Fiscalità energetica: il somministrato e l’azione di rimborso della rivalsa indebitamente versata per incompatibilità dell’imposta con il diritto eurounitario

13 Settembre 2024

La Corte di giustizia UE, con sentenza 11 aprile 2024, nella causa C-316/22, afferma da un lato che l'art. 288 terzo comma TFUE impedisce che il giudice nazionale disapplichi, in una controversia tra privati, una norma nazionale che prevede una imposta (l'addizionale all'accisa sull'energia elettrica) contraria a una direttiva, dall'altro che viola il principio di effettività una norma nazionale che non permette al consumatore finale di chiedere direttamente a uno Stato membro (lo Stato italiano) il rimborso della rivalsa operata nei suoi confronti dal fornitore per l'addizionale indebitamente versata al fisco.

Il caso

Il somministrato versa al fornitore, in rivalsa, l'addizionale all'accisa di cui all'art. 6 d.l. n. 511/1988, poi abrogata dall'art. 2, comma 6, d.lgs. n. 23/2011 perché in contrasto con il diritto comunitario, e successivamente propone, nei confronti del fornitore medesimo, azione di rimborso delle somme versate indebitamente alla stregua del diritto eurounitario.

Due società di diritto italiano hanno concluso con i rispettivi fornitori contratti per la fornitura di energia elettrica per i loro siti di produzione e, per gli anni 2010 e 2011, hanno versato le somme dovute in base ai contratti, comprensive della indicata addizionale di cui all'art. 6 d.l. n. 511/1988, abrogata dall'art. 2, comma 6, d.lgs. n. 23/2011, con decorrenza dal 1° gennaio 2012 (per le regioni a statuto ordinario).

Il Tribunale di Como – dinanzi al quale, nel 2020, le due società, con distinti giudizi (poi riuniti), hanno convenuto i fornitori al fine di ottenere il rimborso delle somme pagate per l'addizionale in quanto incompatibile con la direttiva 2008/118/CE relativa al regime generale delle accise – ha sottoposto alla Corte di giustizia due questioni pregiudiziali, dopo avere sottolineato che le due controversie s'iscrivono in un contenzioso seriale sulla sorte delle somme indebitamente pagate dai consumatori finali nel periodo compreso tra il termine concesso agli Stati membri per conformarsi alla direttiva 2008/118/CE e l'abrogazione, da parte del legislatore italiano, dell'addizionale all'accisa sull'elettricità.

L'esito del giudizio, osserva il giudice del rinvio, dipende dall'adesione all'uno o all'altro orientamento seguito dai giudici di merito: secondo una prima impostazione, in una controversia tra privati, il giudice non può disapplicare una disposizione nazionale incompatibile con una direttiva dell'Unione che, per la giurisprudenza della Corte UE, è priva di “effetto diretto orizzontale”; il secondo indirizzo (che valorizza l'obbligo di interpretare il diritto interno, a partire dalla data di scadenza del termine di trasposizione della direttiva, alla luce del testo e delle finalità di quest'ultima, onde raggiungere i risultati che essa si prefigge) afferma che il principio dell'effetto diretto (soltanto) verticale delle direttive non osta a constatare il carattere indebito di un pagamento in un rapporto orizzontale “di rivalsa” (che è quello che intercorre tra il fornitore dell'energia elettrica – soggetto passivo dell'imposta – e il somministrato, il quale si fa carico dell'onere economico supplementare dell'addizionale) in forza del collegamento tra detto rapporto negoziale e quello tributario, il cui divieto posto dal diritto europeo opera direttamente.

La questione: in una controversia tra privati, può il giudice nazionale procedere alla disapplicazione di una disposizione di diritto interno incompatibile con una direttiva priva di “effetto diretto orizzontale”?

Ricostruiti i fatti di causa, il Tribunale di Como ha sottoposto alla Corte di Lussemburgo due quesiti:

(1) se il sistema delle fonti del diritto dell'Unione e, nello specifico, l'art. 288, terzo comma, TFUE ostino alla disapplicazione, da parte del giudice nazionale, in una controversia tra privati, di una disposizione del diritto interno in contrasto con una disposizione chiara, precisa e incondizionata di una direttiva non recepita o non correttamente recepita, con la conseguenza di imporre un obbligo aggiuntivo a un singolo, qualora ciò costituisca, secondo il sistema normativo nazionale (art. 14, quarto comma, d.lgs. n. 504/1995), il presupposto perché quest'ultimo possa far valere contro lo Stato i diritti attribuitigli dalla direttiva;

