Pene sostitutive

06 Settembre 2024

Le sanzioni sostitutive, la cui valenza afflittiva è oggi pienamente riconosciuta fin dall'adozione della nuova terminologia di pene sostitutive, sono state completamente ridisegnate dalla c.d. riforma Cartabia che ne ha implementato il significato e l'ambito di applicabilità.

Inquadramento

L'introduzione di questo tipo di sanzioni fu, fin dall'inizio, dettata dall'intento di deflazionare la carcerazione breve, ritenuta inefficace, desocializzante e persino criminogena, a fronte di pene detentive non particolarmente importanti, inflitte in sentenza, con lo scopo di sostituirle con una risposta sanzionatoria che, accanto alla portata special preventiva, avesse anche un intrinseco effetto risocializzante e riparativo in generale. Prima la c.d. riforma Cartabia e, da ultimo, il c.d. decreto correttivo Cartabia, pubblicato il 19 marzo 2024, esprimono al massimo grado questo spirito normativo, esaltando ancora di più le caratteristiche di eccezionalità del mancato ricorso a detta strada in caso di pene detentive brevi, come alternativa preferibile alla detenzione vera e propria.

L'art. 20-bis c.p., introdotto dalla riforma Cartabia, segna il formale ingresso nel codice penale sia della categoria delle “pene sostitutive” (prima menzionate solo nella legislazione speciale, la l. 689/1981) sia di quella delle “pene detentive brevi”, modifica sistematica e semantica che sembra incarnare bene i due obiettivi della recente riforma: da un lato ampliare il ricorso a queste pene sostitutive, facendo anche pulizia di quelle sostanzialmente disapplicate, e dall'altro risolvere una serie di empasse tecnico processuali che fino ad oggi rendevano poco efficace il ricorso alla sostituzione delle pene detentive brevi. 

Ad oggi, infatti, la riforma ha esteso da 2 a 4 anni il tetto di pena per l'applicazione della sostituzione delle pene detentive ed ha escluso l'applicabilità della sospensione condizionale della pena per le sanzioni sostitutive (lett. h comma 17  art. 1) che sostanzialmente minava alla base l'efficacia special preventiva delle sanzioni sostitutive perché semplicemente restavano disapplicate, mentre sono state eliminate le due misure che sembravano non avere mai avuto particolare significato in quanto desuete nella prassi, la semidetenzione e la libertà controllata, lasciando in vigore e dando nuova linfa alla semilibertà, alla detenzione domiciliare, al lavoro di pubblica utilità e alla pena pecuniaria sia pure quest'ultima con molte novità normative.

Permane tuttora un, comprensibilmente confusivo, margine di sovrapponibilità tra le nuove pene sostitutive e le persistenti misure alternative alla detenzione regolamentate ancora dalla legge sull'ordinamento penitenziario (l. n. 354/1975) ma decisivo è l'aspetto differenziale sottolineato tanto dalla riforma Cartabia quanto dal suo recentissimo correttivo del 2024 relativo alla parte genetica delle stesse misure: solo le pene sostitutive, infatti, possono essere ed anzi auspicabilmente sono direttamente applicabili dal giudice della cognizione in sede di pronuncia della sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti nonché in fase di decreto penale di condanna, mentre le misure alternative alla detenzione restano accessibili solo in fase esecutiva. Con ciò, resta riservata alla fase esecutiva la misura più favorevole di tutte in quanto non paracarceraria e davvero ispirata alla ratio più profonda del finalismo rieducativo della pena, quella dell'affidamento in prova al servizio sociale.

Le pene sostitutive

Le quattro pene sostitutive residuate nel rinnovato ordinamento normativo sono la semilibertà, la detenzione domiciliare, il lavoro di pubblica utilità e la pena pecuniaria, tutte affiancate dall'aggettivo “sostitutivo” fin dal titolo delle disposizioni ad esse dedicate. Anche l'innalzamento del limite di pena detentiva che può essere sostituita con le suddette misure, secondo una graduazione a scalare, come detto, conferma il netto favor del legislatore attuale per questa scelta: la pena detentiva contenuta entro i quattro anni può essere sostituita con la semilibertà o la detenzione domiciliare; quella contenuta entro i tre anni anche con il lavoro di pubblica utilità e quella che sarebbe determinata entro il limite di un anno può essere sostituita con la pena pecuniaria della specie corrispondente determinata ai sensi dell'art. 56-quater.

