APP e Processo Penale Telematico tra questioni tecniche ed ordinamentali
30 Settembre 2024
Introduzione. Progettare APP: un problema solo informatico? La difficoltà di adattarsi ad un modo di lavorare radicalmente nuovo ed i problemi di malfunzionamento di APP (Applicativo Processo Penale) hanno sinora posto in secondo piano i problemi ordinamentali che comunque pone la progettazione di un applicativo destinato a gestire il Processo Penale Telematico e, di conseguenza, l'esercizio della giurisdizione penale in Italia. È dunque necessario, a prescindere dal funzionamento in concreto di APP, ragionare sui principi che ne devono ispirare la progettazione e l'utilizzo: a cosa deve servire APP, quali spazi di libertà deve lasciare all'utilizzatore, quali scelte spettano all'utente e quali all'applicativo? Molti dei problemi da affrontare sono evidentemente comuni a tutti gli applicativi che gestiscono settori strategici della pubblica amministrazione e strutture organizzative complesse: si pensi per esempio ai profili che riguardano la sicurezza e l'usabilità del software. Altri hanno invece carattere del tutto peculiare, poiché peculiare è il potere – quello giurisdizionale - che si esercita per il tramite dell'applicativo. Si tende, invece, troppo spesso a pensare che il passaggio dal processo analogico al processo telematico sia in fondo una questione meramente tecnica: l'interesse dei magistrati sarebbe quindi soltanto quello di avere uno strumento che, pur innovativo, deve essere funzionale all'attività giurisdizionale, attività che, nella sua essenza, rimarrebbe in fondo la stessa di prima e che, auspicabilmente, l'informatica dovrebbe solamente consentire di esercitare in modo più efficiente. L'informatica, dunque, come mero strumento, estraneo e distinto dal modo in cui la giurisdizione viene esercitata. In questa prospettiva l'attività del magistrato che redige un atto rimarrebbe sostanzialmente la stessa, sia che questo venga scritto con carta e penna, sia che si utilizzi un word processor, sia che l'atto nasca e venga trasmesso telematicamente attraverso APP; unico interesse del magistrato (e degli altri utenti) sarebbe quello di avere a disposizione un applicativo agile, funzionante e dotato delle caratteristiche di usabilità e sicurezza comuni ai tanti applicativi che utilizziamo quotidianamente. La progettazione dell'applicativo destinato a gestire il processo telematico porrebbe, dunque, questioni riguardanti i soli esperti di informatica, che dovrebbero avvalersi della consulenza dei giuristi al solo scopo di orientarsi nel complicato mondo delle norme sostanziali e processuali. L'analisi dello sviluppo di APP, e la concreta esperienza dei suoi primi mesi di utilizzo negli uffici giudiziari, rivelano, invece, come il funzionamento dell'applicativo condizioni l'esercizio della giurisdizione sotto vari profili: di qui la necessità non solo di analizzare, in via astratta e prescindendo dal suo concreto ed attuale funzionamento, come l'applicativo del PPT debba funzionare e come debba essere progettato, ma altresì la necessità che tale analisi prenda le mosse dai valori di rango costituzionale che tutelano l'attività giudiziaria, quell'attività che tramite APP viene concretamente esercitata. L'applicativo che gestisce il Processo Penale Telematico (APP), infatti, consente di formare gli atti del procedimento penale, ne disciplina l'inserimento nel fascicolo processuale e regola il flusso degli atti nel procedimento e nel processo; condiziona poi, come si vedrà, l'organizzazione degli uffici giudiziari, giudicanti e requirenti. La formazione degli atti, il loro inserimento nel flusso procedimentale e l'organizzazione degli uffici sono le attività tipiche dell'esercizio del potere giurisdizionale. Il problema di fondo della progettazione di APP è dunque quello di accertarsi che, magari in modo surrettizio o inavvertito, il suo funzionamento non condizioni l'esercizio concreto di tale potere: scelte apparentemente tecniche possono in realtà avere effetti sostanziali che condizionano l'attività giudiziaria. Se APP determina la formazione ed il contenuto degli atti, il flusso di questi all'interno del procedimento, e l'organizzazione degli uffici, è necessario analizzare separatamente tali aspetti. Le considerazioni che