Unione europea: il futuro della competitività nel rapporto di Mario Draghi
16 Settembre 2024
Il rallentamento della crescita economica, la competitività e le sfide dell'UE L'Unione europea è un'economia altamente competitiva (1), con la grande capacità di saper coniugare un'economia aperta, un elevato grado di concorrenza di mercato e un forte quadro giuridico, con politiche attive per combattere la povertà e redistribuire la ricchezza (2). Malgrado ciò, gli obiettivi dell'UE, come il raggiungimento di alti livelli di inclusione sociale, la garanzia della neutralità carbonica e un ruolo geopolitico significativo, potrebbero essere compromessi da un rallentamento della crescita economica, causato da un preoccupante indebolimento della produttività. Questo rallentamento è altresì legato alla crisi di tre condizioni esterne, che hanno sostenuto la crescita dell'Europa dopo la fine della Guerra Fredda. L'UE, infatti, risente dell'attuale crisi dell'ordine commerciale multilaterale: il FMI stima che il commercio mondiale crescerà del 3,2% nel medio termine, rispetto alla media annuale del 4, 9% registrata dal 2000 al 2019. Inoltre, l'Europa ha difficoltà di soddisfare la domanda di energia per l'interruzione di ogni rapporto con la Russia, dovendo reindirizzare cospicue risorse fiscali, pari ad un anno di crescita del PIL, verso sussidi energetici e la costruzione di nuove infrastrutture per l'importazione di gas naturale liquefatto. Infine, l'UE è influenzata dall'instabilità geopolitica, generata sia dal conflitto tra la Russia e l'Ucraina, ma altresì dal deterioramento delle relazioni tra Stati Uniti e Cina e dalla crescente instabilità in Africa, fonte di materie prime per l'economia mondiale. Alla luce di ciò, il presente rapporto delinea un'agenda per la competitività, per un aumento della crescita della produttività, soprattutto considerando le dinamiche demografiche sfavorevoli che si profilano. Si avvia un periodo in cui la crescita del PIL non sarà supportata da un incremento netto della forza lavoro, che si ridurrà entro il 2040 di quasi 2 milioni di lavoratori all'anno. Questo dato, unito ad altri fattori, potrebbe condurre a livelli di debito pubblico insostenibili. Per competitività non si intende né la conquista di quote di mercato globali, né politiche di difesa, né l'uso della repressione salariale, ma un “livellare il campo di gioco”, soprattutto per le aziende che si trovano in condizioni globali non paritarie. Alla competitività si lega anche il settore della sicurezza: il suo rafforzamento comporta una stabilità economica e la limitazione di incertezze geopolitiche, perciò, un maggiore incremento degli investimenti. Per far sì che tale progetto si realizzi, dunque, il rapporto propone tre trasformazioni: la prima è accelerare l'innovazione, soprattutto in virtù della rivoluzione digitale e dell'introduzione dell'intelligenza artificiale (IA), con il fine di ripristinare il proprio potenziale manifatturiero, attuare il passaggio dalla innovazione alla commercializzazione, rimuovere gli ostacoli che impediscono alle aziende innovative di attrarre finanziamenti e colmare divari di competenze. La seconda trasformazione riguarda la decarbonizzazione ed il passaggio ad una economia circolare, anche al fine di calmierare i prezzi dell'energia. La terza prevede che l'Europa rafforzi la sicurezza e raggiunga la c.d. indipendenza strategica dalle altre potenze mondiali, sviluppando una proficua politica economica estera e coinvolgendo anche il settore della difesa. Pur avendo iniziato a adottare politiche volte al cambiamento, però, i singoli Stati membri stanno agendo in modo frammentato. Questa mancanza di coordinamento si manifesta, innanzi tutto, nel rapporto tra le politiche nazionali, la cui disarmonia di azione comporta duplicazioni, standard incompatibili e il mancato riconoscimento delle esternalità; in secondo luogo, tale mancanza riguarda gli strumenti di finanziamento divisi tra Stati membri e l'UE, che ostacolano la creazione di grandi fondi di capitale necessari per l'innovazione; infine, essa concerne le politiche europee, ovvero la combinazione tra politiche fiscali, commerciali ed economiche, a causa della complessa struttura di governance e del farraginoso, frammentato e lento processo decisionale dell'UE. Per risolvere queste mancanze di coordinamento, si propongono quattro soluzioni: l'implementazione del Mercato Unico, la creazione di una strategia complessiva che consenta di allineare politiche comuni, il finanziamento delle principali aree di intervento e la riforma della governance dell'UE. Questi obiettivi devono essere raggiunti tramite un approccio europeo, che garantisca che la crescita della produttività e l'inclusione sociale vadano di pari passo . Brevi cenni sulle tre trasformazioni e sul finanziamento degli investimenti Per quanto riguarda l'innovazione, l'UE deve colmare il divario con gli Stati