Consenso all’impianto degli embrioni crioconservati: cessazione del rapporto di coppia e morte del partner

27 Settembre 2024

La l. 40/2004 ha per la prima volta dettato norme in materia di procreazione medicalmente assistita, individuando i requisiti soggettivi per l’accesso alla procedura e definendone i passaggi procedurali. Nonostante siano passati venti anni dall’entrata in vigore della legge in commento, la sensibilità degli interessi coinvolti e l’evoluzione della società hanno richiesto nel corso degli anni molteplici interventi correttivi ad opera del legislatore e della Consulta e stimolato il dibattito dottrinale e giurisprudenziale, imponendo agli interpreti sfide sempre nuove. Tra le questioni non ancora compiutamente risolte vi è quella oggetto del presente contributo, relativa alla possibilità o meno di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita in ipotesi di rottura del rapporto di coppia e di decesso del partner. Il quesito, cui si tenterà di offrire una risposta sulla base dello stato dell’arte, non è di semplice soluzione e, come si vedrà, la soluzione dipende non solo dall’interpretazione che si voglia offrire alla revocabilità del consenso alla procedura ma anche dal diverso bilanciamento dei diritti coinvolti, ovverosia quelli del padre, della madre e del concepito.

Il quadro normativo

La legge 19 febbraio 2004 n. 40 ha per la prima volta dettato una compiuta regolamentazione delle norme in materia di procreazione medicalmente assistita (d’ora in poi PMA), individuando quale finalità del complesso normativo così definito quella di favorire, in mancanza di metodi terapeutici alternativi certificati dallo specialista, la soluzione dei problemi relativi alla sterilità o all’infertilità assicurando i diritti di tutti i soggetti coinvolti, ivi incluso il concepito (art. 1). Il ricorso alle tecniche di PMA deve essere ispirato a un principio di gradualità, tale da creare gli effetti meno invasivi possibili sui destinatari, e preceduto dall’acquisizione di consenso informato (art. 4 l. 40/2004). Quanto ai requisiti soggettivi per l’accesso alle tecniche di PMA, l’art. 5 l. 40/2004 consente il ricorso a tali interventi ai soli soggetti maggiorenni di sesso diverso, uniti in matrimonio ovvero conviventi more uxorio, in età potenzialmente fertile ed entrambi viventi. Il successivo art. 6 della medesima legge disciplina l’informazione da fornire alla coppia interessata e il consenso da prestare a valle della stessa. L’informazione deve essere particolarmente accurata e indicare le implicazioni della procedura, i rischi e i relativi costi, affinché il consenso prestato possa dirsi informato. Il consenso deve essere prestato per iscritto al medico responsabile della struttura dalla coppia congiuntamente. Tra la prestazione del consenso e il ricorso alla tecnica di PMA prescelta deve intercorrere un termine minimo di 7 giorni al fine di dare alle parti coinvolte la possibilità di revocare il consenso, che è infatti revocabile fino al momento di fecondazione dell’ovulo. L’informazione funzionale alla prestazione del consenso deve riguardare anche lo stato giuridico del figlio, che risulterà figlio della coppia che ha prestato il consenso alla tecnica di PMA ai sensi del su citato art. 6 (art. 8). La madre, in particolare, non potrà scegliere di partorire nell’anonimato e il padre non potrà esercitare l’azione di disconoscimento della paternità nemmeno nell’ipotesi di ricorso a tecniche di PMA eterologa (art. 9). Il successivo art. 12 individua le sanzioni per i soggetti che eseguano tecniche di PMA al di fuori dei requisiti previsti dalla l. 40/2004. In particolare, per quanto rileva nella presente sede, il comma 2 dell’articolo appena citato punisce con la sanzione amministrativa pecuniaria da 200.000 a 400.000 euro chiunque applica tecniche di procreazione medicalmente assistita a coppie i cui componenti non siano entrambi viventi e con la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 50.000 euro chiunque applica tecniche di procreazione medicalmente assistita senza avere raccolto il consenso secondo le modalità di cui all'articolo 6.

Il consenso all'impianto degli embrioni

Così ricostruito il quadro normativo all’interno del quale devono muoversi tanto gli esercenti le professioni sanitarie quanto i soggetti legittimati a ricorrere a tecniche di PMA, occorre soffermarsi sulla dibattuta questione relativa alla revocabilità del consenso informato prestato dalla coppia rispetto al ricorso alla tecnica di PMA per poi analizzare le due principali problematiche che vi si pongono a valle, ovverosia la possibilità per un partner di revocare il consenso all’impianto dopo la rottura del rapporto di coppia (sia di fatto che matrimoniale) e quella del partner superstite di richiedere l’impianto dell’embrione crioconservato dopo la morte dell’altro partner.

