La modificazione delle condizioni degli accordi di separazione mette alla prova il giudice del divorzio. Natura e limiti secondo la Corte di Cassazione

10 Settembre 2024

La Corte di cassazione si sofferma sulla differenza tra contenuto essenziale (o necessario) e contenuto eventuale (o accessorio) degli accordi di separazione.Gli accordi separativi possono ricomprendere una pluralità di pattuizioni che si distinguono in quelle che “hanno causa” nella separazione personale dei coniugi (contenuto essenziale) e quelle che, invece, risultano soltanto “occasionate” dalla separazione stessa (contenuto eventuale). Tale distinzione è fondamentale ai fini della disciplina giuridica applicabile.

Massima

Le condizioni contenute negli accordi di separazione consensuale, omologati dal tribunale, possono essere revocate o modificate dalle successive statuizioni divorzili solo nel caso in cui attengano al cosiddetto contenuto essenziale (o necessario) dell'atto e non, invece, laddove siano caratterizzate dal contenuto eventuale (o accessorio).

Spetta al giudice del divorzio interpretare le singole clausole dell'accordo di separazione, partendo dal senso letterale per poi, in subordine, seguire i criteri di cui agli artt. 1362-1365 c.c. e, in ulteriore subordine, le regole di cui agli artt. 1366-1371 c.c., con l'importante precisazione che anche un accordo di separazione “atipico” può corrispondere al contenuto essenziale dell'atto e può, dunque, essere revocato o modificato dalle successive statuizioni divorzili.

Il caso

La controversia nasce dalla richiesta di un uomo di ottenere la cessazione degli effetti civili del matrimonio dalla moglie, senza la previsione di alcuna ulteriore condizione, né in punto personale, né in punto economico.

La domanda del ricorrente trae origine dal precedente accordo di separazione consensuale, omologato dal Tribunale, con cui i coniugi, senza figli, avevano pattuito un assegno mensile di mantenimento in favore della moglie, di euro 6.000,00, nonché l’attribuzione, sempre in favore di quest’ultima e a titolo di ulteriore contributo al suo mantenimento, del diritto di godimento della casa familiare secondo le condizioni di cui all’art. 337-sexies, comma 1, c.c.

A fondamento della propria richiesta divorzile “senza ulteriori condizioni”, il marito deduceva il notevole ampliamento dell’attività imprenditoriale di creazione e vendita di articoli di moda della moglie, attività di cui quest’ultima era già titolare prima della separazione.

La moglie, pur aderendo alla domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio avanzata dal marito, chiedeva, di contro, l’attribuzione in proprio favore di un assegno divorzile pari a euro 15.000,00 mensili o, in subordine, in caso di mancata assegnazione della casa coniugale, di euro 25.000,00 al mese.

Il Tribunale dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio, revocava l’assegnazione della casa coniugale alla moglie e respingeva la richiesta di assegno divorzile.

La Corte d’Appello riformava la sentenza di primo grado, annullando la parte in cui era stata prevista la revoca dell’assegnazione della casa familiare e onerando il marito di versare alla moglie un assegno divorzile pari a euro 3.500,00 mensili.

L’uomo proponeva ricorso principale in Cassazione e l’ex moglie ricorso incidentale. La Suprema Corte cassa con rinvio la decisione impugnata.

La questione

Con l’ordinanza in commento, la Suprema Corte risponde al seguente quesito: la previsione di concessione in godimento della casa coniugale alla moglie non proprietaria contenuta in un accordo di separazione tra coniugi, senza figli, omologato dal Tribunale, può essere revocata dal giudice del divorzio?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione accoglie tre, dei sei, motivi contenuti nel ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale.

Nonostante l'ordinanza in esame prenda avvio dall'analisi - breve - del terzo motivo di ricorso, chiarendo cosa si debba intendere per principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e quando si configuri una sua violazione, la “questione fulcro” del provvedimento è la seguente: se e quando il giudice del divorzio possa modificare o revocare le condizioni contenute negli accordi di separazione consensuale tra i coniugi.