Nulla di questo impianto generale è stato toccato dal c.d. correttivo Cartabia, nel marzo 2024, che ha solo ampliato e sottolineato l'intento del legislatore di individuare nel momento del giudizio di merito piuttosto che nella fase esecutiva il momento preferenziale per l'applicazione delle pene sostitutive, così sollecitando ancora una volta imputati, difensore e pubblico ministero ad esplorare l'eventualità di una sostituzione come parte integrante dell'intera valutazione iniziale della fase processuale. Anche la possibilità di una sostituzione di pena, in altri termini, è da tenere in considerazione fin fai primi momenti della preparazione della fase processuale e presuppone interlocuzioni non solo tra le parti ma anche con eventuali soggetti esterni che possano e debbano essere coinvolti nella preparazione di un progetto.

Questo netto favor è evidente nella scelta della più recente riforma normativa di eliminare, quando possibile, il passaggio attraverso i due distinti momenti decisionali: quello della condanna alla pena e quello della sostituzione, previo ascolto dell'imputato sul punto ed eventualmente fissazione di nuova udienza per svolgere accertamenti funzionali all'individuazione dell'eventuale pena sostitutiva adeguata al caso concreto. Mentre, infatti, nella prima versione della riforma, era questo il fisiologico snodo logico temporale previsto per l'accesso alle pene sostitutive, adesso ai sensi del rinnovato art. 545-bis c.p.p., questo meccanismo verrà attivato solo se il giudice non abbia già tutti gli elementi necessari per la decisione, confermandosi così il ruolo sempre più incisivo e discrezionale attribuito al giudice della cognizione, allontanando il sistema nel suo complesso dal disegno di una scelta residuale ed eventuale rimessa solo al condannato o al suo difensore, che l'A.G. si limiterebbe a recepire e sancire, per avvicinarlo ad un meccanismo strutturale che preveda l'opzione per le pene sostitutive sempre di più come strutturale e fisiologica, relegando la negazione di tale strumento a situazioni sempre più residuali.

In sostanza, con le modifiche del correttivo Cartabia, la struttura bifasica del modello di sentencing all'anglosassone previsto inizialmente, che pure costituiva già momento di rottura con la normativa precedente, viene conservata solo come struttura concettuale, essendo tendenzialmente e preferibilmente azzerate sia la rimessione all'iniziativa delle parti in merito all'opzione per la pena sostitutiva, sia la dilazione temporale, qualora sussistano già tutti gli elementi per decidere se e quale pena sostitutiva il giudice debba e possa applicare, fermi restando i limiti e i presupposti oggettivi e soggettivi già previsti dalla riforma Cartabia, così come le condizioni ostative. Questo secondo momento decisionale, di fatto, non ha una sua esistenza autonoma ma si pone come mera integrazione del dispositivo appena emesso, fermo restando il termine di non oltre sessanta giorni per fissare una ulteriore udienza al fine di svolgere e completare gli accertamenti necessari a questa seconda parte della decisione.

Alcuni nodi critici

Orbene, non può essere taciuto che questa impostazione normativa, se da un lato è pienamente condivisibile quando evidenzia che non può spettare alle capacità organizzative dell'UEPE (vale a dire, alla disponibilità di risorse umane e materiali ripartite in maniera sicuramente non equa sul territorio) la valutazione discrezionale sul se applicare una pena sostitutiva e la scelta della pena stessa, ma è e resta una decisione dell'organo giudicante su richiesta o dietro consenso dell'imputato o del suo difensore munito di procura speciale, dall'altro lato ha suscitato perplessità in merito ad un duplice profilo: in primo luogo, alle evidenti e ben note criticità degli aspetti pratici di un sistema in cui non vi è ancora fluida comunicazione tra il mondo giudiziario e la gestione delle risorse esterne. In secondo luogo, è stata sollevata addirittura una decisa opposizione e addirittura sospetti di incostituzionalità, proprio verso la “imposizione” all'imputato di decidere circa la opzione per una pena sostitutiva subito dopo il dispositivo e non dopo la lettura delle motivazioni della sentenza di primo grado.  