Al fine di esaminare le due problematiche così definite alla luce del quadro normativo di riferimento e della giurisprudenza che negli anni si è occupata della questione, occorre preliminarmente chiarire la disciplina del consenso al ricorso della tecnica di PMA.

Per quanto riguarda l’oggetto, a norma dell’art. 6 l. 40/2004 sopra esaminato, il medico responsabile della struttura deve informare la coppia de: 1. i problemi bioetici, i possibili effetti collaterali, le probabilità di successo, i rischi della procedura e le conseguenze giuridiche per la donna, per l’uomo e per il nascituro; 2. il possibile ricorso all’adozione o all’affidamento familiare; 3. i costi della procedura, ove si tratti di strutture private autorizzate.

Tra la manifestazione della volontà e l'applicazione della tecnica deve intercorrere un termine non inferiore a sette giorni e la volontà può essere revocata da ciascuno dei soggetti indicati dal fino al momento della fecondazione dell'ovulo (art. 6, comma 3, l. 40/2004).

È evidente come, così formulato l’articolo esaminato, il consenso alla PMA abbia ad oggetto sia il ricorso alla tecnica stessa – ovverosia, per quanto riguarda la donna, il prelievo di ovociti previa eventuale sottoposizione a terapia ormonale correlata e, per quanto riguarda l’uomo, il prelievo degli spermatociti – sia il consenso alla fecondazione dell’ovulo secondo la tecnica prescelta.

Il consenso è quindi revocabile nella prima fase mentre non sarà più revocabile una volta fecondato l’ovulo. D’altronde, prima di prestare il consenso, la coppia deve essere informata delle conseguenze giuridiche della PMA anche rispetto allo status giuridico del nascituro, che sarà giuridicamente riconosciuto come figlio della coppia che quel consenso ha prestato (v. artt. 8 e 9 l. 40/2004).

La revocabilità del consenso in ipotesi di rottura del rapporto di coppia

Successivamente alla fecondazione degli ovuli prelevati, gli embrioni così generati verranno trasferiti nell’utero della donna secondo i protocolli diffusi all’interno della comunità scientifica. Sebbene il trasferimento degli embrioni dovrebbe avvenire non appena possibile (art. 14, comma 3 l. 40/2004), per effetto dell’intervento della Consulta con la pronuncia 97 del 2010 gli embrioni in sovrannumero non oggetto di impianto verranno crioconservati dalla struttura per eventuali successivi trasferimenti. Può di conseguenza accadere che, specialmente per l’ipotesi in cui la PMA non sia andata a buon fine successivamente all’impianto, tra il momento della crioconservazione degli embrioni e il momento dell’impianto il rapporto di coppia venga meno. Quid iuris ove il partner neghi il proprio consenso al trasferimento per effetto della separazione?

Si è visto come norma dell’art. 5 della l. 40/2004 il ricorso alle tecniche di PMA è consentito ai soli soggetti maggiorenni di sesso diverso, uniti in matrimonio ovvero conviventi more uxorio, in età potenzialmente fertile ed entrambi viventi, motivo per cui si potrebbe pensare che il venire meno del rapporto di coppia precluda la possibilità di accesso alla procreazione medicalmente assistita nonostante l’embrione sia stato fecondato quando entrambi i conviventi erano d’accordo. La norma contenuta nell’art. 5 deve tuttavia essere coordinata con quella contenuta all’interno del successivo art. 6, per cui il consenso alla PMA è revocabile solo finché non vi sia stata fecondazione dell’ovulo.

L’apparente antinomia contenuta nelle norme anzi dette ha dato origine a un contrasto interpretativo che ha condotto il Tribunale di Roma, con ordinanza del 5 giugno 2022, alla rimessione di una specifica questione alla Corte Costituzionale rispetto alla compatibilità dell’dell'art. 6, comma 3 l. 40/2004 con gli artt. 2,3,13, comma 1, 32, c. 2 e 117 Cost., quest'ultimo in rapporto all'art. 8 Cedu,, tenuto conto della mancata previsione di un termine per la revoca del consenso successivamente alla fecondazione dell’ovulo.

