Risarcimento del danno da provvedimento illegittimo: necessaria la dimostrazione del ricorrente della spettanza del bene della vita in assenza del provvedimento lesivo

Redazione Scientifica Processo amministrativo
27 Settembre 2024

Il mero annullamento del provvedimento amministrativo illegittimo non è sufficiente a fondare una domanda di risarcimento dei danni, essendo necessario oltre alla prova della condotta dolosa o colposa della p.a., la dimostrazione, secondo un giudizio prognostico, che, in assenza della illegittimità del provvedimento, l'interessato avrebbe ottenuto il bene della vita.

Il TAR per il Lazio con la pronuncia in esame ha affrontato il tema della domanda di risarcimento dei danni derivanti dell'illegittimo esercizio dell'attività̀ amministrativa nel quadro della responsabilità aquiliana della p.a. ai sensi dell'art. 2043 c.c.

In particolare, a seguito di un primo ricorso avanti il TAR per il Lazio veniva annullata la valutazione negativa di una Commissione di concorso per l'abilitazione scientifica nazionale (ASN) di professore universitario associato. L'ASN era stata denegata nonostante il giudizio positivo della maggioranza dei membri della Commissione (tre su cinque), in applicazione della disposizione regolamentare che imponeva la maggioranza qualificata dei 4/5 di cui all'art. 8 del d.P.R. n. 222/200, poi annullata erga omnes in sede giurisdizionale con effetto ex tunc.

Il TAR aveva ritenuto che il giudizio complessivo finale della Commissione riferisse i giudizi, tra loro discordanti, dei singoli Commissari e non esprimeva una valutazione collegiale di sintesi. Alla sentenza del TAR adito, che nel frattempo veniva appellata, era seguita una serie di giudizi di ottemperanza per darvi esecuzione. Tuttavia, la sentenza di primo grado passava in giudicato, per il profilo della illegittimità dei provvedimenti impugnati , con conseguente conferma della abilitazione del ricorrente.  Il Consiglio di Stato aveva ritenuto l'appello inammissibile, in quanto l'annullamento del giudizio negativo in primo grado conseguiva all'accoglimento di un'apposita censura che non era stata oggetto di specifica impugnazione. Il ricorrente domandava il risarcimento del danno per la illegittimità dei provvedimenti amministrativi annullati .

In via preliminare il Collegio ha richiamato la consolidata giurisprudenza secondo la quale l'illegittimità di un atto non è sufficiente per dimostrare la fondatezza di una domanda di risarcimento del danno , dovendo invece ricorrere tutti i presupposti di cui all'art. 2043 c.c., e comunque applicandosi, se del caso, l'art. 1227 c.c. e l'art. 30 c.p.a. che sanciscono il dovere del danneggiato di mitigare e se possibile di evitare il pregiudizio con l'uso della dovuta diligenza. È necessario, oltre alla prova del comportamento doloso o colposo dell'amministrazione un quid pluris, ossia la prova del nesso di causalità immediata e diretta tra l'illegittimità dell'atto ed il pregiudizio subito consistente nella dimostrazione che in assenza di tale provvedimento illegittimo il ricorrente avrebbe senz'altro ottenuto (o conservato) il bene della vita agognato (o posseduto), secondo un giudizio prognostico fondato su criteri di ragionevolezza.

Al riguardo, il Collegio ha chiarito che l'accertamento del nesso di consequenzialità immediata e diretta del danno con l'evento pone maggiori problemi di prova del lucro cessante, quale possibile incremento patrimoniale, che ha di per sé una natura ipotetica, rispetto al danno emergente, quale decremento patrimoniale già avvenuto. Quindi, la valutazione causale ex art. 1223 c.c. conduce a un giudizio di verosimiglianza (rectius di probabilità) per stabilire se il guadagno futuro e prevedibile avrebbe potuto realizzarsi con ragionevole grado di probabilità senza il fatto ingiusto altrui, ovvero, nel caso di specie, il diniego della ASN, da cui il ricorrente fa discendere il fatto dannoso .

Quanto alla valutazione della colpa, il Collegio afferma che, mentre in sede di legittimità rileva il vizio della funzione, in sede risarcitoria, rileva l'intero rapporto sviluppatosi tra le parti ed il complessivo comportamento delle stesse, alla luce del quadro giuridico e fattuale di riferimento, che, nel caso di specie, al momento del diniego della ASN non poteva considerarsi sufficientemente chiaro. Il giudizio negativo in ordine alla ASN è scaturito da una serie di considerazioni che, seppure illegittime, non assumono i caratteri della negligenza, dell'imperizia o dell'imprudenza, ma vista la novità del quadro giuridico, seppure erroneamente, la Commissione, dotata di ampia discrezionalità tecnica, può aver ritenuto superflua ed assorbita la sintesi collegiale considerato il giudizio negativo di due commissari su cinque

Pertanto, ad avviso del Collegio non è stata provata la sussistenza del nesso di causalità tra l'illecito (rectius il vizio di legittimità) ed il danno, con particolare riguardo alle condotte successive alla sentenza del TAR di annullamento del diniego della ASN, perché per quelle anteriori non sono ravvisabili, come si è visto, gli estremi della colpa. Infatti, il mancato conferimento del titolo abilitativo, di per sé, ed in assenza di ulteriori elementi, non determina alcun pregiudizio economico per il ricorrente, se non nella misura in cui la mancata e tempestiva ASN abbia, a causa della condotta imputabile alla p.a. precluso una effettiva opportunità maggior guadagno e, quindi, nel caso di specie di carriera.

Sul punto il Collegio ha rilevato che nel giudizio risarcitorio deve applicarsi in toto il principio dell'onere della prova, di cui all'art. 64 c.p.a., non potendo venire in considerazione il metodo acquisitivo, che il ricorrente avrebbe, secondo il criterio del “più probabile che non”, domandato ed ottenuto un posto di professore associato in un ateneo nazionale in assenza delle illegittimità degli atti relativi al conseguimento della sua ASN; in tal senso non rileva la condotta della p.a. dopo l'ottenimento dell'ASN in sede di ottemperanza, per la mancanza di prove da parte del ricorrente  dell'esistenza di almeno una concreta opportunità di suo interesse.

Quanto alla valutazione della sussistenza ed eventuale quantificazione dei danni , ai sensi degli artt. 1227 c.c. e 30, comma 3, c.p.a., il Collegio ha precisato che occorre tenere conto dell'onere di cooperazione del privato, che si declina in un obbligo positivo, cioè nelle condotte richiedibili alla stregua dei principi di solidarietà, buona fede e correttezza e a realizzare tutte le misure idonee, che nel caso di specie non è stato pienamente assolto.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio ha respinto il ricorso .

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