verranno qui esposte in ordine ai problemi ordinamentali inerenti alla progettazione di un applicativo destinato a gestire il Processo Penale Telematico valgono, in realtà, per qualsiasi tipo di processo, poiché riguardano, in sostanza, il rapporto tra attività giurisdizionale e funzionamento degli applicativi. Se di qui in avanti si farà riferimento al PPT, ciò non toglie che si tratti di questioni più ampie, che interessano qualsiasi tipo di attività processuale telematica. La formazione degli atti APP è innanzitutto l'applicativo a mezzo del quale si forma l'atto del procedimento, anche se questa non è la sua funzione più delicata né esclusiva. Se pure l'atto può essere formato autonomamente, l'uso di APP è necessario per dargli esistenza giuridica, consentendo di individuarne la tipologia, di firmarlo, di inserirlo nel fascicolo processuale, di comunicarlo all'interno ed all'esterno dell'Ufficio e di trasmetterlo infine agli altri soggetti del processo. L'applicativo individua così in primis la natura dell'atto che viene inserito nel procedimento: perché un atto possa esistere nel processo penale telematico, è infatti necessario, in linea di principio, che quell'atto appartenga ad un tipo previsto; sia, cioè, ricompreso nell'elenco degli atti contenuto all'interno dell'applicativo. Il che pone due problemi: il primo, che riguarda l'esaustività dell'elenco, può essere risolto per il tramite di una previsione estremamente minuziosa, destinata comunque ad un perenne aggiornamento in conseguenza dei mutamenti normativi; il secondo, di natura concettuale, consiste nella contraddizione tra la pretesa di redigere un elenco completo di tutti gli atti necessari all'esercizio della giurisdizione penale e un sistema regolato invece dalla non tassatività dei mezzi di prova, ex art. 189 c.p.p. È ben vero che APP prevede, nella versione più recente, la possibilità di redigere un “Atto atipico” e una “Richiesta atipica”, peraltro catalogati non nella “Fase:Indagini Preliminari” bensì in una fantomatica “Fase:Atipico” [sic]. L'esempio consente comunque di comprendere come e quanto l'architettura del programma sia in grado di condizionare l'esercizio della giurisdizione: basti considerare che una semplice modifica del software che non permettesse la redazione di atti atipici (cioè, l'assunzione di “prove non disciplinate dalla legge”) condurrebbe alla sostanziale abrogazione della norma di cui all'art. 189 c.p.p. Quanto al contenuto dell'atto, l'applicativo prevede la possibilità di formare l'atto a mezzo di una routine informatica (c.d. wizard) che guida l'utente alla compilazione dei campi e delle parti dell'atto, o, in alternativa, di caricare un atto in origine formato all'esterno di APP, scelta questa che non era prevista nelle prime versioni del programma. Poiché la formazione dell'atto nel suo contenuto è momento per eccellenza di esercizio della giurisdizione, si deve comunque escludere che l'applicativo possa essere progettato in modo da richiedere o imporre un contenuto obbligatorio, anche quando tale contenuto sia richiesto ex lege: si pensi per esempio a tutti i casi in cui le norme prescrivono una serie di requisiti dell'atto (a titolo di esempio gli artt. 292 comma 2, 393 comma 1, 417 comma 1, 429 comma 1, 450 comma 3, 456, 460 comma 1, 550 comma 1 c.p.p.). A questo proposito vale la considerazione, ovvia ma cionondimeno principio fondamentale della progettazione di qualsiasi applicativo per la gestione del processo telematico, per cui il controllo sulla correttezza e sulla completezza degli atti non spetta al software, ma rimane oggetto dell'attività che costituisce l'essenza della giurisdizione. Più specificamente, in nessun caso il contenuto, o la mancanza di contenuto, dell'atto, potrà avere efficacia bloccante sulla sua formazione e sulla sua sottoscrizione, né impedirne l'inserimento nel fascicolo processuale. L'individuazione del contenuto necessario di un atto è, e deve rimanere, attività riservata alla funzione giudiziaria, per tacere del fatto che non è detto che tutti i requisiti di un atto richiesti dalla norma siano necessariamente obbligatori. Può essere invece utile la previsione di avvisi (warning) che avvertano della mancanza di un requisito dell'atto, ferma restando la necessità che questi possano essere superati