La Corte costituzionale con sentenza n. 161 del 2023, dopo avere richiamato i proprio precedenti in virtù dei quali non è più vietata la crioconservazione degli ovuli e la centralità che ha assunto nell’ambito delle tecniche di PMA la tutela della salute psico-fisica della donna, mediante una pronuncia interpretativa di rigetto ha escluso l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 l. 40/2004 nella parte in cui non prevede che successivamente alla fecondazione degli ovuli il consenso alla PMA sia revocabile.

Nella pronuncia in commento la Consulta è stata chiamata a bilanciare i diritti di tre soggetti: il diritto all’autodeterminazione dell’uomo a non diventare padre, il diritto alla salute della donna e il suo diritto all’autodeterminazione a diventare madre e la dignità dell’embrione.

La Consulta, in particolare, ha affermato che successivamente all’inseminazione degli ovociti solo la donna resta soggetta al trattamento medico, che non potrà mai subire contro la sua volontà in ragione del suo diritto alla salute e all’auto determinazione, tenuto conto della invasività delle tecniche di PMA. Il diritto all’autodeterminazione del padre viene sì tutelato, ma solo in una fase prodromica, ovverosia in quella preordinata alla prestazione del consenso informato alla tecnica di PMA prescelta, consenso che non riguarda solo il trattamento medico ma anche l’assunzione di responsabilità in funzione dello status filiationis.

Una volta divenuto irrevocabile il consenso per via della fecondazione degli ovociti in vitro, il diritto all’autodeterminazione dell’uomo recede dinanzi al diritto alla integrità psico-fisica della donna – sottoposta a molteplici trattamenti medici in vista della tecnica di PMA prescelta – e del legittimo affidamento; recede altresì dinanzi al diritto alla dignità dell’embrione, soggetto di tutela a norma dello stesso art. 1, l. 40/2004.

La soluzione prescelta dalla Consulta, oltre che in linea con l’impianto attuale della l. 40/2004,, è coerente con la tutela riconosciuta dall’ordinamento giuridico al rapporto di filiazione ancorché  non consapevole: si pensi al diritto riconosciuto alla donna di decidere se portare avanti la gravidanza, non sindacabile dal partner, e alle conseguenze della dichiarazione giudiziale di paternità, che prescinde dall’intenzionalità del rapporto filiationis e che garantisce il sorgere di obblighi nei confronti del figlio fin dal momento della nascita.

Sulla base dei medesimi principi, d’altronde, ancora prima dell’intervento della Consulta, Tribunale di Milano con sentenza 6651 del 2 agosto 2023 ha rigettato la domanda del padre biologico di risarcimento del danno per effetto dell’avvenuto impianto degli embrioni nell’utero dell’ex coniuge a sua insaputa, tenuto conto dell’informazione prodromica al consenso informato prestato alla tecnica di PMA e dell’irrevocabilità dello stesso successivamente alla formazione dell’embrione.

L'impianto successivo al decesso del partner

Il rapporto di coppia può venire meno non solo per effetto della sua rottura per decisione delle parti ma anche per via della morte di uno dei partner: quid iuris ove prima del decesso del partner la coppia avesse fatto ricorso a una procedura di PMA? L’art. 5 l. 40/2004 consente il ricorso a tali tecniche ai soli soggetti maggiorenni di sesso diverso, uniti in matrimonio ovvero conviventi more uxorio, in età potenzialmente fertile ed entrambi viventi.

Dalla lettura della norma si potrebbe opinare che la morte del partner precluda di per sé al partner sopravvissuto il ricorso a tecniche di PMA.

Devono tuttavia distinguersi due ipotesi: la prima è quella in cui prima del decesso del partner, il partner deceduto abbia prestato congiuntamente all’altro il consenso alla PMA e si sia sottoposto al prelievo degli spermatociti; la seconda è quella in cui, in aggiunta a quanto precede, prima del decesso del partner interessato vi sia anche stata fecondazione degli ovociti e successiva crionconservazione degli embrioni.  

Al fine di rispondere a tali quesiti occorre affrontare una questione in via preliminare: il requisito divisato dall’art. 5 l. 40/2004 a che entrambi i partner siano in vita presuppone che la procedura di PMA non si sia ancora conclusa ovvero che non vi sia ancora stata fecondazione degli embrioni, momento oltre il quale il consenso non è più revocabile ex 'art. 6 l. 40/2004?

