Il diritto del minore alla bigenitorialità nell’accezione negativa: vanno sospesi gli incontri col padre se l’adolescente manifesta un rifiuto consapevole

25 Settembre 2024

Il diritto del singolo genitore a consolidare rapporti continuativi e significativi con il figlio minore assume carattere recessivo se l'interesse di quest'ultimo non sia garantito nella fattispecie concreta

Massima

Se il figlio minore, adolescente e con piena autonomia di giudizio, prova nei confronti di un genitore sentimenti di avversione o, addirittura, di ripulsa, talmente radicati da non poter essere facilmente rimossi, nonostante il supporto di strutture sociali e psicopedagogiche, vanno sospesi gli incontri tra il minore stesso e il coniuge non affidatario.

Il caso

La Corte d'Appello di Torino, adita con rituale riassunzione della causa da parte di entrambi i genitori, a seguito della cassazione con rinvio di una sua precedente sentenza, nominato il curatore speciale della minore, che si costituiva in giudizio, istruita la causa mediante l'acquisizione delle relazioni aggiornate dei Servizi Sociali e del Servizio NPI, disposta la sospensione degli incontri tra la minore e il padre e l'audizione della minore e degli zii materni affidatari, ordinava la proroga dell'affidamento della minore agli zii sino al 22.3.2025, con attribuzione agli stessi dell'esercizio di ogni potere relativo alla responsabilità genitoriale, comprese le decisioni di maggiore interesse per la minore relative all'istruzione, alla educazione, alla salute, alla scelta della residenza abituale e confermava l'interruzione degli incontri della minore con entrambi i genitori, disponendo che l'eventuale ripresa fosse valutata qualora la minore ne avesse fatto richiesta, previa valutazione da parte degli operatori della conformità della ripresa all'interesse della minore stessa.

Avverso la suddetta sentenza, il padre proponeva ricorso in Cassazione deducendo che il rapporto con la figlia era stato compromesso dalla malattia della madre e dalle denunce da questa sporte nei suoi confronti; deduceva inoltre la nullità della sentenza impugnata per violazione dell'art. 8 CEDU (che sancisce il principio di non ingerenza dello Stato nella vita familiare, nel senso che i minori devono essere separati dai genitori solo in casi eccezionali al fine di preservare il più possibile le relazioni personali tra gli stessi), dell'art. 24 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE che riconosce al minore il diritto di avere rapporti diretti e regolari con i genitori, nonché degli artt. 29 e 30 Cost. che tutelano l'unità familiare e il corrispondente diritto alla relazione genitoriale. Il ricorrente denunciava altresì il mancato ascolto dei nonni paterni e l'affidamento agli zii materni fino alla maggiore età.

La questione

Nell’ipotesi in cui il grand enfant esprima un rifiuto consapevole alla prosecuzione della relazione con il genitore non affidatario, il Giudice deve rispettare la volontà del minore che sia espressione del proprio diritto alla bigenitorialità in accezione negativa, vale a dire quale diritto a non mantenere con un genitore un rapporto continuativa?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso, osservato che la Corte d'appello, pronunciando nell'ambito del giudizio di separazione tra i coniugi, ha ampiamente motivato in ordine alla totale inidoneità del padre ad intrattenere con la figlia minore rapporti sereni ed equilibrati, per essere egli immaturo, affetto da ossessioni patologiche e a tratti aggressivo, essendo falliti per il suo comportamento i tentativi fatti per consentirgli un recupero della capacità genitoriale.

Dirimente che l'interruzione di ogni contatto col padre risponda alle accorate richieste della figlia, rimaste fino ad allora inascoltate.

Il Supremo Collegio, richiamando una precedente decisione (Cass. civ. 317/1998), ritiene di dover dare continuità all'orientamento secondo cui, anche in base ai principi sanciti dalla Convenzione di New York del 20.11.1989, la circostanza che un figlio minore, divenuto ormai adolescente e perfettamente consapevole dei propri sentimenti e delle loro motivazioni, provi nei confronti del genitore non affidatario sentimenti di avversione o, addirittura, di ripulsa - a tal punto radicati da doversi escludere che possano essere rapidamente e facilmente rimossi, nonostante il supporto di strutture sociali e psicopedagogiche – è circostanza idonea a giustificare anche la totale sospensione degli incontri tra il minore stesso ed il coniuge non affidatario.

Precisa la Corte che non rilevano ai fini della sospensione degli incontri le eventuali responsabilità dei genitori rispetto all'atteggiamento del figlio e neppure la fondatezza delle motivazioni addotte da quest'ultimo per giustificare detti sentimenti. È solo la profondità e l'intensità degli stessi che conta al fine di decidere se proseguire o meni gli incontri con il genitore avversato porti al superamento senza gravi traumi psichici della sua avversione oppure alla sua dannosa radicalizzazione.