(2) se il principio di effettività osti a una normativa nazionale (il citato quarto comma dell'articolo 14) che non consente al consumatore finale di chiedere il rimborso dell'imposta indebita direttamente allo Stato, bensì gli riconosce soltanto la facoltà di esperire un'azione civilistica per la ripetizione nei confronti del soggetto passivo, unico legittimato a ottenere il rimborso dal fisco, laddove l'unica ragione di illegittimità dell'imposta (cioè, la sua contrarietà a una direttiva) possa essere fatta valere esclusivamente nel rapporto tra il soggetto obbligato al pagamento e l'A.F., ma non in quello tra il primo (il fornitore) e il cliente, così impedendo, di fatto, l'operatività del rimborso o se, per garantire il rispetto dell'indicato principio, debba riconoscersi, in un caso siffatto, la legittimazione diretta del consumatore finale nei confronti dell'erario, quale ipotesi di impossibilità o eccessiva difficoltà di conseguire dal fornitore il rimborso dell'imposta indebitamente pagata.

La soluzione giuridica

In forza dell'art. 288, terzo comma, TFUE, il giudice nazionale non può, di regola, procedere alla disapplicazione, in una controversia tra privati, della norma interna che istituisce un'imposta indiretta (nella specie un'addizionale all'accisa) contraria ad una direttiva, chiara precisa ed incondizionata, non trasposta correttamente. Tuttavia, “il principio di effettività” osta ad una normativa nazionale che non consenta al consumatore finale di proporre nei confronti dello Stato membro, diretta azione rimborso di quanto indebitamente versato a causa della non corretta trasposizione di una direttiva da parte dello Stato medesimo.

La Corte di giustizia risolve in termini negativi la prima questione, nel senso che, in forza dell'art. 288, terzo comma, TFUE, di regola, il giudice nazionale non può disapplicare, in una controversia tra privati, una norma interna che istituisce una imposta indiretta (nella specie, l'addizionale all'accisa) contraria a una direttiva – chiara, precisa e incondizionata – non trasposta.

E questo perché, spiega la pronuncia unionale, in base al terzo comma dell'articolo 288, il carattere vincolante di una direttiva, sul quale si fonda la possibilità di invocarne l'applicazione, sussiste soltanto nei confronti dello “Stato membro cui è rivolta”, sicché, per la giurisprudenza costante della Corte, una direttiva non può di per sé creare obblighi in capo a un singolo e non può quindi essere invocata nei confronti di quest'ultimo dinanzi al giudice nazionale.

Di segno opposto è il responso della Corte all'interrogativo del giudice nazionale se il principio di effettività osti o meno a una norma di diritto interno che non permette al consumatore finale di chiedere direttamente allo Stato membro il rimborso della somma pagata dal fornitore, e addebitata al cliente a titolo di rivalsa, per l'addizionale contraria a una direttiva non trasposta, ma gli consente soltanto di agire per la ripetizione dell'indebito nei confronti del fornitore, qualora l'unico motivo di illegittimità dell'imposta (rappresentato dalla contrarietà a una direttiva) non possa essere fatto valere nell'azione di ripetizione dell'indebito tra il consumatore e il fornitore, in ragione dell'impossibilità di invocare una direttiva in una controversia tra privati.

Il giudice europeo, rimarcata la contrarietà del diritto dello Stato membro che impone l'addizionale alla direttiva 2008/118, pone l'accento sul principio di effettività della tutela e riconosce al consumatore finale la possibilità di agire direttamente nei confronti del fisco per il rimborso dell'addizionale.

Infatti, illustra la sentenza: «(i) secondo la giurisprudenza della Corte, gli Stati membri sono tenuti a rimborsare le imposte percepite in violazione del diritto dell'Unione, salva la deroga in senso negativo nell'ipotesi in cui la restituzione dell'imposta comporterebbe un arricchimento senza causa dell'avente diritto, ossia del soggetto passivo dell'imposta che ne abbia traslato l'onere direttamente sul consumatore finale; (ii) in assenza di una normativa eurounitaria in materia, spetta all'ordinamento giuridico interno dello Stato membro stabilire – nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività - le procedure per l'esercizio del diritto al rimborso dell'addizionale; (iii) in particolare, (cfr. il punto 34 della decisione) “qualora tale rimborso si rivelasse impossibile o eccessivamente difficile da ottenere rivolgendosi ai fornitori interessati, il principio di effettività esigerebbe che il consumatore sia in grado di rivolgere la propria domanda di rimborso direttamente allo Stato membro interessato».