Uniti e la Cina, soprattutto riguardo le tecnologie avanzate: alla base dello svantaggio europeo c'è, in prima istanza, la staticità della struttura industriale. Il rapporto fa notare che in Europa non esista una azienda con una capitalizzazione di mercato superiore a 100 miliardi di euro fondata ex novo negli ultimi cinquant'anni, mentre tutte le 6 aziende presenti in USA, con una valutazione superiore a 1 trilione di euro, sono nate in questo periodo. Tale staticità è dovuta anche alla concentrazione di investimenti su tecnologie mature e in settori dove i tassi di crescita della produttività delle aziende stanno rallentando: questo circolo vizioso comporta una bassa dinamicità industriale, una bassa innovazione, un basso investimento e una bassa crescita della produttività. Le spese in ricerca e innovazione (R&I) delle aziende dell'UE specializzate in tecnologie mature, infatti, sono inferiori di 270 miliardi di euro rispetto alle omologhe negli USA. L'Europa non può restare bloccata alle tecnologie intermedie, ma deve ritagliarsi una posizione di leadership nel settore dell'IA, cercando inoltre di integrare quest'ultima verticalmente nell'industria, aumentandone la competitività. In tale ottica, sarà preponderante fornirel'istruzione e l'apprendimento continuo delle modalità di funzionamento di queste tecnologie ai lavoratori che le utilizzano, minimizzando qualsiasi impatto negativo sull'inclusione sociale. Infine, si auspica che l'innovazione venga tradotta in commercializzazione: in Europa non mancano ricercatori e imprenditori, ma le aziende sono ostacolate da una legislazione ingombrante. Questo fa sì che gli imprenditori europei preferiscano cercare finanziamenti dai venture capitalists statunitensi. Per quanto riguarda il settore dell'energia, il rapporto definisce un piano congiunto tra la decarbonizzazione e la competitività: a tal fine, è necessario coordinare le politiche comuni europee, sfruttando la decarbonizzazione come una opportunità di crescita e sviluppo per l'industria. Oggi, gli elevati costi energetici sono un ostacolo alla crescita potenziale in UE: le industrie ad alta intensità energetica, infatti, sono state le più colpite e la loro produzione è scesa del 10-15% dal 2021. In aggiunta a ciò, i prezzi si dimostrano anche volatili, causando gravi instabilità finanziarie. La decarbonizzazione offre, dunque, all'Europa la possibilità di abbassare i prezzi e di assumere la leadership nelle tecnologie pulite, nonostante la concorrenza della Cina. Il rapporto, inoltre, prevede che nel medio termine, la decarbonizzazione sposterà la generazione di energie verso fonti pulite sicure e a basso costo (3). Uno dei primi passi da compiere è cercare di trasferire i benefici della decarbonizzazione agli utenti finali, evitando che i prezzi continuino a pesare sulla crescita. Dal punto di vista della sicurezza, il rapporto distingue una sicurezza economica ed una militare. Sul piano della prima, il rapporto sostiene che essa è un elemento imprescindibile per una crescita sostenibile: infatti, gli shock geopolitici a cui si sta assistendo possono destabilizzare anche gli investitori. Si propone, dunque, di sviluppare un'Europa autonoma e contestualmente collegata, formando una autentica politica economica estera, tale per cui si possano coordinare accordi commerciali preferenziali ed investimenti diretti con i paesi ricchi di risorse, accumulare scorte nei settori più critici e creare partenariati industriali per garantire la catena di approvvigionamento delle tecnologie chiave. Sul piano della difesa, il rapporto pur sottolineando che la pace è l'obiettivo primario e principale dell'UE, non sottovaluta però la crescita di minacce a cui occorre prepararsi. Pur essendo l'UE collettivamente il secondo maggiore investitore in spese militari, tale sforzo viene vanificato da un'industria della difesa frammentata: questo fenomeno genera una impossibilità di produrre su scala ed una mancanza di standardizzazione dell'equipaggiamento militare. In tale contesto, si pone il problema di come finanziare massicci investimenti per trasformare l'economia e dare vita al progetto ora brevemente esaminato: secondo il rapporto il settore privato necessiterà l'aiuto del settore pubblico e questo sostegno aumenterà tanto più quanto l'UE sarà disposta a riformarsi per un aumento della produttività. Il rafforzamento della governance Destano particolare interesse le strategie delineate dal rapporto in relazione ai procedimenti decisionali dell'UE: seppur essi mantengano una loro logicità interna, basandosi sulla ricerca di un consenso o di una larga maggioranza, si dimostrano lenti e macchinosi rispetto alla rapidità degli altri Paesi e alla loro capacità di coniugare le politiche industriali – ad esempio, gli investimenti, la tassazione, l'accesso ai finanziamenti e così via. Le ragioni di tale criticità sono da ravvisarsi nella mancata modifica