La previsione, infatti, della eventualità di una sostituzione della pena immediatamente dopo la pronuncia del dispositivo come opzione maggiormente auspicabile, presuppone una facilità nell'acquisizione di informazioni pratiche sulla concreta articolazione delle pene sostitutive concretamente applicabili che nella realtà non esiste o quanto meno non esiste ancora.

Se poi si guarda alla questione dal punto di vista del giudicante o ancora peggio, dell'imputato, fuga realmente ogni dubbio la prospettiva di un giudice che immediatamente dopo la formazione (nella sua mente) del dispositivo si fa una idea precisa sulla applicabilità di una pena sostitutiva e sulla scelta della stessa? È vero che il legislatore dà per presupposta la maggiore auspicabilità della pena sostitutiva in quanto non carceraria pura, ma è pur vero che talvolta questo tipo di scelte, oltre alla questione della concreta praticabilità della stessa, sono il risultato della ponderazione di fattori più complessi (che sicuramente possono intersecarsi con le considerazioni inerenti la praticabilità di un appello, anche solo per questioni tecniche avulse dalla responsabilità penale per il fatto in sé, oppure alla situazione personale del soggetto ed al quadro dei suoi precedenti penali e giudiziari). Le perplessità sembrano aumentare se, come detto, si guarda alla questione dal punto di vista non solo e non tanto dell'anticipazione di giudizio che in tal modo, sia pure in minima parte e dentro di sé, il giudice verrebbe a subire, ma alla circostanza che la scelta verrebbe imposta allo stesso imputato senza avere in mano tutte le carte: in particolare, senza poter valutare la praticabilità di una impugnazione con la dovuta cognizione di causa delle motivazioni della decisione. È evidente, in sostanza, che il legislatore ha voluto imporre una contrazione temporale sulla manifestazione della libera scelta dell'imputato in merito alla questione pene sostitutive, sul presupposto, forse, della preferibilità “scontata” di una pena sostitutiva rispetto a quella carceraria pura. Analoga contrazione temporale ha voluto imporre, sia pure con la riserva della non decidibilità allo stato degli atti, alla decisione del giudice così ribadendo la propria opzione in questo campo come reso evidente proprio dalla impostazione del correttivo Cartabia rispetto alla formulazione leggermente più ambigua della riforma iniziale che sembrava legittimare una vera e propria ripartizione bifasica in cui il giudice aveva l'obbligo di dare avviso alle parti sulla base dei soli presupposti obiettivi e in fase anteriore alla decisione sulla idoneità della misura a prevenire il pericolo di recidiva, limitandosi a verificare il limite edittale della pena detentiva irrogata, la non concedibilità della sospensione condizionale della pena, l'assenza delle preclusioni di cui all'art. 59 l. n. 689/81, rimandando alla fase successiva a quella dell'avviso ogni valutazione sul merito della sostituibilità della pena ai sensi dell'art. 58 l. n. 689/81, favorita in ciò anche da una pronuncia della Cassazione secondo cui il consenso all'applicazione della pena sostitutiva non poteva essere espresso prima della lettura del dispositivo in quanto non vi sarebbe stato spazio per una istanza anteriore, perché solo il condannato, quando abbia avuto contezza della pena da sostituire, avrebbe potuto acconsentire e non anche richiedere l'applicazione di una pena sostitutiva. Ciò, peraltro, sembrerebbe dare anche una parziale risposta alle obiezioni di costituzionalità sopra accennate, dando in sostanza rilievo solo alla entità della pena e non alla motivazione o alla definitività della condanna.

Ciò che è chiaro, invece, è che ove il giudice, nell'esercizio del potere discrezionale di cui all'art. 58 l. n. 689/81, ritenga insussistenti i presupposti per la sostituzione della pena detentiva, non si attiva il meccanismo di sentencing, potendo egli pronunciare direttamente il dispositivo di condanna a pena detentiva non sostituita, debitamente motivando la scelta che può ovviamente costituire motivo di appello e, successivamente, di ricorso per cassazione.