Soccorre la pronuncia della Corte Costituzionale n. 161/2023 sopra citata nella parte in cui ha dichiarato costituzionalmente legittimo l’impianto degli embrioni crioconservati anche successivamente alla fine del rapporto di coppia e nonostante il venir meno del consenso del partner maschile successivamente alla fecondazione. Dal momento che l’accesso alle tecniche di PMA è consentito solo alle coppie unite in matrimonio ovvero conviventi more uxorio, se la procedura si dovesse ritenere conclusa per effetto dell’impianto degli embrioni, l’impianto non sarebbe possibile ove venisse meno il rapporto di coppia in quanto in violazione dell’art. 5 l. 40/2004 . Nella logica della tutela della dignità dell’embrione già formato e dell’autodeterminazione della donna posti alla base della pronuncia della Corte Cost. appena citata, la procedura di PMA, piuttosto, deve ritenersi perfezionata ai fini di cui all’'art. 6 l. 40/2004 nel momento in cui il consenso alla stessa diviene irrevocabile, motivo per cui successivamente alla formazione dell’embrione non deve più sussistere né il requisito del rapporto di coppia né dell’esistenza in vita di entrambi i partner.

A voler accedere a questa lettura dei valori costituzionali in gioco, ove il partner maschile muoia dopo la fecondazione dell’embrione nulla dovrebbe ostare a che la partner femminile in vita richieda l’impianto dell’embrione crioconservato, dal momento che il partner deceduto, anche ove fosse stato in vita, non avrebbe più potuto revocare il consenso alla procedura.

In tal senso si è già pronunciata parte della giurisprudenza di merito, che in sede cautelare ha autorizzato l’impianto di embrioni crioconservati nella donna pur dopo il decesso del coniuge. La prima pronuncia al riguardo concerne l’ipotesi di impianto di embrioni conservati prima dell’entrata in vigore della legge 40/2004 (Trib. Bologna 16 gennaio 2015), nondimeno il medesimo orientamento è stato fatto proprio più di recente, sempre in via cautelare, da Trib. Lecce 24 giugno 2019, che ha posto a fondamento della decisione la circostanza che successivamente alla formazione dell’embrione il consenso alla PMA non è più revocabile, valorizzando altresì il fatto che fino al momento del decesso del marito i coniugi avevano insistito nella procedura. Il Tribunale, in conclusione, ha condiviso la tesi, cui chi scrive aderisce, per cui il requisito della sussistenza in vita dei partner deve permanere fino alla fecondazione degli ovuli e non oltre (“In tal senso depone, oltre al diritto dell'embrione alla vita desumibile dall'art. 1, il divieto di soppressione embrionaria crioconservata di cui all'art. 14, il divieto della crioconservazione oltre i limiti di cui all'art. 14 (all'esito della pronuncia di incostituzionalità citata), l'impossibilità per il partner di revocare il proprio consenso alla PMA dopo la fecondazione nonché, da ultimo, ii diritto della donna ad ottenere, sempre, il trasferimento degli embrioni crioconservati indicato nelle linee guida del 2015.”).

Nel medesimo senso si è espresso anche il Ministro della Salute che al punto 4 delle Linee Guida contenenti le indicazioni delle procedure e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita (D.M. 20.03.2024), richiamando la pronuncia della Corte di Cassazione n. 13000 del 2019 di cui si dirà e quella della Consulta n. 161/2023, ha disposto che ai richiedenti l’accesso alle procedure di PMA devono essere esplicitate con chiarezza e per iscritto le conseguenze giuridiche della PMA e, per quanto qui rileva, che dopo la fecondazione assistita dell’ovulo il consenso alla procedura non è più revocabile e la donna può richiedere l’impianto dell’embrione anche se il partner sia deceduto ovvero sia cessato il loro rapporto.

Diverso è invece il caso in cui vi sia stato prelievo degli ovociti e degli spermatociti e, tuttavia, il partner maschile muoia prima della fecondazione degli ovuli.

In dottrina si è detto che l’art. 5 della l. 40/2004 osta a un’ipotesi siffatta.