dall'utente e non possano impedirgli di redigere l'atto. Per altro verso, pur trattandosi di un profilo che non incide direttamente sulla delimitazione tra le scelte del magistrato e quelle del software, è necessario anche evitare che l'attività di formazione dell'atto venga confusa e si sovrapponga a quella di compilazione ed aggiornamento dei registri di cancelleria, estranea di per sé alle competenze del magistrato. Si tratta di due attività diverse, che la legge affida a due soggetti diversi, e che vanno tenute distinte, essendo la seconda (compilazione dei registri) conseguente alla prima (formazione dell'atto). Se, in sede di progettazione dell'applicativo, la scelta di privilegiare l'utilizzo della procedura guidata nel procedimento di formazione dell'atto è dettata dall'esigenza di garantire la c.d. “pulizia del dato” e l'integrità dei dati contenuti nei registri di cancelleria, si tratta comunque di un'esigenza che deve cedere alla necessità di consentire la libertà di determinazione del contenuto dell'atto da parte dell'Autorità Giudiziaria. In altri termini, la progettazione del software di gestione del processo telematico richiede di effettuare un bilanciamento tra le esigenze sottese al suo funzionamento in ragione dei valori costituzionali da garantire: tra questi l'autonomia del potere giudiziario, che si esprime anche e prima di tutto nell'autonomia di determinazione del contenuto dell'atto, prevale sulla pulizia e coerenza del dato contenuto nei registri di cancelleria. Anche in questo caso non si può escludere che il programma non possa dare all'utente una serie di avvisi qualora il dato inserito diverga da quello contenuto nei registri: il software deve però garantire che tali avvisi non abbiano carattere bloccante, impedendo la compilazione dell'atto ed il suo inserimento nel fascicolo processuale. Il flusso processuale degli atti Quanto al flusso degli atti nel processo valgono considerazioni analoghe a quelle sin qui esposte in relazione al loro contenuto. APP, infatti, non gestisce solo il momento statico della formazione dell'atto, ma anche quello dinamico della sua circolazione nel procedimento penale: attraverso l'applicativo, infatti, l'atto viene firmato ed è inserito nel fascicolo processuale, venendo così formalmente ad esistenza, e sempre a mezzo dell'applicativo viene inviato e comunicato al destinatario o messo materialmente in esecuzione. È questo l'aspetto più innovativo dell'introduzione di APP negli uffici: se la formazione dell'atto a mezzo dell'applicativo non appare sostanzialmente diversa dalla formazione dell'atto mediante l'utilizzo di un word processor, la trasmissione per via telematica dell'atto al destinatario processuale (si pensi alla trasmissione della richiesta di archiviazione dal PM al GIP) costituisce una vera e propria rivoluzione. La prima criticità, già rilevata nell'utilizzo concreto di APP, consiste nell'impossibilità che l'atto, formato e firmato dal magistrato, venga inserito nel fascicolo, e dunque acquisito al procedimento, in mancanza dell'intervento del cancelliere/segretario, nella figura del c.d. “utente segreteria”. Se in passato l'atto esisteva giuridicamente nel momento in cui veniva materialmente stampato e sottoscritto dal suo autore, oggi lo stesso atto, se pur firmato digitalmente, non viene a far parte del fascicolo processuale se non dopo l'intervento del cancelliere. A prescindere dalle questioni giuridiche che si pongono quanto al limbo in cui l'atto sembra permanere tra il momento in cui viene firmato digitalmente e quello in cui viene inserito nel fascicolo processuale, si tratta, comunque, di una scelta di progettazione del software che appare contra legem, dal momento che, salvo i casi esplicitamente previsti (si pensi all' art. 548 comma 1 c.p.p.), non è dato poter rinvenire nell'ordinamento un principio di ordine generale che subordini l'esistenza giuridica di un atto procedimentale ad un'attività certificativa del personale amministrativo e di segreteria. In questo caso, dunque, il software rischia di introdurre surrettiziamente una norma sin qui non esistente nell'ordinamento. Vanno, inoltre, ripetute per l'aspetto dinamico della vicenda processuale le considerazioni fatte a proposito della fase statica della formazione dell'atto. Si possono