Per fornire una risposta a tale quesito, la Corte di Cassazione illustra:

a) la distinzione tra contenuto essenziale e contenuto eventuale degli accordi di separazione;

b) cosa si intenda per accordi tipici e accordi atipici;

c) come tali classificazioni incidano sulla disciplina giuridica da applicare.

Partendo dal primo punto, la Suprema Corte si è premurata di chiarire che l'accordo di separazione consensuale omologato dal Tribunale può contenere (e, dunque, possono coesistere nello stesso atto) sia condizioni di contenuto essenziale - ovvero quelle che devono essere presenti nell'accordo per permettere che esso venga giuridicamente ad esistenza e sia produttivo di effetti e che riguardano il consenso dei coniugi a vivere separati, il mantenimento del coniuge e dei figli, l'affidamento e il collocamento di questi ultimi, l'assegnazione della casa familiare - sia condizioni di contenuto eventuale - ovvero quelle che le parti possono includere volontariamente nell'accordo e la cui assenza non va ad incidere sull'efficacia e sulla validità dell'accordo stesso, trattandosi di un contenuto collegato solo occasionalmente ai diritti e agli obblighi derivanti dal matrimonio (a titolo esemplificativo, la divisione dei beni in comunione, la destinazione degli animali domestici, la disciplina del godimento della casa di vacanza, ecc.).

In senso conforme, si veda la precedente pronuncia n. 16909 del 19/08/2015 della Corte di Cassazione, con la quale i Giudici di legittimità avevano già chiarito come la separazione consensuale fosse un negozio di diritto familiare avente un contenuto essenziale e un contenuto eventuale, che possono coesistere nel medesimo atto.

Il contenuto eventuale fa riferimento a quegli accordi che non hanno causa nella separazione, ma risultano semplicemente assunti “in occasione” della stessa, costituendo espressione di libera autonomia contrattuale.

A questo punto, la Corte di Cassazione, con l'ordinanza in esame, compie un ulteriore passo in avanti e specifica che i due contenuti appena citati non corrispondono automaticamente alla distinzione tra pattuizioni tipiche (contenuto essenziale) o atipiche (solitamente contenuto eventuale).

Le parti, infatti, ben potranno prevedere modalità atipiche di regolamentazione dei loro rapporti a seguito della separazione che, però, attengono al contenuto essenziale delle condizioni di separazione.

Fatte queste premesse, la Corte di Cassazione si addentra nel cuore del problema.

I Giudici di legittimità evidenziano che, nonostante le pattuizioni di contenuto essenziale ed eventuale possano coesistere nello stesso atto, la disciplina giuridica loro applicabile risulta profondamente diversa.

In particolare, gli accordi che disciplinano il contenuto necessario della separazione possono essere revocati e modificati ex art. 710 c.p.c. (attuale art. 473-bis.29 c.p.c.) e vengono superati dalla pronuncia di divorzio.

Al contrario, le clausole dell'accordo separativo, caratterizzate dal contenuto eventuale (e, dunque, semplicemente “occasionate” dalla procedura separativa), sono assoggettate alla disciplina propria dei negozi giuridici e il giudice del divorzio non può revocarle o modificarne il contenuto.

Pertanto, la distinzione tra i diversi tipi di accordi separativi è fondamentale, poiché solo le condizioni che “sono causa” della separazione (ossia quelle caratterizzate dal contenuto essenziale) possono essere superate dalla nuova regolamentazione che segue al divorzio.

In senso conforme, si vedano l'ordinanza Cass. n. 24687/2022 e la sentenza Cass. n. 16909/2015 della Suprema Corte.

A questo punto è lecito domandarsi come si riconosca una clausola con contenuto essenziale rispetto a una con contenuto eventuale.