Nella giurisprudenza di legittimità si registra una sola pronuncia che ha affrontato la questione che, tuttavia, ha riguardato il caso in cui successivamente al decesso del marito la moglie abbia chiesto la fecondazione degli ovociti mediante spermatociti prelevati al marito già malato in Spagna; in questo caso, essendo avvenuta la nascita a oltre 300 giorni dalla morte del coniuge, la Corte di Cassazione ha dovuto valutare la legittimità del rifiuto dell’ufficiale di stato civile di registrare nell’atto di nascita la paternità del coniuge defunto, rifiuto ritenuto legittimo dai giudici di merito. Con la pronuncia n. 13000 del 2019, la Corte di legittimità ha ritenuto, a tutela del nato, che nulla osti al riconoscimento quale figlio del padre prematuramente scomparso, peraltro coerentemente con la previsione di cui all’art. 8 l. 40/2004 che prevede che il nato mediante tecniche di PMA debba avere lo status giuridico della coppia che ha fatto accesso alla procedura. Nel caso affrontato dalla Corte di legittimità non è stata affrontata la questione relativa alla legittimità del ricorso alla fecondazione in vitro degli ovuli successivamente al decesso del coniuge, dal momento che la fecondazione degli ovociti in vitro è avvenuta in Spagna e non in Italia.

In mancanza di evidenze normative e giurisprudenziali, al fine di rispondere al quesito sopra posto va osservato che ove il partner maschile muoia prima della fecondazione degli ovuli non potrà più revocare il consenso alla procedura firmato prima del prelievo degli spermatociti.

Le soluzioni possibili sono allora due: non ritenere possibile la fecondazione dal momento che il perfezionamento della PMA presuppone l’esistenza in vita dei partner, ovvero ritenere che ove il partner prima del decesso abbia espresso la volontà a che la procedura si completi nonostante la sua morte, tale volontà vada posta a fondamento della conclusione della procedura, specialmente ove tale volontà sia stata ribadita per via testamentaria in epoca ravvicinata alla richiesta fecondazione degli ovociti. La soluzione dipende dal bilanciamento dei diritti in gioco, precisamente quello all’autodeterminazione della donna e dell’uomo. Il diritto all’autodeterminazione del coniuge defunto dovrà tuttavia essere adeguatamente preso in considerazione sia in quanto, quale diritto personalissimo, non è esercitabile da alcuno dei suoi successibili, sia in quanto la fecondazione potrebbe essere richiesta a distanza di tempo dalla morte. Va infine notato come nel bilanciamento dei valori in gioco non potrà tenersi conto della dignità del concepito, non ancora esistente prima della fecondazione degli ovociti, dignità che ha invece assunto un peso determinante nella pronuncia della 161/2023 Corte Cost.

In conclusione

Il panorama normativo e giurisprudenziale appena tratteggiato lascia aperti dubbi e interrogativi.

Rispetto alla revocabilità del consenso alla PMA in ipotesi di rottura del rapporto di coppia, infatti, il fatto che la Consulta si sia pronunciata con una sentenza interpretativa di rigetto non esclude sia che in futuro la normativa possa essere riformulata al fine di tenere conto delle antinomie in essa contenute, che hanno condotto il Tribunale di Roma a sollevare apposita questione di legittimità costituzionale, sia che altro Tribunale di merito sollevi altra questione diversamente formulata.

Rispetto alla possibilità per un soggetto di accedere a tecniche di PMA successivamente al decesso del partner che aveva prestato regolare consenso prima del decesso, il mancato intervento chiarificatore della Consulta lascia aperto lo spazio a soluzioni differenti, a seconda del limite temporale entro il quale il requisito a che entrambi i partner siano in vita debba essere soddisfatto.

La soluzione dipende dal bilanciamento dei valori in gioco e da quale debba essere il diritto coinvolto cui dare prevalenza. Il quadro normativo e giurisprudenziale, d'altronde, è in continua evoluzione come dimostra il fatto che in data 11.09.2024 il Tribunale di Firenze ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 l. 40/2004 nella parte in cui non consente l'accesso alle tecniche di PMA alle donne single, valorizzando proprio l'evoluzione giurisprudenziale racchiusa nelle pronunce commentate nel presente contributo.

Riferimenti

Figone, Dopo la formazione dell'embrione il consenso alla PMA non può essere revocato: lo ribadisce la Corte costituzionale, in Ius Famiglie, 8 agosto 2023;

In giurisprudenza: Trib. Santa Maria Capua Vetere, ord. 27 gennaio 2021 e 11 ottobre 2020; Trib. Perugia, ord. 28 novembre 2020; Trib. Lecce, ord. 24 giugno 2019; Trib. Bologna, ord. 16 gennaio 2015; Corte cost. 161/2003; Trib. Milano sent. 6651/2023.

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