Passando dalla cornice concettuale in medias res, la Corte desume dagli atti di causa che l'addizionale all'accisa sull'elettricità era dovuta dai fornitori, i quali a loro volta si rivalevano sui consumatori finali (artt. 53, 16, comma 2, d.lgs. n. 504/1995) che, come indica il giudice del rinvio, non possono chiedere allo Stato italiano il rimborso dell'onere economico supplementare che si sono accollati, ma debbono agire per il rimborso esclusivamente nei confronti dei fornitori.

Dal basilare assioma che una direttiva non (correttamente) trasposta non può creare in capo a un singolo un obbligo aggiuntivo a quelli previsti dalla normativa nazionale e non può essere invocata contro tale soggetto, soggiunge la Corte, discende che, con riferimento alla fattispecie concreta, i consumatori finali sono giuridicamente impossibilitati a fare valere nei confronti dei fornitori la difformità dell'addizionale dalla direttiva  2008/118 e che, ulteriore conseguenza, essi non possono ottenere il rimborso dell'onere economico supplementare generato dall'imposta che hanno dovuto sopportare a causa della non corretta trasposizione della direttiva da parte dello Stato.

Per la Corte di giustizia, pertanto, salva la necessaria verifica della normativa nazionale rimessa al giudice del rinvio, tale normativa viola il principio di effettività in quanto non permette al consumatore finale di chiedere direttamente allo Stato membro il rimborso dell'indebito.

In conclusione, la Corte dipana il secondo quesito formulato dal giudice rimettente dichiarando che il principio di effettività deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale che non permette al consumatore finale di chiedere direttamente allo Stato membro il rimborso dell'onere economico supplementare sopportato a causa della ripercussione operata da un fornitore, in base ad una facoltà riconosciutagli dalla normativa nazionale, di un'imposta che tale fornitore aveva indebitamente versato, consentendogli unicamente di intentare un'azione civilistica per la ripetizione dell'indebito contro detto fornitore, qualora il carattere indebito di tale versamento sia la conseguenza della contrarietà dell'imposta in parola ad una disposizione chiara, precisa e incondizionata di una direttiva non trasposta o non correttamente trasposta e tale motivo di illegittimità non possa essere validamente invocato nell'ambito di tale azione, in ragione dell'impossibilità di invocare in quanto tale una direttiva in una controversia tra privati.

Osservazioni: verso il riconoscimento, anche nell'ordinamento nazionale, di un'azione diretta del consumatore finale verso il fisco, affrancata dall'onere della prova dell'impossibilità o eccessiva onerosità dell'azione verso il fornitore?

Il bandolo dell'intricata matassa è ora nelle mani del giudice nazionale: è auspicabile che la Cassazione rielabori il proprio consueto orientamento alla luce degli aspetti di novità contenuti nella decisione della Corte di giustizia.

Come è noto, la sezione tributaria della S.C. ha enunciato il principio di diritto per il quale le imposte addizionali sul consumo di energia elettrica di cui all'art. 6, comma 3, d.l. n. 511/1988, conv. dalla l. n. 20/1989 (applicabile “ratione temporis”), alla medesima stregua delle accise, sono dovute, al momento della fornitura dell'energia elettrica al consumatore finale, dal fornitore, il quale, pertanto, in caso di pagamento indebito, è l'unico soggetto legittimato a presentare istanza di rimborso all'A.F., mentre il consumatore finale, al quale il fornitore abbia addebitato le suddette imposte, può esercitare nei confronti di quest'ultimo l'ordinaria azione di ripetizione dell'indebito e, soltanto nel caso in cui dimostri l'eccessiva onerosità di tale azione, può chiedere direttamente il rimborso all'A.F., nel rispetto del principio unionale di effettività della tutela (1).

Si è già precisato che, per il giudice europeo, il somministrato non può ripetere l'indebito dal fornitore perché la direttiva non ha effetto diretto orizzontale in una controversia tra privati, ragione per cui, per il principio di effettività, il consumatore finale ha diritto di richiedere il rimborso direttamente all'erario.

La netta virata ermeneutica della Corte di giustizia non mancherà di indirizzare la giurisprudenza di legittimità verso nuovi approdi nomofilattici.

