Il vecchio provvedimento generale va (quasi) definitivamente in soffitta

22 Agosto 2024

Dall’entrata in vigore del GDPR i tempi di conservazione delle immagini catturate dalle telecamere di videosorveglianza devono essere decisi dal titolare del trattamento che può prendere spunto anche dal provvedimento generale sulla videosorveglianza del 2010.

Questo documento resta infatti sullo sfondo anche se la sua applicazione concreta è sempre più marginale per un refuso normativo correlato all'art. 154 del codice privacy. Lo ha evidenziato la Corte di cassazione, sez. II, con l'ordinanza n. 19550 del 16 luglio 2024.

Un esercente è stato sanzionato prima dell'entrata in vigore del Regolamento europeo per aver, tra l'altro, conservato le immagini registrate del sistema di videosorveglianza per un periodo superiore a sette giorni, in contrasto con quanto indicato nel provvedimento generale sulla videosorveglianza dell'8 aprile 2010. Contro questa misura punitiva l'interessato ha proposto con successo opposizione al tribunale che ha annullato la sanzione, stante l'individuazione nel provvedimento generale, che sta alla base della sanzione, di un riferimento normativo errato all'art. 154 del codice privacy.

Contro questa sentenza il Garante per la protezione dei dati personali ha proposto censure ai giudici del Palazzaccio, ma senza successo. Il Tribunale ha infatti ritenuto, specificano gli ermellini, «che la disposizione di cui all'art. 154, primo comma, lettera c) del codice per la protezione dei dati personali sia rivolta nei confronti di un soggetto specifico, valorizzando la sua collocazione, all'interno del predetto codice, nella sezione destinata ai reclami, la sua rubrica, la struttura della norma, che presuppone, quale condizione per l'adozione del provvedimento sanzionatorio, l'esaurimento dell'istruttoria, nonché il suo tenore letterale, che fa riferimento all'emanazione di prescrizioni dirette al titolare del trattamento dei dati personali ed alla loro inosservanza. Tali considerazioni non sono adeguatamente attinte dalla censura in esame, con la quale il Garante propone una diversa opzione interpretativa, ritenendo la disposizione rivolta nei confronti di tutti i consociati, senza tuttavia confrontarsi in modo specifico con i vari argomenti valorizzati dal giudice di merito. La statuizione del Tribunale, peraltro, appare condivisibile, poiché la disposizione di cui all'art. 154, per la sua struttura, formulazione letterale, rubrica e collocazione sistematica nell'ambito del cd. codice della privacy allude alla mancata osservanza di specifiche prescrizioni che, nell'ambito di una determinata istruttoria, vengano impartite ad un destinatario determinato, in relazione ad una specifica ipotesi di trattamento dei dati personali. Non è quindi possibile comminare la sanzione prevista per la violazione della predetta disposizione senza la preventiva apertura di un'istruttoria, eventualmente conseguente ad un reclamo, nell'ambito della quale siano impartite disposizioni che il destinatario ometta di osservare».

In buona sostanza il Collegio ha errato nell'individuazione formale della sanzione adeguandosi al provvedimento generale sulla videosorveglianza dell'8 aprile 2010 adottato ai sensi dell'art. 154, comma 1, lett. c) del codice privacy.

Con l'entrata in vigore del regolamento europeo l'applicabilità dei provvedimenti generali precedenti al GDPR risulta già per sé molto ridimensionata. Con questa importante determinazione la Cassazione agevola ulteriormente questo percorso di potenziamento dell'accountability.

Fonte: (Diritto e Giustizia)

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