La semilibertà

La semilibertà sostitutiva presenta delle caratteristiche strutturali volutamente diverse da quelle tipiche dell'omologa misura alternativa disciplinata dagli artt. 48 e ss. dell'ordinamento penitenziario: tendenzialmente, infatti, viene ribaltato il rapporto tra tempo che deve essere trascorso in istituto (in apposito istituto o apposita sezione di istituto ordinario) e il tempo di permanenza all'esterno. Secondo il disposto dell'art. 48 comma 1 ord. penit., infatti, il «regime di semilibertà consiste nella concessione al condannato … di trascorrere parte del giorno fuori dall'istituto per partecipare ad attività … utili al reinserimento sociale»; in altri termini, sia pure in mancanza di indicazioni puntuali sulle due componenti della giornata del semilibero, la presenza in istituto rappresenta la regola e il tempo trascorso all'esterno l'eccezione. Nella nuova semilibertà sostitutiva, invece, è fissato un numero minimo di ore (almeno otto al giorno) da trascorrere in istituto consentendo dunque che le rimanenti (anche sedici) ore al giorno siano trascorse all'esterno dando però una indicazione precisa sul loro impiego: «attività di lavoro, di studio, di formazione professionale o comunque utili alla rieducazione ed al reinserimento sociale» secondo un programma di trattamento approvato dal giudice e predisposto dall'ufficio di esecuzione penale esterna che avrà anche il compito di vigilare e assistere il condannato in semilibertà.

La detenzione domiciliare sostitutiva

Evidenti le differenze anche tra la nuova detenzione domiciliare sostitutiva e la detenzione domiciliare come misura alternativa disciplinata dall'art. 47-ter ord. penit. Quest'ultimo, infatti, quanto alle modalità esecutive rinvia all'art. 284 c.p.p. e dunque, come per la detenzione domiciliare ivi disciplinata, si consente al condannato di allontanarsi dall'abitazione su autorizzazione del giudice, «per il tempo strettamente necessario a provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita ovvero per esercitare una attività lavorativa», sempre però se egli non possa provvedere diversamente a quelle esigenze. La nuova detenzione domiciliare sostitutiva comporta l'obbligo di «rimanere nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico o privato di cura, assistenza o accoglienza ovvero in comunità o in case famiglia protette, per non meno di dodici ore al giorno (ndr a fronte delle ventiquattro potenzialmente raggiungibili nella omonima misura alternativa) avuto riguardo a comprovate esigenze familiari, di studio, di formazione professionale, di lavoro o di salute del condannato. In ogni caso, il condannato può lasciare il domicilio per almeno quattro ore al giorno, anche non continuative, per provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita e di salute, secondo quanto stabilito dal giudice».

Anche in questa misura, dunque, uno dei perni strutturali sarà il programma di trattamento elaborato dall'UEPE che ha anche il compito di riferire sulla condotta e sul percorso di reinserimento sociale del condannato con ciò rendendo evidente la natura differente della nuova detenzione domiciliare sostitutiva in quanto strumento orientato alla reintegrazione sociale del condannato e non, come l'omonima misura alternativa, al mero contenimento mitigato da contorni precipuamente umanitari.

Il nuovo articolo 56 l. n. 689/1981, pone anche limiti oggettivi ragionevoli alla individuazione del luogo di detenzione domiciliare sostitutiva (non può essere un immobile occupato abusivamente e deve assicurare le esigenze di tutela della persona offesa dal reato, prevedendosi anche la possibilità che l'UEPE individui soluzioni abitative comunitarie adeguate onde non tagliare fuori dall'applicabilità concreta della norma quelle fasce di popolazione carceraria che non dispongono di un domicilio idoneo). Si prevede anche la possibilità di applicare strumenti elettronici o tecnici di controllo per garantire ulteriore sicurezza sui movimenti del condannato in detenzione domiciliare sostitutiva.

