Oblio oncologico e adozione
02 Settembre 2024
Il quadro normativo Il 2 gennaio 2024 è entrata in vigore la Legge n. 193 del 7 dicembre 2023, (pubblicata sulla G.U. del 18 dicembre 2023), “in materia di prevenzione delle discriminazioni e tutela dei diritti delle persone che sono state affette da malattie oncologiche”. Il testo normativo, accolto con favore dalle varie associazioni dei malati oncologici, ha lo scopo, in linea con i diritti costituzionali e internazionalmente riconosciuti, di garantire la parità di trattamento, la non discriminazione e il diritto all'oblio delle persone guarite da malattie oncologiche (art. 1 comma 1). La legge definisce, all'art. 1, il diritto all'oblio oncologico come “il diritto delle persone guarite da una patologia oncologica di non fornire informazioni, né subire indagini in merito alla propria pregressa condizione patologica”. Con la guarigione clinica, pertanto, viene garantita all'individuo la possibilità di esercitare i propri diritti in condizioni di uguaglianza rispetto al resto della popolazione. Presupposto fondamentale del riconoscimento del diritto in esame è che siano trascorsi (almeno) dieci anni dalla conclusione del trattamento attivo della patologia, in assenza di recidive o ricadute, ridotti a cinque anni nel caso in cui la malattia sia insorta prima del compimento del ventunesimo anno di età. In tali casi non è ammessa la richiesta di informazioni relative allo stato di salute della persona fisica contraente, concernenti patologie oncologiche ai fini della stipulazione o del rinnovo di contratti relativi a servizi bancari, finanziari, di investimento e assicurativi, nonché nell'ambito della stipulazione di ogni altro tipo di contratto, anche esclusivamente tra privati. Le disposizioni vengono inoltre applicate in relazione alle procedure concorsuali. Modificata altresì è la disciplina in tema di adozione e affidamento di minori. La vigilanza sull'applicazione delle nuove norme viene attribuita al Garante per la protezione dei dati personali. Scopo della legge Scopo del provvedimento è quello di rimuovere gli ostacoli che limitano le libertà e l’uguaglianza delle persone guarite da patologie oncologiche, come più volte sancito in ambito nazionale e internazionale. Si considerino innanzitutto gli artt. 2, 3 e 32 della nostra Carta Costituzionale, gli articoli 7, 8, 21, 35 e 38 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, del 3 febbraio 2021, nonché dell’articolo 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva in Italia con l. 848/1955. In tal senso si pone anche il Piano europeo di lotta contro il cancro di cui alla comunicazione della Commissione europea COM(2021) 44 final, del 3 febbraio 2021 che richiede al punto 6 di “Migliorare la qualità della vita dei pazienti oncologici, dei sopravvissuti alla malattia”. La questione è rilevante se si considera che, secondo i dati che emergono dal Piano oncologico nazionale 2023-2027, nel 2020 in Italia si contavano 3,6 milioni di persone alle quali era stato diagnosticato un tumore (1,9 milioni donne e 1,7 milioni uomini), cioè circa il 6% della popolazione italiana, con un aumento del 36% rispetto alle stime prodotte nel 2010. In questo grave contesto peraltro la ricerca fa passi da gigante cosicché, per fortuna, molti sono i casi di guarigione. Si consideri infatti che secondo la Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro circa 6 pazienti su 10 sono vivi dopo cinque anni da una diagnosi di cancro (il 59,4% degli uomini e il 65% delle donne). Sono, quindi, sempre più numerose le persone che riescono a superare la malattia o a convivere anche per molti anni con un tumore che in alcuni casi viene attualmente assimilato a una malattia cronica. Alcuni tipi di tumori non sono più incurabili e l’aspettativa di vita di chi è “guarito” diventa a volte uguale a quella di chi non ha mai ricevuto diagnosi di tumore. La ratio della legge è dunque quella di contrastare il fenomeno ricorrente per cui, nonostante l’avvenuta guarigione clinica, una consistente parte di persone guarite dal tumore diventa vittima di discriminazioni nell’esercizio dei propri diritti: impossibilità di accedere a mutui o finanziamenti, assicurazioni molto care, grossi limiti