad infirmare la legittimità degli atti impugnati, dovendosi ritenere rimessa alla discrezionalità della Amministrazione l'individuazione, a livello di strumentazione urbanistica, delle misure dirette a salvaguardare i valori ambientali identitari di una determinata zona. Venendo in rilievo una variante urbanistica di carattere normativo concernente tutte le aree per insediamenti industriali, commerciali, artigianali e terziari, l'Amministrazione procedente non era tenuta ad un obbligo di puntuale motivazione. Nel caso di specie, peraltro, i provvedimenti impugnati sono stati ritenuti adeguatamente motivati. L'accordo sottoscritto tra il Comune e la società appellante ha comunque assunto rilievo sotto il profilo risarcitorio. Osservazioni Comportamento contrario a buona fede della P.A. e risarcimento dell'interesse negativo Il Consiglio di Stato ha rinvenuto, nel caso di specie, gli estremi di una responsabilità civile per lesione dei principi di buona fede e affidamento, connessa in particolare all'inosservanza dei doveri di informazione che devono essere rispettati anche nell'ambito di un rapporto pubblicistico. L'accordo stipulato tra le parti prevedeva specifici obblighi sia a carico del Comune che a carico della parte privata, sennonché, mentre quest'ultima ha adempiuto, la successiva modifica delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale del Comune ha vanificato gli impegni pattiziamente assunti dall'Amministrazione, precludendo alla società appellante la possibilità di realizzare l'impianto di trattamento dei rifiuti. L'art. 11, comma 2, l. n. 241/1990 dispone: “Gli accordi di cui al presente articolo debbono essere stipulati, a pena di nullità, per atto scritto, salvo che la legge disponga altrimenti. Ad essi si applicano, ove non diversamente previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili”. Secondo l'orientamento giurisprudenziale consolidatosi in ordine a tale disposizione, sono applicabili agli accordi pubblico - privato gli artt. 1175 e 1375 c.c., ossia i principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto, espressione del dovere costituzionale di solidarietà, di cui all'art. 2 Cost. (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30 maggio 2022, n. 4331). Alla luce di ciò, le spese sostenute dalla società per effetto dell'accordo e delle successive appendici negoziali sono state ritenute meritevoli di ristoro nei limiti dell'interesse negativo. Non sono invece state ritenute ristorabili le spese sostenute relativamente alla acquisizione dell'area (comportante comunque un incremento del patrimonio aziendale della società), nonché le spese non espressamente previste nell'accordo e quelle non configurabili, rispetto a questo, in termini di conseguenza immediata e diretta. La decisione in commento ha ascritto, dunque, un rilievo determinante ai doveri di informazione cui la P.A. è tenuta nei confronti del privato contraente. Il soggetto pubblico si delinea quale “parte forte” tenuta al rispetto di doveri di informazione pregnanti, la cui violazione, ponendosi in contrasto con il principio della buona fede, ingenera la responsabilità della p.a. per il comportamento tenuto. In senso analogo si è espressa anche la Corte di Cassazione, che ha ricostruito in modo peculiare il dovere di informazione gravante sulla pubblica amministrazione richiamandosi alla distinzione tra norme di relazione e norme di azione e affermando che il soggetto pubblico “ha l'obbligo di informare il privato delle circostanze che potrebbero determinare la invalidità o inefficacia e, comunque, incidere negativamente sulla eseguibilità del contratto, pena la propria responsabilità per culpa in contrahendo, salva la possibilità di dimostrare in concreto che l'affidamento del contraente sia irragionevole, in presenza di fatti e circostanze specifiche” (Cass., sez. I, 12 maggio 2015, n. 9636). |