La configurabilità del reato di cui all’art. 316-ter c.p. in caso di risparmio di spesa

16 Settembre 2024

È configurabile il delitto di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato quando, per effetto della condotta illecita, l’agente non percepisca un’erogazione, ma ottenga di versare nelle casse pubbliche una somma inferiore a quella dovuta?

Questione controversa

L'art. 316-ter c.p. incrimina colui che «mediante l'utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l'omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, sovvenzioni, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee»: ci si chiede se la formulazione letterale della fattispecie osti alla configurabilità del reato quando il risultato che l'agente consegue con la condotta decettiva consiste non nella percezione di denaro pubblico, ma in un risparmio di spesa.

Possibili soluzioni
Prima soluzione Seconda soluzione

La giurisprudenza di legittimità si è espressa nel senso che anche l'ottenimento di una riduzione dei contributi dovuti - conseguente alla omessa indicazione di elementi rilevanti, dei quali la legge imponeva la comunicazione - integra il reato previsto dall'art. 316-ter c.p., che può dunque consistere anche nella percezione da parte dell'I.N.P.S. di «erogazioni in forma di risparmio di spesa» (da ultimo, Cass. pen., sez. VI, 21 giugno 2022, n. 29674).

Questo orientamento evidenzia che la fattispecie incriminatrice in oggetto prevede un reato a carattere residuale e sussidiario rispetto a quello incriminato dall'art. 640-bis c.p., assicurando una tutela aggiuntiva e complementare al bene giuridico tutelato, così da coprire gli eventuali margini di scostamento - per difetto - del paradigma punitivo della truffa rispetto alla fattispecie della frode, e richiama i principi affermati in materia dalle Sezioni Unite, che sono intervenute in materia con due sentenze, dapprima precisando il perimetro della fattispecie, rispetto al delitto di truffa aggravata (Cass. pen., sez. un., 19 aprile 2007, n. 16568, Carchivi) e, in seguito, valorizzando la collocazione dell'art. 316-ter c.p. tra i delitti contro la pubblica amministrazione e gli elementi descrittivi che compaiono tanto nella rubrica che nel testo della norma, per affermare che la volontà del legislatore è quella di perseguire la percezione sine titulo delle erogazioni conseguite in via privilegiata dagli enti pubblici, e per precisare il concetto stesso di “erogazione” (Cass. pen., sez. un., 16 dicembre 2010, dep. 2011, n. 7537, Pizzuto).

In particolare, le Sezioni Unite “Pizzuto” hanno ritenuto che integra il delitto di cui all'art. 316-ter c.p. anche la indebita percezione di erogazioni pubbliche di natura assistenziale, tra le quali, in particolare, quelle concernenti la esenzione del ticket per prestazioni sanitarie ed ospedaliere, poiché «nel concetto di conseguimento indebito di una erogazione da parte di enti pubblici rientrano tutte le attività di contribuzione ascrivibili a tali enti, non soltanto attraverso l'elargizione precipua di una somma di danaro ma pure attraverso la concessione dell'esenzione dal pagamento di una somma agli stessi dovuta, perché anche in questo secondo caso il richiedente ottiene un vantaggio e beneficio economico che viene posto a carico della comunità. La nozione di “contributo” va intesa, infatti, quale conferimento di un apporto per il raggiungimento di una finalità pubblicamente rilevante e tale apporto, in una prospettiva di interpretazione coerente con la ratio della norma, non può essere limitato alle sole elargizioni di danaro» (1).

In senso contrario - pur se in riferimento alla diversa fattispecie di truffa aggravata - si è rilevato che «mentre il requisito del profitto ingiusto può comprendere in sé qualsiasi utilità, incremento o vantaggio patrimoniale, anche a carattere non strettamente economico, l'elemento del danno deve avere necessariamente contenuto patrimoniale ed economico, consistendo in una lesione concreta e non soltanto potenziale che abbia l'effetto di produrre - mediante la “cooperazione artificiosa della vittima” che, indotta in errore dall'inganno ordito dall'autore del reato, compie l'atto di disposizione - la perdita definitiva del bene da parte della stessa». Nella specie la Corte ha escluso, per la insussistenza dell'elemento del danno, la configurabilità del delitto di truffa in un caso di mancata corresponsione ad una dipendente, da parte del datore di lavoro, di indennità di malattia e assegni familiari portati comunque a conguaglio dall'Inps, ravvisando in astratto la configurabilità del reato di appropriazione indebita (2).