individuare, in via del tutto esemplificativa e senza pretese di esaustività, vari profili in relazione ai quali è da escludersi che il software di gestione del processo telematico possa assumere funzioni di controllo della correttezza o addirittura della completezza del percorso processuale dell'atto, essendo, invece, necessario accertare caso per caso che l'applicativo non assuma una funzione di controllo, che si risolverebbe, in concreto, in una inammissibile interferenza sull'autonomia della funzione giurisdizionale. Così, per esempio, quanto alla funzione di firma, non è compito dell'applicativo verificare che l'atto sia firmato da tutti i coassegnatari, né che il firmatario dell'atto sia assegnatario del procedimento, quantomeno se tale verifica venga intesa e configurata come condizione di inoltro dell'atto al destinatario. Analoga considerazione può essere fatta con riguardo ai termini processuali: non spetta al programma controllare la tempestività di un atto, se non per darne avviso all'utente, avviso che non potrà mai avere efficacia bloccante sull'inoltro dell'atto. Il principio vale quale che sia la natura, ordinatoria o perentoria, del termine: non solo non è compito del programma definire quali termini siano perentori e quali ordinatori, ma l'applicazione dell'eventuale sanzione processuale conseguente al mancato rispetto del termine è ovviamente competenza del giudice e non del software. Anche con riferimento al visto conoscitivo sugli atti ed all' assenso sulle richieste di misura cautelare, deve escludersi che il software possa assumere funzione di controllo e, dunque, bloccante della firma dell'atto da parte del titolare e del suo successivo inoltro al destinatario. Il “visto” sugli atti, infatti, come esplicitamente previsto dall'art. 20 comma 2 della “Circolare sulla Organizzazione degli Uffici di Procura” del CSM approvata il 3 luglio 2024 (circ. proc.), ha “funzione conoscitiva” e comunque, esperito il percorso procedimentale previsto dai commi 3 e 4 dell'art. 20, “il procedimento resta in capo al magistrato assegnatario per l'ulteriore corso”. Per quel che riguarda, poi, l'assenso previsto dagli artt. 3 commi 1 e 2 d.lgs. n. 106/2006 e 19 circ. proc. per il fermo di indiziato di delitto e per le richieste di misura cautelare, va ricordato come la giurisprudenza di legittimità ritenga che questo “non è condizione di validità della conseguente ordinanza cautelare del giudice” (Cass., sez. un., 22 gennaio 2009, n. 8388, rv.242293-01): la richiesta priva di assenso è, dunque, valida, se pur ne possa derivare responsabilità disciplinare. Anche a questo proposito, dunque, l'applicativo non deve assumere funzione di controllo o di blocco di una richiesta priva di assenso: in caso contrario l'applicativo assumerebbe, del tutto impropriamente, la funzione di controllo dell'attività giurisdizionale e, in sostanza, di interpretazione della norma. Nemmeno l'individuazione del destinatario dell'atto, che si sostanzia in una questione di competenza, può essere delegata al funzionamento dell'applicativo che, invece, trattandosi di attività tipicamente giurisdizionale, dovrà lasciare la massima libertà all'utente. Si pensi ai casi nei quali è necessario individuare se, in relazione ai reati per i quali si procede, l'azione penale debba essere esercitata mediante citazione diretta ex art. 550 c.p.p. o mediante richiesta di rinvio a giudizio ex art. 416 e ss. c.p.p. Delegare al software l'individuazione, con efficacia bloccante, del percorso processuale corretto equivarrebbe, nella sostanza, a trasferire nella sua progettazione l'attività di interpretazione delle norme che costituisce l'essenza della giurisdizione. Per fare un esempio concreto, si è discusso se per il reato di cui all'art. 624-bis c.p. l'azione penale debba essere esercitata con richiesta di rinvio a giudizio (essendo punito con pena superiore ai quattro anni di reclusione, limite previsto dall'art. 550 c.p.p.) o con citazione diretta, per analogia ex art. 550 comma 2 con le ipotesi di furto aggravato. La giurisprudenza di legittimità ritiene che per il reato di cui all'art. 624-bis c.p. l'azione penale vada esercitata nelle forme di cui all'art. 550 c.p.p. (Cass., sez. IV, 16 ottobre 2018, n. 1792, Nastasi, Rv. 275078 – 01). Un software che contenesse