Il lavoro di pubblica utilità sostitutivo

Anche il lavoro di pubblica utilità sostitutivo, disciplinato dal nuovo articolo 56-bis l. n. 689/81, definito come «prestazione di attività non retribuita in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le Regioni, le Province, le Città metropolitane, i Comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato» e solitamente svolta nell'ambito della regione in cui risiede il condannato, si discosta molto dall'archetipo rappresentato dall'omologa pena principale applicabile dal giudice di pace (ex art. 54 d.lgs. n. 274/2000) che derivava a sua volta dalla sanzione da conversione della pena pecuniaria prevista negli artt. 102 e 105 l. n. 698/81 (lavoro sostitutivo). Il nuovo istituto, infatti, fa espresso rinvio alla disciplina della pena applicabile dal giudice di pace, in quanto compatibile, fermo restando però che la sua durata deve essere corrispondente a quella della pena detentiva sostituita (con ciò differenziandosi nettamente dalla durata massima prevista per la pena applicabile dinanzi al GDP che è di sei mesi) ed è prevista la prestazione di non meno di sei ore e non più di quindici ore di lavoro settimanali (salvo che sia il condannato a chiedere espressamente di essere ammesso a lavorare per un tempo superiore) in maniera da non pregiudicare le persistenti e sempre richiamate esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato. La durata giornaliera della prestazione non può essere comunque superiore alle otto ore e ai fini del computo della pena un giorno di lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione di due ore di lavoro.

Un cenno merita anche la disposizione per cui l'autore del reato che opti per il lavoro di pubblica utilità sostitutivo di pena applicata con decreto penale di condanna o con sentenza di patteggiamento, può ottenere la revoca della confisca disposta qualora lo svolgimento del lavoro abbia avuto esito positivo e sia stato accompagnato dal risarcimento del danno o dalla rimozione delle conseguenze dannose del reato, ove possibili (salvi i casi di confisca obbligatoria del prezzo, del profitto o del prodotto del reato ovvero delle cose la cui fabbricazione, uso e porto, detenzione o alienazione costituiscano reato).

La pena pecuniaria sostitutiva

Per determinare l'ammontare della pena sostitutiva il giudice «individua il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l'imputato e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva. Il valore giornaliero non può essere inferiore a 5 euro e superiore a 2500 euro» e va commisurata in sostanza alle complessive condizioni economiche, patrimoniali e di vita dell'imputato e del suo nucleo familiare. Appare evidente, dunque, la scelta normativa di evitare che la possibilità di sostituzione di pena detentiva breve con pena pecuniaria tagli fuori una ampia fetta di condannati sulla base della disponibilità economica. Novità cruciale è anche il valore minimo della quota giornaliera che la legge n. 94/2009, modificando l'art. 135 c.p., aveva fissato in 250 euro. La disposizione era stata portata più volte all'attenzione della Corte costituzionale che, pur dichiarando, una prima volta, la questione inammissibile, aveva rilevato che «quel valore minimo rendeva eccessivamente onerosa, per molti condannati, la sostituzione della pena pecuniaria», rischiando di trasformarsi in privilegio per cittadini abbienti con evidenti profili di illegittimità costituzionale ai sensi dell'art. 3 comma 2 Cost. Di fronte all'inattività del legislatore, successivamente la Corte aveva dichiarato la disposizione dell'art. 135 c.p. illegittima sostituendo il minimo di 250 euro con 75 euro di nuovo però rinviando al legislatore perché individuasse soluzioni diverse ancor più conformi col principio di eguaglianza. Alla luce della evidente discrezionalità di giudizio attribuita così al giudice nel momento della sostituzione della pena detentiva breve con la pena pecuniaria sostitutiva, appare scontata la necessità di documentazione adeguata da produrre quanto prima in giudizio nel caso questa opzione sia ritenuta percorribile dall'imputato.

Disposizioni comuni sulle prescrizioni

Tutte le pene sostitutive, eccetto la pena pecuniaria, sono accompagnate da prescrizioni comuni dettate dall'art. 56-ter della rinnovata normativa: divieto di portare e detenere armi e munizioni; divieto di frequentare pregiudicati o persone sottoposte a misure di sicurezza o prevenzione; obbligo di permanere nell'ambito territoriale stabilito dal provvedimento applicativo; ritiro del passaporto e sospensione della validità ai fini dell'espatrio di ogni altro documento equipollente; obbligo di portare con sé e presentare a richiesta degli organi di polizia il provvedimento applicativo o esecutivo della pena sostitutiva. In più, come misura di protezione ulteriore della vittima del reato, perché il favor verso misure rieducative non diminuisca la protezione dovuta alla persona offesa dal reato, il giudice può prescrivere il divieto di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla persona offesa che seguirà le regole di applicazione della misura cautelare di cui all'art. 282-ter c.p.p.