(1Cass. pen., sez. VI, 21 giugno 2022, n. 29674; Cass. pen., sez. VI, 26 novembre 2019, dep. 2020, n. 7963; Cass. pen., sez. II, 23 novembre 2016, n. 51334; Cass. pen., sez. II, 16 marzo 2016, n. 15989; Cass. pen., sez. II, 17 ottobre 2014, n. 48663.

        

(2Cass. pen., sez. II, 15 gennaio 2013, n. 18762.

Rimessione alle Sezioni Unite

Cass. pen., sez. VI, 7 maggio 2024, n. 27639

I giudici rimettenti erano chiamati a scrutinare il ricorso per cassazione della società condannata alla sanzione pecuniaria in relazione al delitto di cui all'art. 316-ter c.p.: la condotta contestata atteneva alla illecita riduzione dei contributi pagati per 210 dipendenti, che la società imputata aveva assunto dopo la loro messa in mobilità da parte di altra società che presentava un assetto proprietario sostanzialmente coincidente (circostanza, quest'ultima, espressamente prevista dalla legge quale condizione ostativa alla riduzione dei contributi).

Il ricorrente eccepiva, nell'unico motivo di doglianza, la mancata declaratoria della prescrizione del reato di cui all'art. 316-ter c.p., poiché tra la data di invio dell'ultimo modello DM10 e quella del primo atto interruttivo della prescrizione erano trascorsi più di cinque anni.

La Sesta Sezione ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, ai sensi dell'art. 618, comma 1-bis, c.p.p., non condividendo il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite “Pizzuto”, secondo cui il reato di cui all'art. 316-ter c.p. non presuppone necessariamente un'elargizione pubblica, ma è integrato anche nel caso in cui il richiedente ottiene un vantaggio economico che viene posto a carico della comunità.

Osservano i giudici rimettenti che «L'indicazione all'interno dei primi due commi della fattispecie incriminatrice delle espressioni “contributi, sovvenzioni, finanziamenti, mutui agevolati, o erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee” e “somma indebitamente percepita” sembra richiedere l'effettiva riscossione, da parte del soggetto agente, di somme di denaro erogate dagli Enti pubblici, a seguito delle condotte decettive od omissive delineate nella norma. Al contrario, parrebbero sfuggire all'ambito applicativo della disposizione penale i casi in cui non si realizza alcuna percezione di denaro pubblico, ma si ottiene il mero conseguimento di un risparmio di spesa, nel senso di versare all'Ente pubblico una somma inferiore a quella che è dovuta. In tal senso sembrerebbe deporre anche la modifica della rubrica di detto reato che, originariamente denominata “indebita percezione a danno dello Stato”, a seguito della legge n. 25 del 2022 è divenuta “indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato”, modifica che la dottrina ha ritenuto funzionale a renderla più coerente con il contenuto della disposizione».

Dunque, l'incriminazione ai sensi dell'art. 316-ter c.p. delle ipotesi nelle quali l'agente ha ottenuto non un'elargizione, ma un risparmio di spesa «comporterebbe una, non consentita, espansione dell'ambito applicativo del reato che non risulta in sintonia con il principio di tassatività e determinatezza della fattispecie penale».

È stato, altresì, sottoposto alle Sezioni Unite, questa volta ai sensi dell'art. 618, comma 1, c.p.p., un altro quesito, da scrutinare nel solo caso in cui si ritenga configurabile nel caso di specie il delitto di cui all'art. 316-ter c.p., relativo alle modalità di computo dei termini di prescrizione del reato.

