L’art. 473-bis.17 c.p.c. davanti alla Corte costituzionale
19 Settembre 2024
La Consulta è stata investita di una rilevante questione di legittimità del nuovo rito unitario persone, minori e famiglie, inserito nel capo IV bis, secondo libro del c.p.c. Nella specie, instaurato dalla moglie un procedimento di modifica delle condizioni di separazione in ordine al contributo al mantenimento di una figlia maggiorenne, il marito si costituisce in giudizio nel rispetto del termine ex art. 473-bis.16 c.p.c, opponendosi a quella domanda e, in via riconvenzionale, chiede pronunciarsi di divorzio. Il Tribunale, dopo aver affermato che tra la domanda di modifica delle condizioni della separazione e quella di divorzio sussisterebbe una connessione oggettiva, se non una litispendenza parziale, conclude per l'ammissibilità della spiegata domanda riconvenzionale nel nuovo rito unitario di cui agli artt. 473-bis.11 ss. c.p.c., traendo argomenti anche dalla ben nota sentenza della Suprema Corte n. 28727/2023 sul cumulo delle domande di separazione e divorzio nei procedimenti di natura congiunta. Dopo tale premessa, evidenzia tuttavia come il nuovo rito determini un vulnus per l'attore, tanto da sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 473-bis.17 c.p.c., per contrasto con gli artt. 3,24 e 111 Cost., “siccome lesivo del principio di uguaglianza, del diritto di difesa e del giusto processo”. Ed invero, l'attore, a fronte di un ampliamento del thema decidendi, introdotto dalla riconvenzionale del convenuto, che può essere anche molto ampio, come nella specie, deve prendere posizione sulle domande e difese avversarie, modificare le proprie domande, formulare eventuali eccezioni e domande nuove, conseguenti a quelle del convenuto e dedurre i relativi mezzi di prova “entro l'esiguo termine di 10 giorni, che spesso si riduce a 9 o anche meno se la comparsa viene depositata l'ultimo giorno disponibile e scaricata quindi dalla cancelleria il giorno successivo”. Osserva con precisione l'ordinanza come il termine di soli dieci giorni per la memoria dell'attore sia assolutamente incongruo e dissonante rispetto a quanto previsto in altri riti per giudizi a cognizione piena. Secondo l'acuto ragionamento del Tribunale, l'art. 473-bis.17 c.p.c. rappresenta “un caso isolato di irragionevole compressione dei termini di difesa, in un contesto in cui le parti non si trovano poste in condizioni di parità”. Per di più la perentorietà dei termini stabiliti a pena di decadenza impedisce al giudice di supplire con un'interpretazione adeguatrice costituzionalmente orientata della norma, come pure di esercitare il potere di rimessione in termini della parte, “che introdurrebbe necessariamente un meccanismo di slittamento automatico della prima udienza con conseguente concessione ex novo di tutti i termini ex art. 473-bis.17 c.p.c. non previsto dal legislatore.” L'ordinanza ben focalizza un profilo critico della riforma, anche in relazione alle problematiche che s'innestano nell'ambito del processo civile telematico, che può ridurre i termini di materiale acquisizione degli atti avversari, situazione ancora più grave, a fronte del computo dei termini a ritroso, con le ben note problematiche ove questi dovessero cadere in giorno festivo o di sabato. |