La Corte di Cassazione, sul punto, è chiara nell'affermare che sarà l'interprete a dover verificare se la pattuizione in esame, pur contenendo prestazioni diverse da quelle tipiche, sia da ricondurre al contenuto essenziale dell'accordo.

Solo in caso affermativo, la condizione in esame, riferita ai rapporti tra coniugi e contenuta nell'accordo di separazione consensuale, potrà essere “travolta” e, dunque, revocata o modificata dalla pronuncia di divorzio.

Sarà, pertanto, il giudice del merito, nell'esaminare l'accordo di separazione consensuale, a dover individuare la comune intenzione delle parti, nel rispetto dei criteri di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., e verificare se le condizioni separative contengano patti riconducibili all'una (contenuto essenziale) o all'altra categoria (contenuto eventuale).

La Suprema Corte afferma che, a tal fine, il primo strumento che il giudice dovrà utilizzare sarà il senso letterale delle parole e delle espressioni adoperate.

Solo laddove tale senso risulti ambiguo, il giudice ricorrerà ai canoni strettamente interpretativi previsti dall'art. 1362 all'art. 1365 c.c. e, ancora, in caso di loro inadeguatezza, a quelli interpretativi integrativi previsti dall'art. 1366 c.c. all'art. 1371 c.c.

In senso conforme sul punto, si vedano le pronunce della Corte di Cassazione 20 giugno 2024,  n. 17063, ove i giudici di legittimità hanno affermato che «per individuare la comune intenzione delle parti il giudice deve preliminarmente procedere all'interpretazione letterale dell'atto negoziale e delle singole clausole singolarmente e le une per mezzo delle altre. Il criterio previsto dall'art. 1367 c.c. ha carattere integrativo e sussidiario e postula che il giudice non sia stato in condizione di individuare il comune intento delle parti attraverso l'utilizzazione dei criteri previsti dalle precedenti disposizioni (artt. 1362 e ss. c.c.); in caso contrario, l'interpretazione conservativa non può aver luogo», e Cass. n. 33451/2021, in cui si legge che «solo se il dato letterale della norma possa risultare ambiguo, può farsi ricorso agli altri canoni strettamente interpretativi (art. 1362-1365 c.c.) e, in caso di insufficienza, a quelli interpretativi integrativi previsti dagli artt. 1366-1371 c.c.».

Sempre con l'ordinanza in esame, come anticipato poco sopra, la Corte di Cassazione, nell'analizzare e accogliere il primo motivo di ricorso, chiarisce nuovamente anche il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

Richiamando alcune precedenti pronunce (cfr. in senso conforme, Cass., sez. VI - 5, ord., 3 luglio 2019, n. 17897; Cass., sez. III, sent., 26 ottobre 2009, n. 22595), la Suprema Corte afferma che la violazione del predetto principio si configura ogniqualvolta il giudice modifichi il petitum e/o la causa petendi, attribuendo o negando a una delle parti del procedimento un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente, nell'ambito delle domande avanzate dalle parti stesse.

Sulla scorta di tale assunto, la Corte di cassazione nega la sussistenza di una violazione del principio tra il chiesto e il pronunciato laddove, da un lato, la questione su cui la stessa ha deciso fosse entrata chiaramente a far parte della materia del contendere già nel primo grado di giudizio e, dall'altro, si comprenda, dalla lettura degli atti, quella che è la volontà delle parti, nonostante tale intenzione non sia dettagliatamente esplicitata nelle domande.

Da ultimo, il giudice di legittimità, nel dichiarare inammissibile il quinto motivo del ricorso, chiarisce l'ammissibilità del documento che venga allegato alle note scritte che sostituiscono l'udienza di precisazione delle conclusioni.

In questi termini, il documento sopravvenuto, allegato alle predette note scritte, è chiaramente offerto all'esame della controparte, la quale, prima della data fissata per l'udienza cartolare, può depositare ulteriori note per contestare, in rito o nel merito, la produzione avversaria.