dei Trattati quando essa risultava necessaria: l'allargamento dell'UE e la rapidità dell'economia globale richiedono che l'Europa modifichi il proprio assetto attuale. Le decisioni sono generalmente adottate da sottocommissioni divise in aree tematiche, senza una strategia politica comune. Inoltre, il potere di veto rallenta l'azione dell'UE. Il risultato, come sottolinea il rapporto, è un processo legislativo che richiede mediamente 19 mesi. La riforma dei Trattati, però, non è un'ipotesi possibile, fin quando non si raggiungerà un consenso degli Stati membri. Nel frattempo, dunque, il rapporto delinea tre possibili obiettivi: focalizzare gli sforzi dell'UE, accelerare l'azione e l'integrazione dell'UE e semplificare le regole. Partendo dal primo obiettivo, si suggerisce di istituire un “Quadro di Coordinamento per la Competitività”: gli strumenti finora adottati per coordinare le politiche europee, come il Semestre Europeo e i Piani nazionali per l'Energia e il Clima, si sono dimostrati burocratici ed inefficaci, per questo motivo, il quadro deve concentrarsi sulle priorità strategiche dell'UE e l'organo che dovrebbe definirle e adottarle, ad ogni ciclo politico, è il Consiglio Europeo. Il Quadro di Coordinamento sarà diviso in “Piani di Azione per la Competitività”, per ridurre la burocrazia e coinvolgere un'ampia gamma di stakeholders. Contestualmente, la Commissione dovrebbe ricevere un mandato per le azioni orizzontali e per le competenze esclusive dell'UE, come ad esempio la riforma della politica di concorrenza. Infine, tra le varie annotazioni e proposte, è di fondamentale importanza il monito del rapporto rivolto all'UE e ai Parlamenti nazionali: se l'Europa deve essere più rigorosa nell'applicazione del principio di sussidiarietà, i Parlamenti nazionali devono vigilare sull'attuazione di tale principio, tramite i pareri e la c.d. procedura del cartellino giallo. Per quanto concerne l'accelerazione del lavoro dell'UE, il rapporto suggerisce di estendere il voto a maggioranza qualificata, poiché fino ad ora molti tentativi di integrazione europea tra Stati membri sono stati ostacolati dal voto all'unanimità del Consiglio dell'Unione Europea. La prima proposta è di utilizzare in tutte le aree politiche del Consiglio la c.d. clausola passerella, che, seppur necessiti di un accordo preliminare soggetto all'unanimità del Consiglio Europeo, accelera il procedimento legislativo. Se l'azione è ostacolata, un'alternativa è la c.d. cooperazione rafforzata ex artt. 20 TUE e 239 TFUE, garantita dal consenso del Parlamento europeo, dal controllo della Corte di Giustizia dell'Unione Europea e dal fatto che si basa su una proposta della Commissione. L'ultima risorsa è la cooperazione intergovernativa, ma il rapporto non manca di sottolinearne le sue criticità dal punto di vista delle garanzie: agire al di fuori dei Trattati implica accordi paralleli e l'assenza di controllo da parte della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, della legittimità democratica del Parlamento Europeo e del coinvolgimento della Commissione nella preparazione dei testi. Il terzo obiettivo è la semplificazione delle regole: si osserva che la regolamentazione cresce rapidamente rispetto alle altre economie comparabili e che l'UE non possiede strumenti per analizzarne i costi e i benefici. Seppur la Commissione europea si sia mossa in senso opposto, i co-legislatori, il Parlamento ed il Consiglio, non posseggono una metodologia per misurare l'impatto degli emendamenti proposti. Inoltre, non esiste uno strumento per misurare la portata della legislazione UE a livello nazionale: solo alcuni Stati membri se ne preoccupano e questo rende più difficile la loro partecipazione nel procedimento legislativo europeo. Per cui, tra le varie proposte, si raccomanda di nominare un nuovo Vicepresidente della Commissione per la Semplificazione, incaricato di snellire l'acquis comunitario e misurare i costi e benefici del nuovo flusso legislativo. Inoltre, si propone un test di resistenza della normativa esistente per il settore economico, di cui dovrà occuparsi la Commissione all'inizio di ogni mandato per un periodo di almeno sei mesi. Infine, si suggerisce una codificazione e un consolidamento della legislazione UE per semplificarne e rimuoverne sovrapposizioni ed incoerenze, tramite una metodologia unica tra le varie aree politiche. Note (1) The future of European competitiveness. Part A: A competitiveness strategy for Europe. (2) Il rapporto spiega come l'Europa abbia costruito un Mercato Unico di 440 milioni di consumatori e 23 milioni di imprese, che rappresentano circa il 17% del PIL globale, con tassi di disuguaglianza del reddito circa 10 punti percentuali al di sotto di quelli degli USA e della Cina. (3) Si sottolinea, però, che i combustibili fossili continueranno a giocare un ruolo nodale nella determinazione dei prezzi, almeno per un altro decennio. |