Ed invero, ove si ritenga che quello in oggetto sia reato a consumazione prolungata, la prescrizione inizierebbe a decorrere alla data dell'ultimo illecito risparmio di spesa: applicando il principio al caso di specie, dovrebbe riconoscersi che, nel momento in cui fu posto in essere il primo atto interruttivo, i termini minimi di prescrizione non erano decorsi.

In tal senso Cass. pen., sez. II, 23 ottobre 2013, n. 48820, secondo cui «il reato di cui all'art. 316-ter c.p. si consuma quando l'agente consegue la disponibilità concreta dell'erogazione, sicché nel caso di erogazioni protratte nel tempo, il momento consumativo del reato e, quindi, il termine da prendere in esame ai fini della prescrizione coincide con la cessazione dei pagamenti», nonché Cass. pen., sez. VI, 23 settembre 2021, n. 45917, secondo cui, nella valutazione del superamento della soglia di punibilità prevista dall'art. 316-ter comma 2, c.p., occorre tener conto della complessiva somma indebitamente percepita dal beneficiario e non di quella allo stesso corrisposta con cadenza periodica, ove le erogazioni conseguano ad una iniziale ed unitaria condotta, essendosi in presenza di «un reato a consumazione prolungata, giacché il soggetto agente sin dall'inizio, tacendo la doverosa comunicazione, intende realizzare un evento destinato a protrarsi nel tempo. In tal caso, il momento consumativo e il dies a quo del termine di prescrizione coincidono con la cessazione dei pagamenti perdurando il reato - ed il danno addirittura incrementandosi - fino a quando non vengano interrotte le riscossioni indebite».

Ove, invece, l'illecito debba essere scisso in una serie di indebite percezioni (nella specie, una per ciascuno dei mesi nei quali la società inviò il modello DM 10, indicante il versamento dei contributi illecitamente ridotti), dovrebbe dichiararsi l'estinzione di tutti i fatti commessi più di cinque anni prima della data del primo atto interruttivo.

In questa ottica, potrebbe valorizzarsi l'orientamento giurisprudenziale espresso da Cass. pen., sez. VI, 4 giugno 2021, n. 31223, secondo cui in tema di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, il superamento della soglia di punibilità indicata dall'art. 316-ter, comma 2, c.p. integra un elemento costitutivo del reato e non una condizione obiettiva di punibilità, sicché è irrilevante che il beneficiario consegua in momenti diversi contributi che, sommati tra loro, determinerebbero il superamento della soglia, in quanto rileva il solo conseguimento della somma corrispondente ad ogni singola condotta percettiva. In tale pronuncia si è evidenziato che «in caso di comportamenti reiterati nel tempo, ai fini della rilevanza penale della condotta, occorre avere riguardo al risultato economico derivato da ciascuna delle condotte decettive produttive di un'erogazione non dovuta - in quanto integranti autonomamente reato - e non anche alla somma di essi. Ciò diversamente da quanto previsto in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali sanzionato dall'art. 2 d.l. 12 settembre 1983, n. 463, in relazione al quale la legge prevede expressis verbis una soglia di punibilità “annua”».

Sono stati, dunque, rivolti alle Sezioni Unite i seguenti quesiti: a) «se nell'ambito applicativo dell'art. 316-ter c.p. rientri il risparmio di spesa derivante dal versamento parziale dei contributi previdenziali dovuti in ordine ai lavoratori in mobilità assunti dall'impresa, a seguito della mancata comunicazione dell'esistenza di condizione ostativa all'applicazione della riduzione dell'ammontare dei contributi medesimi»; b) «se, in caso di reiterate percezioni periodiche di contributi erogati dallo Stato, il reato di cui all'art. 316-ter c.p. debba considerarsi unitario, con la conseguenza che la relativa consumazione cessa con la percezione dell'ultimo contributo, ovvero se, in tali casi, sussistano plurimi reati corrispondenti a ciascuna percezione».

Le Sezioni Unite tratteranno il ricorso nell'udienza del 28 novembre 2024.

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