un meccanismo di controllo atto ad impedire la formazione di un decreto di citazione diretta a giudizio per un reato punito con pena superiore nel massimo a quattro anni svolgerebbe, in concreto, funzione giurisdizionale. Analogamente per quel che riguarda tutti i casi nei quali si fa questione della regolarità di un determinato percorso processuale o, addirittura, dell'abnormità di un atto. Per restare all'esempio riguardante la competenza a giudicare del delitto di cui all'art. 624-bis c.p., è possibile rinvenire pronunce di legittimità che affermano (Cass., sez. IV, 15 novembre 2016, n. 53382, Rv. 268487-01.) o negano (Cass., sez. V, 3 febbraio 2021, n. 9601, Rv. 280576-01.) l'abnormità del provvedimento del giudice per l'udienza preliminare che, investito della richiesta di rinvio a giudizio per il reato di cui all'art. 624-bis c.p., “disponga, fuori dall'udienza preliminare, la restituzione degli atti al pubblico ministero per l'esercizio dell'azione penale nelle forme della citazione diretta a giudizio”. In questo e in tutti i casi analoghi, che riguardano in sostanza la correttezza del flusso processuale, la scelta del giudice deve rimanere autonoma e non condizionata dall'applicativo. Per riassumere, è necessario accertare che in nessun caso il funzionamento del software sostituisca o integri l'attività interpretativa, come accadrebbe se esistessero delle routine informatiche finalizzate a controllare la correttezza del destinatario dell'atto, il rispetto di termini o, più in generale, la congruità del percorso procedimentale, con riferimento a tutte le alternative che costituiscono oggetto di interpretazione, attività che deve rimanere di esclusiva competenza dell'Autorità Giudiziaria e rispetto alla quale APP deve mantenere la massima neutralità. L'organizzazione degli uffici Il funzionamento dell'applicativo ha poi un impatto estremamente significativo sull'organizzazione degli uffici giudiziari. Come è noto, la legge prevede che ogni ufficio, requirente e giudicante, determini la propria organizzazione con i progetti organizzativi e tabellari previsti rispettivamente dagli artt. 1 commi 6 e 7 d.lgs. n. 106/2006, 7-bis e 7-ter O.G. – che regolano nel dettaglio il funzionamento degli uffici prevedendo, a titolo di esempio, i criteri di assegnazione e coassegnazione dei procedimenti (nelle Procure), i criteri di “assegnazione degli affari alle singole sezioni ed ai singoli collegi e giudici” (negli uffici giudicanti), la possibilità di delegare compiti organizzativi ed in generale le forme e le modalità dell'esercizio dei poteri attribuiti a coloro che rivestono incarichi direttivi e semidirettivi. Progetti organizzativi e progetti tabellari sono oggetto di approvazione del Consiglio Superiore della Magistratura, costituendo uno degli strumenti che concorrono ad assicurare l'autonomia e l'indipendenza della funzione giurisdizionale. Ogni ufficio ha, dunque, il diritto e il dovere di disegnare, con le modalità previste dalla legge, la propria articolazione interna, nell'osservanza delle norme primarie e delle circolari in materia dell'organo di autogoverno, poiché, attraverso i provvedimenti con i quali regola il proprio funzionamento, ogni ufficio assicura un autonomo, corretto e trasparente esercizio dei propri poteri. Il sistema organizzativo degli uffici giudiziari assicura in definitiva il rispetto di principi di rango costituzionale quali la garanzia del giudice naturale precostituito per legge (art. 25) e l'autonomia della funzione giurisdizionale (artt. 101 e 104). Fatte queste premesse, è necessario accertare che l'applicazione chiamata a gestire il processo penale telematico non costringa gli uffici giudiziari a mutare la propria organizzazione o che comunque in qualsiasi modo non la condizioni. In tal caso verrebbe compromessa l'autonomia, che la legge garantisce ad ogni ufficio giudiziario, di organizzarsi in ragione delle dimensioni, del tipo di affari trattati, della realtà economica e sociale del territorio di competenza e delle scoperture dei magistrati e del personale amministrativo. È necessario quindi, come è stato ribadito dal CSM nella delibera del 13 marzo 2024, “che, sin dalla fase di progettazione e di analisi dei flussi, gli applicativi destinati a gestire l'attività degli uffici giudiziari