La Corte d'appello ha quindi rispettato i principi indicati nell'ordinanza emessa nel giudizio rescindente dando piena attuazione al superiore interesse della minore, intellettivamente molto dotata e matura, con una piena autonomia di giudizio e assai lucidità nel fornire una lettura degli eventi in cui è stata coinvolta e delle condotte degli adulti, apparsa in sede di ascolto serena ed equilibrata.

Il padre, all'opposto si è rivelato immaturo, autocentrato con tratti ossessivi e persecutori, del tutto privo di un ruolo tutelante verso la figlia, senza avere compiuto negli anni alcun progresso, e quindi inidoneo. Parimenti, risulta adeguatamente indagata dalla Corte di merito la grande sofferenza della figlia, il timore di far arrabbiare il padre, il suo sollievo per l'interruzione degli incontri con lui e il suo costante e progressivo miglioramento da quando è intervenuto l'affidamento agli zii paterni.

Per tali ragioni la Cassazione respinge tutte le doglianze paterne.

Osservazioni

Per la Suprema Corte, il diritto del genitore alla frequentazione del figlio minore dopo la separazione della famiglia unita cede a fronte del diritto di non incontrarlo di cui è portatore il figlio che nutra per il genitore un sentimento di forte avversione, allorché tale sentimento sia maturato autonomamente da un soggetto capace di analizzare con lucidità gli eventi e i comportamenti del genitore (di recente, sull'essenza del diritto alla bigenitorialità si è espressa la Suprema Corte sancendo che si tratta anzitutto di un diritto del minore prima ancora che dei genitori e dev'essere quindi necessariamente declinato attraverso modalità concrete dirette a realizzare in primis il miglior interesse del minore. Il diritto del singolo genitore a consolidare rapporti continuativi e significativi con il figlio minore assume carattere recessivo se l'interesse di quest'ultimo non sia garantito nella fattispecie concreta: Cass. civ., ord., 22 marzo 2022, n. 9691).

Non è la prima volta che la Cassazione si esprime in tal senso, segno che nel contemperamento tra diritti diversi, quello della genitorialità a tutti i costi da un lato e della crescita serena ed equilibrata dall'altro, prevale il secondo.

Quindi, il minore ha diritto a mantenere rapporti con entrambi i genitori, e la cui conservazione risponde in linea di principio al suo interesse morale e materiale, come ricorda anche la Cedu allorchè sancisce il principio per cui il diritto alla vita familiare dei figli è costituito dalla reciproca presenza, dalla continuità e dalla stabilità di relazione tra genitori e figli (Cedu causa Improta VS Italia, ric. n. 66396/14 sent. 4.5.2017), ma il diritto alla bigenitorialità non è assoluto ed incontra un limite a tutela del figlio: esso non può spingersi oltre il rifiuto del minore alla frequentazione del genitore non collocatario.

Si tratta dell'esplicazione di un fondamentale diritto del minore, vale a dire quello per cui ogni provvedimento giudiziale riguardante i figli minori deve avere come esclusivo riferimento l'interesse morale e materiale della prole, principio consacrato sin dal 1989 nella Convenzione internazionale dei diritti dell'infanzia, in particolare dall'art. 3 e dall'art. 9 a norma del quale gli Stati devono rispettare il diritto del fanciullo di intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diritti con entrambi i genitori a meno che ciò non sia contrario al suo preminente interesse. Ma l'interesse del minore è anche di potere liberamente esprimere la propria opinione in ogni questione che lo riguardi (art. 12 Conv. di New York 1989) e, conseguentemente che tale opinione venga rispettata tenuto conto della sua età e del suo grado di maturità.

Il giudice deve quindi attribuire la giusta valenza al consenso o al rifiuto del minore alla frequentazione del genitore non affidatario, purché si tratti di un'opinione espressa consapevolmente e non inficiata da interferenze esterne.

Naturalmente non ad ogni età il minore è in grado di maturare una volontà consapevole, rilevando il grado di discernimento, sicchè quella che di norma viene presa in considerazione è l'opinione del preadolescente e dell'adolescente, quindi del ragazzo di età superiore ai dodici anni. D'altro canto, la giurisprudenza ha in più occasioni ricordato che l'opinione del grand enfant è sostanzialmente vincolante per il giudice, anche tenuto conto che sarebbe impossibile attuare la decisione contro la volontà del minore.

Costringere un adolescente ad incontrare un genitore non produrrebbe alcun esito positivo, anzi sarebbe controproducente non essendo possibile coartare la volontà se non a scapito della perdita di serenità.

L'esecuzione forzata di un diritto personale qual è quello di visita non è percorribile essendo i rapporti affettivi incoercibili: quale risvolto potrebbe avere costringere un ragazzino di 13 anni a frequentare un genitore verso cui nutre repulsione se non quello di esacerbare oltremodo la relazione precludendone completamente la ripresa serena?