È indubbio che la Cassazione ammette un'azione di rimborso straordinaria del somministrato verso il fisco, ma a tal fine ritiene necessario che l'attore dimostri l'impossibilità o l'eccessiva onerosità dell'azione verso il fornitore, da ricondurre alla situazione di quest'ultimo e non al fatto che il pagamento indebito dell'imposta deriva dalla contrarietà alla direttiva 2008/118/CE della norma interna in materia di accise.

La prospettiva nazionale e quella eurounitaria non collimano: secondo la Cassazione, l'impossibilità dell'azione diretta del cliente verso il fornitore deve essere riferita alla situazione di quest'ultimo e non all'insussistenza di effetti diretti orizzontali della direttiva; la Corte di giustizia, invece, reputa che l'impossibilità giuridica di invocare, nei rapporti di natura privatistica, gli effetti di una direttiva self executing non trasposta sia condizione sufficiente al fine di radicare la legittimazione passiva da parte dell'ente impositore rispetto all'azione di ripetizione dell'imposta promossa dal somministrato.

Gli svolgimenti giurisprudenziali successivi al pronunciamento della Corte di giustizia (cfr.: Cass., 29 luglio 2024, n. 21154; in termini, Cass., 1° agosto 2024, n. 21749) – pur ribadendo, in maniera tralatizia e non più necessaria, che il principio di effettività impone che il consumatore finale di energia elettrica, ove abbia corrisposto al fornitore di energia a titolo di rivalsa delle imposte in contrasto con il diritto dell'Unione e ove emerga che l'azione di rimborso nei confronti del fornitore risulti eccessivamente difficoltosa, abbia legittimazione straordinaria nei confronti dell'erario a esperire l'azione di indebito oggettivo che avrebbe esercitato nei confronti del fornitore – sembrano cogliere la traiettoria disegnata dalla Corte di giustizia.

Per la prima volta, infatti, la S.C. chiarisce che l'impossibilità per il consumatore finale di invocare nei confronti del fornitore di energia l'efficacia orizzontale della direttiva tardivamente attuata dallo Stato italiano ha una ricaduta rispetto all'azione di rimborso dell'addizionale che oltrepassa la tradizionale apertura alla legittimazione straordinaria ai soli casi in cui venga in esame la condizione soggettiva del fornitore, perché – ecco il fulcro del novum nomofilattico – indipendentemente dalla condizione soggettiva di quest'ultimo, l'indebita corresponsione dell'addizionale in via di rivalsa fa sì che il consumatore finale possa ottenere soddisfazione (nel termine di prescrizione ordinaria) del proprio diritto a vedersi manlevato dall'erario dell'onere economico indebitamente sopportato.

S'intravede, finalmente, la via maestra dell'ampio contenzioso, ancora pendente, in materia di rimborso dell'addizionale all'accisa sull'energia elettrica che impegna le nostre Corti da più di un decennio.

Note

(1) Cass., 24 maggio 2019, n. 14200; conf.: Cass., 24 luglio 2019, n. 20018; Cass., 23 ottobre 2019, n. 27099; Cass., 19 novembre 2019, n. 29980. Degna di nota è Cass., 25 ottobre 2022, n. 31609 (conf.: Cass., 23 agosto 2023 n. 25149; Cass., 23 agosto 2023, n. 25155) che puntualizza che: «Le imposte addizionali sul consumo di energia elettrica, di cui all'art. 6, comma 3, d.l. n. 511/ 988, conv. con modif. dalla l. n. 20/1989 (applicabile “ratione temporis”), alla stregua delle accise, sono dovute, al momento della fornitura dell'energia elettrica al consumatore finale, dal fornitore, il quale, pertanto, in caso di pagamento indebito, è l'unico soggetto legittimato a presentare istanza di rimborso all'amministrazione finanziaria, mentre il consumatore finale, al quale il fornitore abbia addebitato le suddette imposte, nel rispetto del principio unionale di effettività della tutela, può: a) esercitare nei confronti di quest'ultimo l'ordinaria azione di ripetizione dell'indebito; b) eccezionalmente chiedere direttamente il rimborso all'amministrazione finanziaria nel caso in cui dimostri l'impossibilità o l'eccessiva difficoltà di tale azione - da riferire alla situazione in cui si trova il fornitore e non al fatto che il pagamento indebito dell'imposta derivi dalla contrarietà alla direttiva n. 2008/118/CE della norma interna in tema di accise; c) eventualmente esercitare azione nei confronti dello Stato per ottenere il risarcimento del danno subito per mancato adeguamento del diritto nazionale al diritto dell'Unione Europea».