Sul punto, la Suprema Corte enuclea il principio secondo cui la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l'interesse all'astratta regolarità dell'attività giudiziaria, ma garantisce solo l'eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione. Parimenti è da ritenersi inammissibile l'impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le precise ragioni per le quali l'erronea applicazione della norma processuale abbia comportato una lesione del diritto di difesa.

Sul punto, si veda in senso conforme Cass. ord. 20 novembre 2020, n. 26419.

Osservazioni

Con l’ordinanza in esame, la Corte di cassazione offre un importante spunto di riflessione per interrogarsi su quali siano gli accordi di separazione che possono essere revocati o modificati dalle condizioni divorzili e quali, invece, no, tracciando una strada più chiara e lineare per i giudici del divorzio, ai quali la Suprema Corte “lancia”, così, un alert.

I Giudici di legittimità, infatti, invitano a prestare molta attenzione alla distinzione tra pattuizione tipica e atipica, ponendo in correlazione tale distinzione con la ripartizione tra contenuto essenziale ed eventuale.

Di prassi, le pattuizioni “tipiche” corrispondono al contenuto essenziale dell’accordo di separazione, trattandosi di pattuizioni collegate direttamente al rapporto matrimoniale, mentre, le pattuizioni “atipiche” coincidono con tutti quei negozi, di contenuto eventuale, con finalità divisoria, risarcitoria, compensativa, attraverso i quali i coniugi intendono provvedere ad una sistemazione, tendenzialmente globale, dei loro interessi economici a seguito del consegui­mento del nuovo status (cfr. Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minori, “Tipicità e atipicità degli accordi di separazione e divorzio”, di Michele Ruvolo, Presidente Sezione civile, Tribunale di Marsala).

Tuttavia, una simile automatica connessione (ovvero, accordo tipico=contenuto essenziale e accordo atipico=contenuto eventuale) rischia di trarre in inganno.

Proprio per tale motivo, la Suprema Corte sottolinea come le parti possano, da un lato, prevedere modalità atipiche di regolamentazione dei loro rapporti a seguito della separazione che, però, dall’altro lato, entrano a far parte del contenuto essenziale delle condizioni di separazione, facendo così venire meno il binomio “accordo tipico=contenuto essenziale” e “accordo atipico=contenuto eventuale”.

E come riconoscere se ci si trovi di fronte a una condizione separativa dal contenuto eventuale o, invece, essenziale, posto che, come si è visto, non sempre quest’ultimo corrisponde a un accordo tipico?

A questo punto, entra in gioco l’interpretazione dell’accordo.

Il giudice (in questo caso, del divorzio) si concentrerà, dapprima, sul senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate dalle parti.

Tuttavia, laddove il senso letterale risulti ambiguo, egli dovrà utilizzare i canoni interpretativi previsti dagli artt. 1362 (intenzione dei contraenti), 1363 (interpretazione complessiva delle clausole), 1364 (espressioni generali) e 1365 (indicazioni esemplificative) c.c..

Se anche tali criteri risulteranno insufficienti, solo allora il giudice dovrà ricorrere a quelli interpretativi-integrativi previsti dagli artt. 1366 (interpretazione di buona fede), 1367 (conservazione del contratto), 1368 (pratiche generali interpretative), 1369 (espressioni con più sensi), 1370 (interpretazione contro l’autore della clausola) e 1371 (regole finali) c.c.

Alla luce di tutte le considerazioni sopra svolte, emerge con evidenza come la pronuncia in esame offra innumerevoli spunti di approfondimento (che, in tale sede, risulta impossibile analizzare interamente e nel dettaglio) su differenti tematiche, a partire dalla natura dell’accordo di separazione. Natura chiaramente negoziale che lascia alle parti libero sfogo alla fantasia e ai propri desiderata.

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