I limiti oggettivi e soggettivi di applicabilità

Oltre ai limiti oggettivi di applicabilità delle pene sostitutive di cui si è già detto (quattro anni per la semilibertà o la detenzione domiciliare sostitutiva, tre anni per il lavoro di pubblica utilità sostitutivo e un anno per la pena pecuniaria sostitutiva), esistono condizioni soggettive di applicabilità che consistono sia in parametri fissi stabiliti dal legislatore delegato al nuovo articolo 59 l. n. 689/1981, sia parametri di inevitabile valutazione discrezionale rimessa al giudice di volta in volta.

Quanto alla durata della pena sostitutiva, essa sarà uguale a quella della pena sostituita per le prime tre misure. Ad ogni effetto giuridico le stesse si considerano pena detentiva di specie corrispondente a quella sostituita secondo un criterio di equiparazione di un giorno a un giorno, mentre la pena pecuniaria si considera sempre tale anche quando sostituisce una pena detentiva.

L'ambito di discrezionalità del giudice nel decidere se e quale pena sostitutiva applicare, è inevitabile e del tutto coerente con la ratio generale della riforma che vuole da un lato deflazionare le pene detentive brevi bilanciando questo obiettivo con una maggiore efficacia rieducativa e con l'esigenza special preventiva della pena: «il giudice tenuto conto dei criteri indicati nell'art. 133 c.p., se non ordina la sospensione condizionale della pena, può applicare le pene sostitutive della pena detentiva quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quanto, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurano la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati. La pena detentiva non può essere sostituita quando sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato». Tutte queste valutazioni devono essere sostenute da adeguata motivazione nel provvedimento del giudice e comunque vanno fatte salve le preclusioni soggettive previste normativamente dal nuovo articolo 59: nei confronti di chi ha commesso il reato entro tre anni dalla revoca di una pena sostitutiva già comminata o di chi ha commesso un delitto non colposo durante l'esecuzione delle stesse, situazione che consente tuttavia al giudice di sostituire la pena da comminare con una pena sostitutiva più grave di quella revocata; nei confronti di un imputato a cui deve essere applicata misura di sicurezza personale, salvo i casi di parziale incapacità di intendere e di volere; nei confronti di tutti gli autori dei reati compresi nell'elenco di cui all'art. 4-bis ord. penit. e salvo che sia stata riconosciuta l'attenuante di cui all'art. 323-bis comma 2 c.p.

Per l'imputato che sia stato condannato precedentemente a pena pecuniaria, anche sostitutiva e che abbia mancato di pagare, è preclusa l'applicazione della pena pecuniaria sostitutiva.

La violazione e la revoca delle pene sostitutive

Anche l'impianto normativo in punto di violazione ed eventuale revoca delle pene sostitutive dimostra il netto favor del legislatore per la conservazione della efficacia di tali strumenti pur quando non portati a termine dal condannato. È prevista, infatti, la possibilità per il giudice, in caso di mancata esecuzione della pena sostitutiva o di violazione grave e reiterata degli obblighi e delle prescrizioni ad essa inerenti, di determinarne la revoca e sostituire la parte residua con la pena detentiva sostituita ma anche con un'altra pena sostitutiva più grave. Anche in sede di correttivo, non sono state recepite le osservazioni formulate dalla commissione giustizia del Senato che aveva chiesto al governo di valutare la modifica dell'art. 62 l. n. 689/81 con l'introduzione della previsione del potere di revoca delle pene sostitutive quando non è sufficiente modificare modalità esecutive e prescrizioni in caso di sopravvenienza di fatti nuovi espressivi di una maggiore pericolosità sociale. È stato invece modificato l'art. 72 della citata legge sulla revoca delle pene sostitutive in caso di responsabilità penale: è stata prevista, dunque, la revoca della pena sostitutiva in caso di condanna a pena detentiva per un delitto non colposo commesso non più solo durante l'esecuzione ma anche dopo la semplice applicazione della pena sostitutiva.