nel caso di ricerca di attività lavorativa, nonché in caso di adozione dei minori. La situazione in Europa Norme simili sono già in vigore in altri Stati europei. La Francia è stato il primo Paese a prevedere che le persone con pregressa diagnosi oncologica, trascorsi dieci anni dalla fine dei trattamenti (o cinque per coloro che hanno avuto il tumore prima della maggiore età) non sono tenute ad informare gli assicuratori o le agenzie di prestito sulla loro precedente malattia. Obiettivo primario, pertanto, è quello di migliorare l’accesso al credito e alle assicurazioni per gli ex malati, tenendo conto dell’aumento dell’aspettativa di vita. Ad oggi, dopo la Francia, anche Belgio, Lussemburgo, Olanda, Portogallo e Romania hanno provveduto ad emanare normative ad hoc. In generale, secondo le norme approvate in questi Paesi, nel contesto della richiesta di polizze assicurative e contratti di prestito o mutui, il periodo oltre il quale è possibile richiedere informazioni sulla storia clinica pregressa non può essere superiore a dieci anni dalla guarigione. Queste normative prevedono in alcuni casi delle liste di tumori che hanno dimostrato di avere una prognosi eccellente, e per i quali si individuano quindi tempistiche ridotte per esercitare tale diritto. Il Parlamento europeo ha in materia approvato la risoluzione “Rafforzare l’Europa nella lotta contro il cancro – Verso una strategia globale e coordinata” (Risoluzione del Parlamento europeo del 16 febbraio 2022 (2020/2267(INI) ). L’obiettivo è quello di garantire l’impegno delle Istituzioni Europee contro il problema e di dare sostegno ai pazienti affinché vivano più a lungo e in salute, nonché quello di ridurre le disuguaglianze e le iniquità in ambito sanitario. Il Parlamento in particolare ha chiesto il riconoscimento del diritto all’oblio, entro il 2025, per tutti i pazienti europei dopo dieci anni dalla fine del trattamento e fino a cinque anni se la diagnosi è stata formulata prima dei 18 anni di età. La l. 193/2023, come accennato, interviene anche in materia di adozione dei minori, modificando l'art. 22 comma 4, l. 184/1983 in relazione alle indagini sulle condizioni dei genitori che hanno richiesto l'adozione o l'affidamento. Com'è noto la disciplina prevede dei precisi requisiti per le coppie che desiderano diventare genitori adottivi. I due devono innanzitutto essere sposati tra loro da almeno tre anni e non separati nemmeno di fatto. Peraltro, il requisito della stabilità del rapporto può ritenersi realizzato anche quando i coniugi abbiano convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni, nel caso in cui il Tribunale per i minorenni accerti la continuità e la stabilità della convivenza, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto. Vi deve inoltre essere una differenza di età col minore adottato da un minimo di diciotto anni a un massimo di quarantacinque. Tali limiti di età possono essere comunque derogati, qualora il Tribunale per i minorenni accerti che dalla mancata adozione derivi un danno grave e non altrimenti evitabile per il minore. Inoltre l'adozione non è preclusa quando il limite massimo di età degli adottanti sia superato da uno solo di essi in misura non superiore a dieci anni, ovvero quando essi siano genitori di figli naturali o adottivi dei quali almeno uno sia in età minore, ovvero quando l'adozione riguardi un fratello o una sorella del minore già dagli stessi adottato. Infine, moglie e marito, devono essere reputati affettivamente idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i minori che intendono adottare: tali requisiti vengono valutati con opportuni accertamenti effettuati dal Tribunale per i minorenni che si avvale dei servizi socio assistenziali degli enti locali e delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere. La malattia degli aspiranti genitori La l. 184/1983 in realtà non indica alcuna preclusione rispetto a un'eventuale malattia o disabilità di uno dei membri della coppia. In generale, il più delle volte, viene richiesta una certificazione rilasciata da una struttura sanitaria pubblica che attesti lo stato di salute di entrambi i coniugi e, più nello specifico, lo stato di sana e robusta costituzione fisica. Molte sono state peraltro