Il Console Generale internazionale è legittimato a stare in giudizio per la tutela del minore straniero non accompagnato

06 Settembre 2024

L’impugnazione di un provvedimento giurisdizionale deve essere proposta nelle forme previste dalla legge per la domanda così come è stata qualificata dal giudice, sicché, laddove sia avviato un procedimento a tutela di minore straniero considerato non accompagnato, il provvedimento collegiale adottato dal Tribunale per i minorenni a chiusura del procedimento, con il quale sia confermata la nomina del tutore e siano date disposizioni per l’affidamento e il collocamento del minore, è reclamabile davanti alla Corte d’appello e la statuizione di quest’ultima è ricorribile per cassazione.

Il caso

Il Tribunale per i minorenni, con decreto, esaminati gli atti riguardanti la tutela di un minore di nazionalità ucraina, quale minore straniero non accompagnato dichiarava inammissibile la partecipazione al giudizio del Console Generale dello Stato Ucraino disponendo l'affidamento del bambino ai servizi sociali e dando disposizioni per il collocamento e l'adozione di altre misure e confermava la nomina del tutore nazionale. Il Tribunale per i minorenni dichiarava inammissibile l'intervento del Console Generale precisando che non era parente del minore e, pertanto, non era in alcun modo legittimato a partecipare al procedimento.

Avverso tale provvedimento veniva proposto reclamo dal Console Generale dello Stato Ucraino, presso la Corte di Appello competente, deducendo la propria legittimazione ai sensi della Convenzione di Vienna del 24 aprile 1963, ratificata con l. n. 804/1967, laddove l'art. 5, con la quale viene garantita la tutela dei minori dello Stato ucraino. Nel costituirsi il tutore nominato dal Tribunale per i minorenni eccepiva l'infondatezza del reclamo e l'inammissibilità dello stesso. La Corte territoriale dichiarava l'inammissibilità del gravame ritenendo che contro il provvedimento del Tribunale per i minorenni dovesse essere proposto direttamente ricorso per cassazione.

Avverso tale pronuncia veniva proposto ricorso per cassazione dall'appellante, sullo scorta di tre motivi, solo il tutore del minore si difendeva con controricorso.

Disamina dei motivi di censura

Col primo motivo del ricorso, si deduceva la violazione e la falsa applicazione dell'art. 739 c.p.c., in relazione all'art. 4 della Convenzione dell'Aia, per avere la Corte d'appello omesso di considerare che i provvedimenti provvisori emessi dal giudice minorile nell'ambito dei procedimenti ex  art. 330 e ss c.c., sono reclamabili, ex art. 739 c.p.c., innanzi alla Corte d'appello in quanto idonei a produrre effetti pregiudizievoli per i minori, incidendo sui diritti personalissimi e di primario rango costituzionale. Con il secondo motivo di ricorso, è dedotta, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 2, e n. 5 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell'art. 12, della Convenzione di Vienna, in relazione alle competenze e ai poteri riconosciuti al Console Generale con conseguente ammissibilità dell'intervento, oltre all'omesso esame sul punto della Corte d'appello. Con il terzo motivo di ricorso, è dedotta l'erronea applicazione, oltre la mancata applicazione delle convenzioni internazionali, in relazione alla legittimità della nomina consolare di tutore internazionale ed anche l'omesso esame di un fatto decisivo da parte del giudice del gravame poiché il bambino era un minore entrato in Italia accompagnato dai suoi rappresentanti legali, a cui era stato nominato un tutore internazionale da parte del Consolato.

La Suprema Corte riteneva che il primo e secondo motivo di ricorso andassero esaminati congiuntamente in ragione della stretta connessione esistente; tali motivi venivano ritenuti fondati.

Il decreto reclamato era stato proposto innanzi al Tribunale per i minorenni a tutela del minore sul presupposto che si trattava di minore straniero non accompagnato e si è concluso con la nomina del tutore ed anche con l'adozione di provvedimenti di affidamento e collocamento del minore.

L' intervento del Console Generale è stato effettuato al fine di dimostrare che il minore straniero non poteva ritenersi un minore non accompagnato, pertanto andava esclusa la nomina di un tutore nazionale da parte dello Stato italiano né andavano adottate altre misure  a protezione del minore. Ne consegue, quindi, che l'intervento del Console non aveva mutato la natura del procedimento. L' art. 67, comma 3, l. 218/1995, prevede che chiunque vi abbia interesse può chiedere il riconoscimento di atti e provvedimenti stranieri e tale interesse legittima anche l'intervento in giudizio ai fini del riconoscimento in via incidentale degli stessi, come nella specie effettuato dal Console nell'espletamento delle proprie funzioni consolari. Nel caso di specie, il Console Generale dello Stato Ucraino è intervenuto nel corso del procedimento avviato per l'adozione di misure a tutela di minori ucraini ritenuti non accompagnato, non al fine di ottenere l'accertamento della sussistenza delle condizioni per il riconoscimento del provvedimento di nomina di tutore internazionale; tuttavia il Tribunale per i minorenni, contravvenendo alle norme di diritto internazionale che regolamentano la tutela dei minori ha provveduto, oltre alla nomina del tutore, anche all'adozione di ulteriori misure statuendo sull'affidamento e sul collocamento del minore stesso, dando prescrizioni limitative agli affidatari e ai collocatari nell'interesse superiore del bambino. Si tratta di provvedimenti assunti all'esito di un procedimento camerale e reclamabili davanti alla sezione della Corte d'appello per i minorenni e poi ricorribili per cassazione.

L'accoglimento del primo e secondo motivo di ricorso comporta l'assorbimento del terzo, spettando alla Corte d'appello, quale giudice del reclamo, l'esame delle relative questioni.

In conclusione, la Suprema Corte accoglieva il primo e secondo motivo di ricorso, assorbiva il terzo e cassava il decreto impugnato con rinvio alla Corte d'Appello in diversa composizione la quale è chiamata a statuire anche sulle spese del giudizio di legittimità.

(Diritto e Giustizia)

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