Conclusioni

Data per scontata l'auspicabilità di un sistema efficiente di pene sostitutive di detenzioni brevi, perché meno criminogene e più funzionali ad un tentativo efficace di rieducazione del condannato, quello che sembra emergere dall'approccio legislativo della riforma e dal successivo correttivo, è la scelta del legislatore per un sistema fluido e temporalmente contratto a sufficienza, in cui lo scopo è favorire, ove possibile, l'accesso immediato a pene sostitutive il più possibile tarate sul reato e sulla personalità dell'autore, in cui la discrezionalità di scelta dei soggetti coinvolti sia funzionale il più possibile al sistema e allo scopo della rieducazione del condannato e della deflazione della popolazione carceraria, specialmente nelle detenzioni brevi, e non viceversa.  

È evidente che il processo di rivisitazione organica della disciplina delle sanzioni sostitutive di pene detentive brevi, ora definite francamente pene sostitutive a scanso di ulteriori ambiguità, muove dalla presa d'atto del sostanziale fallimento di questi strumenti: a fine 2021, secondo le statistiche tratte dal sito del Ministero della Giustizia, quattro risultavano i condannati in semidetenzione e centodue in libertà controllata, con un'incidenza pari allo 0,2% del numero complessivo dei soggetti in area esterna penale.

Finora, infatti, la sovrapposizione della sfera di operatività delle sanzioni sostitutive e della sospensione condizionale della pena rendeva di fatto le prime meno convenienti rispetto alla seconda in ogni caso.

Anche la sovrapposizione con talune misure alternative alla detenzione, in quanto applicabili ab initio, e dunque ancora in condizione di libertà attraverso il meccanismo della sospensione dell'esecuzione di cui all'art. 656 c.p.p., creava i presupposti per una sostanziale concorrenza funzionale rispetto alle sanzioni sostitutive a netto discapito di queste ultime, attesa l'assorbente forza attrattiva della sospensione condizionale della pena.

Con la riforma invece, oltre a mutare radicalmente la nozione legale di pena detentiva breve, con l'innalzamento da due a quattro anni, è venuta meno definitivamente l'equazione tra pena detentiva sospendibile e pena detentiva sostituibile.

Infatti, l'art. 61-bis c.p. espressamente esclude la possibilità di sospendere condizionalmente le pene sostitutive e con ciò tenta di dare nuova linfa al sistema sostitutivo di cui rinnega la natura di pene autonome riaffermandone piuttosto la natura di modalità esecutiva della pena comminata.

Sempre in questo quadro di netto favor del legislatore della riforma verso la disciplina delle pene sostitutive, si innesta l'esclusione, al condannato ad una delle pene sostitutive di cui agli artt. 55,56,56-bis l. n. 689/81, dell'applicazione dell'art. 120 d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285: da un lato, infatti, questa scelta normativa dovrebbe rendere le pene sostitutive realmente finalizzate al reinserimento sociale del condannato anche non privandolo di uno strumento fondamentale per gli spostamenti e per il lavoro; dall'altro ciò incrementa la forza attrattiva delle pene sostitutive rispetto alle omologhe misure alternative alla detenzione.

L'unica previsione di applicabilità che resta, nella pregressa zona di sovrapposizione tra pene sostitutive e misure alternative alla detenzione di cui al capo VI del titolo I della legge n. 354/1975, proviene dalla salvezza che la riforma ne ha fatto con la previsione del nuovo art. 47 comma 3-ter della citata legge per cui, in deroga alla regola generale, l'affidamento in prova al servizio sociale (che è pacificamente misura più favorevole delle pene sostitutive in quanto nemmeno lontanamente paracarceraria) possa essere concesso al condannato alle pene sostitutive della semilibertà o della detenzione domiciliare dopo l'espiazione di almeno metà della pena, a condizione che abbia serbato un comportamento tale per cui l'affidamento in prova appaia più idoneo alla rieducazione del condannato e assicuri comunque la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati. Acconsentire, dunque, alla semilibertà o alla detenzione domiciliare sostitutive, non preclude definitivamente la possibilità di accedere all'affidamento in prova.

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