Requisiti di partecipazione: valorizzazione del possesso delle certificazioni anche in capo ad una soltanto delle imprese del R.T.I.

01 Ottobre 2024

L'art. 95, comma 6, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, nel prevedere la valutazione delle offerte sulla base di caratteristiche soggettive dell'impresa, purché connesse all'oggetto dell'appalto, consente di valorizzare il possesso delle certificazioni anche in capo ad una soltanto delle imprese del raggruppamento se idoneo, comunque, a connotare positivamente l'offerta di quest'ultimo.

Il caso. Una società ha impugnato l'esito di una gara indetta – ai sensi del previgente Codice dei contratti pubblici – per l'affidamento del servizio di guardiania e vigilanza armata.

In particolare, con ricorso principale, la ricorrente ha lamentato:

  1. la lesione del proprio diritto di difesa, in quanto la stazione appaltante non avrebbe tempestivamente riscontrato l'istanza di accesso da questa presentata;
  2. la pretesa sussistenza di una inammissibile sostituzione per addizione del RTI aggiudicatario;
  3. l'erroneità del punteggio attribuito al primo classificato, relativamente al possesso del rating di legalità.

A ciò si aggiunga che, con ricorso per motivi aggiunti, la ricorrente (avendo avuto accesso alla documentazione richiesta con l'istanza di accesso) ha altresì censurato l'attribuzione all'aggiudicatario del punteggio massimo (pari a 2 punti), per il criterio di valutazione relativo al possesso della certificazione della parità di genere ai sensi della UNI/Pdr 125:2022, posto che è solo la mandante dell'aggiudicatario RTI ad essere in possesso di detta certificazione.

La decisione. Il T.A.R. Lazio, sede di Roma, non condividendo le censure articolate dalla ricorrente, ha respinto sia il ricorso principale che quello per motivi aggiunti per le motivazioni di seguito illustrate.

Con riguardo al gravame principale, il Collegio ha in primis chiarito che, avendo la ricorrente acquisito la documentazione richiesta, non potesse ravvisarsi la dedotta lesione del diritto di difesa, con i necessari caratteri di attualità e concretezza per fondare l'interesse a formulare la censura ed ha, per l'effetto, rilevato l'inammissibilità del motivo sub a).

Venendo al merito, i giudici hanno ritenuto infondato il motivo di ricorso relativo alla presunta indebita sostituzione per addizione da parte dell'aggiudicatario (sub b), in quanto “la vicenda modificativa non ha interessato il costituendo RTI concorrente, bensì è rimasta vicenda interna alla società consortile mandataria del RTI stesso, unico partecipante alla gara”.

Sul punto, trova inoltre applicazione quella giurisprudenza – formatasi  sulla base delle interpretazioni rese dalla CGUE – secondo cui “anche se la disposizione di cui all'art. 51 del d.lgs. n. 163/2006 non è stata riprodotta nel Codice dei contratti qui applicabile ratione temporis (che, all'art. 106, contempla espressamente soltanto la modifica del contraente), ciò non toglie che il principio dell'ammissibilità di modifiche soggettive dei concorrenti anche nella fase di aggiudicazione dell'appalto può ritenersi tuttora applicabile”.

Diversamente opinando, infatti, si finirebbe per “ingessare” ingiustamente la naturale vocazione imprenditoriale dei soggetti partecipanti alle gare pubbliche, con conseguente violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione, che sono soltanto quelle espressamente previste ex art. 80 d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50.

È altresì infondato il terzo motivo del ricorso principale (sub c), in quanto, diversamente da quanto argomentato dalla ricorrente, la commissione di gara ha considerato solamente, ai fini dell'attribuzione del punteggio, i rating di legalità posseduti dalle imprese facenti parte del RTI (e non anche il rating della consorziata esecutrice).

Da ultimo, con riguardo alla censura inerente alla pretesa erroneità del punteggio attribuito per il criterio relativo alla suddetta certificazione della parità di genere, il Collegio ha ritenuto corretta l'interpretazione resa dalla stazione appaltante in sede di chiarimenti, secondo cui “la certificazione è da ascrivere al raggruppamento nel suo complesso e non essere posseduta da ogni soggetto del raggruppamento, con l'obiettivo di qualificare l'offerta tecnica”.

Tale impostazione, secondo i giudici, è infatti in linea con l'art. 95, comma 6, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 che, “nel prevedere la valutazione delle offerte sulla base di caratteristiche soggettive dell'impresa, purché connesse all'oggetto dell'appalto, consente di valorizzare il possesso delle certificazioni anche in capo ad una soltanto delle imprese del raggruppamento se idoneo, comunque, a connotare positivamente l'offerta di quest'ultimo”.

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