le situazioni in cui la richiesta della coppia è stata respinta a causa di gravi malattie: il cancro in fase avanzata, gravi condizioni cardiache, Parkinson, sclerosi multipla, disabilità in generale. Problemi sono sorti anche di fronte a diagnosi di HIV. Tutti casi in cui gli aspiranti genitori sono stati considerati non idonei per via dell'incertezza sulla loro capacità di prendersi cura di un bambino a lungo termine. A questi si aggiungano disturbi mentali quali ad esempio depressione o schizofrenia. In materia la giurisprudenza ha sottolineato che fermo restando che la salute fisica degli aspiranti alla dichiarazione di idoneità all'adozione vada valutata tenendo conto esclusivamente dell'interesse dell'adottando, che, già in stato di abbandono e con le sofferenze psicofisiche che tale stato comporta, ha diritto d'essere inserito in un ambiente familiare efficiente e stabile con riguardo anche alla salute dei genitori adottivi, qualora uno di essi presenti malattie, o “handicap”, o, comunque, menomazioni rilevanti, occorre valutare, caso per caso, se tali situazioni anomale siano tali da impedire all'adottante di adempiere compiutamente, con sufficiente efficienza fisica complessiva e con il necessario benessere psicologico, i compiti assistenziali ed educativi assunti con l'adozione. Va, cioè, valutato, di volta in volta, se il genitore possa, nonostante la propria limitazione fisica, svolgere le funzioni parentali così da consentire al minore di sviluppare integralmente ed in senso positivo la propria personalità (App. Torino, 30 gennaio 2001). Tra i problemi di salute che limitano la possibilità di adottare vi è sicuramente la malattia oncologica che può potenzialmente togliere presto un genitore al figlio. Da tempo peraltro veniva richiesto di stabilire che i soggetti guariti da un tumore potessero, passato vario tempo da una completa guarigione, omettere di dichiarare informazioni sul proprio passato sanitario e relative alla malattia pregressa. In tal senso si pone la legge in esame che modifica l'art. 22 l. 184/1983. Pertanto, attualmente una pregressa patologia oncologica non può più essere oggetto di indagini da parte dei servizi socio-assistenziali o dei Tribunali per determinare l'idoneità o meno dei genitori che hanno fatto richiesta di adozione, sempre nel rispetto delle condizioni fissate ossia mancanza di ricadute e superamento di un determinato lasso temporale. In conclusione Va evidenziato come la materia dell’adozione dei minori mal si presti, a differenza di altre materie, a un bilanciamento di interessi: in questo caso l'interesse del minore ad essere adottato da persone aventi tutti i requisiti e d'altra parte l’aspirazione di una coppia a diventare genitori adottivi. Come testimoniato dal titolo stesso della legge infatti, “Il diritto del minore a una famiglia”, in questo settore prevale l'interesse del minore. Ciò non toglie peraltro che la legge sull’ oblio oncologico, che è un provvedimento che aiuta gli adulti che hanno avuto gravi problemi e gravi patologie, non corrisponda all'interesse del minore. Un adulto con i requisiti stabiliti e quindi guarito già da molto tempo ha infatti, si ritiene, le stesse aspettative di vita di una persona che non ha mai avuto questo tipo di malattie. Sul tema, nelle more dell’approvazione della legge, era intervenuta l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, Carla Garlatti, sottolineando che l’oblio oncologico è un “diritto sacrosanto” dei genitori che intendono adottare e un segno di civiltà. Chiedeva peraltro una particolare attenzione nel caso specifico delle adozioni, campo nel quale non si può procedere per automatismi. La valutazione sulle condizioni di salute dei coniugi che intendono adottare deve essere svolta caso per caso. L’accertamento, che comprende diversi fattori, è giustificato, ha sostenuto la Garante, dalla responsabilità di scegliere un futuro stabile e roseo per ogni bambino che ha, alle sue spalle, un trascorso di sofferenza: una valutazione superflua in tale senso significherebbe disegnare l’adozione come un processo adulto-centrico volto a garantire alla persona di diventare genitore e non, al contrario, al bambino di avere una famiglia. Requisiti per adottare
|