non individuino moduli organizzativi predeterminati ai quali i singoli uffici debbono poi adattarsi, ma adottino una logica radicalmente diversa: è necessario, cioè, che, dal punto di vista organizzativo, vengano preliminarmente individuati i singoli poteri esercitabili all'interno degli uffici, consentendo poi a ciascuno di questi di mantenere la propria articolazione interna, in conformità del progetto organizzativo e delle tabelle”. Nella pratica concreta dell'esercizio di APP, al contrario, ciò che il Consiglio paventa è avvenuto quantomeno con riferimento alla individuazione, all'interno dell'applicativo, dei c.d. “ignoti seriali”, vale a dire di quei procedimenti iscritti nei confronti di autore ignoto, in relazione ai quali è ragionevole ritenere non sia possibile svolgere utilmente indagini. Si tratta di una categoria creata dall'applicativo che, come tale, non ha corrispondenza concreta nella normativa processuale né nei progetti organizzativi degli uffici requirenti italiani: a ben vedere, infatti, “seriale” non è la natura ontologica del procedimento contro ignoti, ma la modalità con cui si intende archiviarlo. Tale categoria, introdotta nel software e dunque di creazione per così dire informatica, ha costretto gli uffici a modificare la propria organizzazione, e dunque il proprio progetto organizzativo, al di fuori delle procedure previste dalla legge. Se, per ipotesi, fino ad ora i procedimenti a carico di ignoti per truffa andavano assegnati al gruppo di lavoro A, quelli per furto al gruppo di lavoro B e quelli per truffa informatica al gruppo C, APP, scavalcando le competenze del Procuratore e del Consiglio, ha di fatto creato il gruppo D (ignoti seriali), che ricomprende tutti i procedimenti in origine divisi tra i gruppi A, B e C. Come ha scritto il Procuratore della Repubblica di Milano nel provvedimento ex art. 175-bis comma 4 c.p.p. del 10 aprile 2024 con il quale ha sospeso l'utilizzo di APP per i procedimenti iscritti a mod. 44, la nuova funzione di redazione massiva “inciderebbe anche sulla corretta indicazione delle materie, come individuate dal Capo dell'Ufficio nel progetto organizzativo vigente, poiché tutti i procedimenti conclusi massivamente riporterebbero la materia ‘Ignoti Seriali', materia che è, di fatto, inesistente nell'ambito dell'organizzazione dell'Ufficio”. È necessario, invece, che, sin dalla progettazione, il software di gestione del processo penale telematico non individui uno o più moduli organizzativi predeterminati ai quali gli uffici debbono poi adattarsi, ma al contrario consenta loro la massima possibilità di articolarsi in relazione ai singoli progetti organizzativi e tabellari. Serve dunque una architettura completamente scalabile ed adattabile che, mediante un'accurata analisi delle fonti normative e consiliari, individui gli elementi caratterizzanti l'organizzazione degli uffici consentendo di adattare l'applicativo ai provvedimenti organizzativi, e non questi alle esigenze dell'applicativo. Sotto questo aspetto la progettazione di un applicativo destinato a gestire il processo penale ha carattere del tutto peculiare. Se, di regola, tra le funzioni di un applicativo di gestione delle attività di strutture complesse e articolate sul territorio (si pensi al software di gestione dell'attività di una struttura aziendale organizzata in filiali) vi è anche quella di definire univocamente i poteri dei soggetti ai quali sono affidati compiti decisionali e di uniformare le prassi operative, l'applicativo del processo penale telematico ha funzioni affatto diverse, conseguenti al carattere diffuso del potere giurisdizionale e al principio costituzionale di autonomia della magistratura. Non è dunque compito di APP uniformare le prassi adottate dagli uffici giudiziari, o magari individuare alcuni modelli organizzativi standard ai quali poi ciascun ufficio si deve adattare. Al contrario, il compito degli sviluppatori di APP è quello di creare una struttura dell'applicativo che consenta ad ogni ufficio di adottare autonomamente il proprio progetto organizzativo e tabellare. La programmazione non dovrà modellare il funzionamento del software traducendo in esso le prassi adottate in alcuni uffici considerati “pilota”, ma dovrà tradurre nella progettazione del software le previsioni delle fonti