Quindi il diritto del minore alla bigenitorialità può anche essere esercitato in accezione negativa, nel senso che il minore capace di discernimento può legittimamente scegliere di non conservare una relazione continuativa con un genitore (in tal senso anche Cass. civ. sent. n. 20107/2016, che ha ritenuto di non poter obbligare la figlia quindicenne a frequentare il padre separato, che negli anni si era completamente disinteressato di lei limitandosi ad inviarle solo raramente qualche messaggio e telefonandole saltuariamente, e Cass. civ., ord., 23 aprile 2019, n. 11170 che conferma la sospensione delle visite tra il padre e la figlia sedicenne, che nel corso di una CTU aveva manifestato in modo reiterato il fermo rifiuto di intrattenere un rapporto continuativo con il proprio padre).

Chi scrive è dell'opinione che il rifiuto del figlio possa essere dirimente se anteriormente sia stato tentato un percorso di avvicinamento da parte dei Servizi Sociali o comunque, nell'ipotesi di diniego del minore di parteciparvi, se allo stesso sia stata offerta l'opportunità di sviscerare in sede non giudiziale i propri sentimenti. Ciò sia per non vanificare la possibilità di ripristino della relazione sia per appurare la solidità della volontà del minore.

Volontà che tuttavia andrà manifestata anche avanti al giudice poiché il soggetto minorenne può far valere il proprio diritto a non frequentare uno o entrambi i genitori in sede giudiziale mediante l'ascolto.

Il tema dell'ascolto è uno dei più dibattuti in passato ma che oggi può dirsi essere assunto a principio generale e regola processuale.

Il diritto del minore ad essere ascoltato è sancito già all'art. 12 della Conv. ONU sui diritti del fanciullo del 1989 ma anche agli artt. 3 e 10 della Convenzione di Strasburgo sull'esercizio dei diritti del minore del 1996. Con la riforma Cartabia, il diritto all'ascolto viene sancito sia dalla norma sostanziale (art. 315-bis c.c.) che introdotto tra i principi generali valenti in sede processuale, in particolare agli artt. 473-bis.4,5 e 6.

È quest'ultima disposizione, rubricata Rifiuto del minore a incontrare il genitore, quella che sancisce la deroga basilare al principio della bigenitorialità nel caso di relazioni patologiche. In tali casi occorre procedere all'ascolto immediato del minore, assumendo anche informazioni sulle ragioni addotte, posto che il rifiuto di incontrare un genitore esprime chiaramente un disagio profondo e che, in taluni casi che potrebbero essere positivamente risolvibili, il ritardo rischia di cristallizzare il rifiuto. Si tratta dunque di situazioni che richiedono la massima attenzione e vanno vagliate in modo puntuale, se occorre anche disponendo l'abbreviazione dei termini processuali in modo da apprestare una tutela immediata nel caso in cui il minore sia esposto a un pericolo psico-fisico. Scopo della norma è quindi quella di proteggere il minore, compreso, se ciò corrisponde all'interesse dello stesso, anche tentare il ripristino della relazione.

Altro punto interessante affrontato dall'ordinanza in commento è l'irrilevanza delle ragioni all'origine dell'avversione del minore: quindi anche dell'eventuale responsabilità dell'altro genitore. Assai spesso, nei casi di rifiuto del minore ad in contrare un genitore, questi imputa il rifiuto alla presunta manipolazione da parte dell'altro genitore invocando l'applicazione di misure dissuasive e sanzionatorie (ad es. Cass. civ. sent. 23 settembre 2019, n. 27207). Il tema è delicato: possono esserci casi in cui un genitore (la madre, solitamente) condiziona volontariamente la volontà del figlio mediante un'opera denigratoria dell'altra figura genitoriale, altri, più frequenti, in cui la manipolazione è assolutamente inconsapevole, altri, affatto rari, in cui il genitore a scopo protettivo semplicemente asseconda la volontà del figlio di non incontrare l'altro genitore (solitamente il padre) che sia stato artefice di maltrattamenti, fisici o psicologici, o che si sia sempre disinteressato del figlio che finisce col percepire il genitore completamente estraneo, talora addirittura imputando a sé stesso le ragioni della noncuranza paterna.

Orbene, anche in questi casi, quando la volontà del figlio è radicata e sia stato esperito il tentativo di riavvicinamento, anche eventualmente organizzando incontri protetti, chi scrive non ritiene possibile forzare la ripresa della frequentazione, poiché qualsiasi intervento autoritario sarebbe improduttivo se non anche pericoloso. Solo la libera e spontanea volontà del figlio di ripristinare un canale di comunicazione volto al riavvicinamento può giovare alla sua crescita serena, e in tal senso il genitore rifiutato dovrebbe investire il massimo impegno, accogliendo e non forzando, lasciando percepire al figlio la piena disponibilità e se del caso anche riconoscendo espressamente l'incidenza negativa rispetto al maturato distacco relazionale di eventuali suoi atteggiamenti pregressi.

Come la Cassazione rileva, quindi, è la profondità e l'intensità del sentimento di rifiuto espresso del minore che rileva, indipendentemente dalla fondatezza delle ragioni sottese addotte. È la condizione psicologica del minore, spesso contraddistinta da ansia e da paura, che deve guidare la scelta del Giudice: solo così è possibile salvaguardare la sua stabilità psichica e lo sviluppo futuro.

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