normative, primarie e secondarie, che disciplinano l'organizzazione degli uffici giudiziari: adottando, cioè, un procedimento di natura deduttiva (dalle fonti al programma) e non induttiva (dalla realtà organizzativa dell'uno o altro ufficio al programma). Solo così ciascun ufficio giudiziario avrà la possibilità di individuare in piena autonomia le proprie articolazioni interne (gruppi di lavoro e sezioni), i soggetti ai quali sono attribuiti i poteri organizzativi (per le procure l'assegnazione e la coassegnazione dei procedimenti, assenso sulle misure cautelari ex art. 3 commi 1 e 2 d.lgs. n. 106/2006 e 19 circ. proc., visto su atti ex art. 20 circ. proc., delega) e più in generale le proprie prassi ed i propri moduli organizzativi che, contenuti nei provvedimenti organizzativi ed approvati dal Consiglio Superiore, costituiscono presidio irrinunciabile dell'autonomia dell'Ordine Giudiziario. Conclusioni. La progettazione di APP è un “servizio relativo alla giustizia” ex art. 110 Cost.? Rimane questione aperta, ed esorbitante dagli scopi di questa analisi, se l'applicativo destinato a gestire il processo telematico rientri effettivamente, come tuttora si ritiene facendo pigramente riferimento all'art. 110 Cost., tra i “servizi relativi alla giustizia” in cui “organizzazione e funzionamento” spettano al Ministro della Giustizia. Si è infatti sinora ritenuto che tutto ciò che concerne l'informatica sia “servizio” dell'attività giudiziaria, consideratone il carattere a questa “servente”. Gli strumenti informatici, sia hardware che software, sono sinora stati individuati, configurati, forniti agli uffici e mantenuti in esercizio dalle strutture ministeriali sul presupposto che essi servono al concreto dispiegarsi dell'attività giurisdizionale, comunque restando da questa ben distinti e nell'obiettiva impossibilità di poterla condizionare. Per intenderci, la scelta ministeriale di fornire agli uffici uno o l'altro dei word processor disponibili sul mercato non è in grado di condizionare il contenuto degli atti che con quei software vengono redatti, atti che non mutano col mutare della stampante utilizzata per produrli. Come si è dimostrato in questo articolo, l'applicativo destinato a gestire il processo telematico ha natura concettualmente diversa dalle dotazioni informatiche pacificamente rientranti nella previsione dell'art. 110 Cost. e, dunque, di competenza del Ministro della giustizia: se mal progettato, APP è in grado di condizionare l'esercizio stesso della giurisdizione, può abrogare implicitamente norme processuali, può sostituirsi all'attività interpretativa riservata alla giurisdizione e può condizionare l'organizzazione degli uffici giudiziari. APP non rientra dunque, a nostro avviso, tra i “servizi relativi alla giustizia” di cui all'art. 110 Cost., e perciò la sua “organizzazione” ed il suo “funzionamento” – che in concreto consistono nella progettazione della sua architettura, nella sua manutenzione e nel suo aggiornamento – non possono essere esclusiva del Ministro della Giustizia. Al contrario, lo strettissimo legame tra il corretto funzionamento del software e il rispetto dei principi costituzionali della soggezione dei giudici solo alla legge e dell'autonomia ed indipendenza della magistratura da ogni altro potere, impongono di considerare tra i parametri costituzionali della valutazione delle competenze relative all'applicativo gli artt. 101 e 104 Cost., a maggior ragione se si considera che lo stesso art. 110 Cost. utilizza, nel definire le competenze del Ministro, una formula residuale che fa salve “le competenze del Consiglio superiore della magistratura”. Ne deriva, ad avviso di chi scrive, la necessità di pensare allo sviluppo ed alla manutenzione in esercizio di APP, ora e per il futuro, come un'attività alla quale debbono stabilmente e necessariamente partecipare, possibilmente attraverso strutture che assicurino una stabile collaborazione e un continuo e proficuo lavoro di analisi e di confronto, il Ministero della giustizia, il Consiglio superiore della magistratura, la Scuola superiore della magistratura e il Consiglio Nazionale Forense. Solo così il processo penale telematico potrà superare le difficoltà sin qui riscontrate e divenire strumento di efficienza dell'amministrazione della giustizia. |