Eccesso di potere giurisdizionale: perimetro del sindacato della Cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato per “motivi inerenti la giurisdizione”

04 Ottobre 2024

Le Sezioni Unite, su ricorso ex artt. 111 Cost., 360 c.p.c. e 110 c.p.a. avverso una sentenza del Consiglio di Stato, affrontano i vizi dell'eccesso di potere giudiziario per invasione della sfera riservata al legislatore e rifiuto di esercizio del potere giurisdizionale.

Massima

L'eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata al legislatore, denunciato in sede di ricorso alle Sezioni Unite avverso sentenza di un giudice speciale (nella specie, del giudice amministrativo), è configurabile solo allorché detto giudice abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un'attività di produzione normativa che non gli compete, e non invece quando si sia limitato al compito interpretativo che gli è proprio, anche se tale attività ermeneutica abbia dato luogo ad un provvedimento abnorme o anomalo ovvero abbia comportato uno stravolgimento delle norme di riferimento, atteso che in questi casi può profilarsi, eventualmente, un error in iudicando, ma non una violazione dei limiti esterni della giurisdizione.

Nell'ambito della giurisdizione amministrativa, spetta al Consiglio di Stato, in qualità di giudice di ultima istanza, il compito di garantire, nello specifico ordinamento di settore, la conformità del diritto interno a quello della Unione Europea, se del caso avvalendosi del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, mentre l'eventuale lesione del principio di effettività della tutela, derivante da decisioni adottate dal Giudice amministrativo in pregiudizio di situazioni giuridiche soggettive protette dal diritto dell'Unione, può essere fatta valere con altri strumenti, attivabili a fronte di una violazione del diritto comunitario che risulti grave e manifesta.

Il caso

Individuazione della regola iuris mediante applicazione analogica e senza rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea

Nella vicenda sostanziale sottesa alla pronuncia della Suprema Corte, un privato otteneva dalla amministrazione comunale un permesso di costruire sul proprio terreno agricolo. Il procedimento amministrativo, regolato dalla L.R. Lombardia n.12/2005, prevedeva che l'istante, per ottenere il titolo edilizio, assumesse, nei confronti della amministrazione comunale, l'impegno a mantenere la destinazione agricola dei fabbricati e delle attrezzature oggetto del titolo stesso, sino alla eventuale variazione di destinazione urbanistica dell'area.

Successivamente, assunto l'impegno e rilasciato il titolo, il Comune verificava, tuttavia, come nel fondo fosse in atto una attività diversa da quella agricola, e prontamente comunicava la “decadenza, annullamento e inefficacia” dei titoli edilizi rilasciati, in ragione del mancato rispetto degli impegni assunti in sede di rilascio degli stessi. 

Avverso tale provvedimento, l'interessato ha proposto ricorso al giudice amministrativo, soccombendo, tuttavia, sia dinanzi al Tar che dinanzi al Consiglio di Stato.

Ha, quindi, proposto ricorso alla Corte di Cassazione ai sensi degli artt. 111 Cost., 360 c.p.c. e 110 c.p.a., contestando, con un primo motivo, l'eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata al legislatore, e, con un secondo motivo, il rifiuto di esercizio del potere giurisdizionale.

Entrambi i motivi sono stati dichiarati inammissibili dalla Suprema Corte.

La questione

Sconfinamento nella potestà del legislatore e diniego di giurisdizione

Dinanzi al giudice regolatore della giurisdizione, il ricorrente muove due censure: eccesso di potere giudiziario per sconfinamento nella potestà del legislatore e diniego di giurisdizione.

Con la prima censura, in particolare, lamenta che il Consiglio di Stato, non avendo rinvenuto, nella legge regionale richiamata, la norma applicabile al caso di specie, ne abbia creata una nuova, mediante l'applicazione analogica dell'art. 38 d.P.R. n. 380/2001, in tal modo giudicando legittima l'applicazione al privato della sanzione demolitoria in caso di mancato rispetto degli impegni assunti in sede di rilascio dei titoli edilizi.  

Con la seconda, invece, lamenta il diniego di giurisdizione per l'omessa rimessione alla Corte di Giustizia di tale soluzione interpretativa, che ritiene in contrasto con le norme del trattato UE e con la Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea.

Le soluzioni giuridiche

I rapporti fra interpretazione e creazione

Il primo motivo di ricorso, come visto, si fonda sul supposto eccesso di potere giudiziario nel quale sarebbe incorso il Consiglio di Stato per aver creato una sanzione nuova, non prevista dal legislatore, per mezzo di una interpretazione analogica dell'art. 38 T.U. edilizia.

Per apprezzare appieno la decisione di tale censura da parte della Suprema Corte, è necessario, prima, accennare alla soluzione ermeneutica offerta dal giudice amministrativo.

Come supra rilevato, l'ente locale, accertata la violazione degli impegni assunti dal privato, aveva disposto la “decadenza, annullamento e inefficacia” dei titoli edilizi rilasciati e applicato la sanzione demolitoria degli abusi. Il destinatario di tale provvedimento aveva, quindi, proposto impugnazione contestando come la legge regionale non prevedesse tale sanzione, da ritenersi, in ogni caso, sproporzionata.

Chiamato a decidere l'appello, il Consiglio di Stato –  pur giudicando “perplesso” il provvedimento impugnato, “dal momento che assume che i titoli edilizi in contestazione sarebbero, contemporaneamente, decaduti, annullati e inefficaci” – conclude per la legittimità di esso, osservando come “la decadenza dei titoli edilizi da ascrivere a violazione di un obbligo, o all'inveramento di una condizione, non è una patologia espressamente contemplata dal d.P.R. n. 380/2001 e determina una situazione di fatto per molti aspetti identica a quella che si crea nel caso di annullamento di un titolo edilizio, situazione – quest'ultima – disciplinata dall'art. 38 d.P.R. n. 380/2001, caratterizzata dalla realizzazione di opere edilizie sulla base di un titolo edilizio che in un momento successivo perde efficacia: il dato che differenzia le due situazione, in definitiva, deve essere individuato solo nel fatto che l'art. 38 presuppone un titolo edilizio viziato ab origine, mentre la decadenza del titolo, dipendente dall'inveramento di una condizione o dalla violazione di un obbligo, si ricollega a una patologia sopravvenuta al rilascio del titolo”.

Secondo il ricorrente, il Consiglio di Stato, avrebbe in tal modo creato la regola iuris, con ciò sconfinando nelle prerogative proprie del legislatore, e invoca l'intervento regolatore della Suprema Corte.

La Corte di Cassazione, tuttavia, respinge tale conclusione e, richiamato l'importante arresto della Corte Costituzionale con la sentenza n.6/2018 (sulla quale si ritornerà appresso), ha confermato l'orientamento di legittimità secondo cui “l'eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata al legislatore, denunciato in sede di ricorso alle Sezioni Unite avverso sentenza di un giudice speciale (nella specie, del giudice amministrativo), è configurabile solo allorché detto giudice abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un'attività di produzione normativa che non gli compete, e non invece quando si sia limitato al compito interpretativo che gli è proprio, anche se tale attività ermeneutica abbia dato luogo ad un provvedimento abnorme o anomalo ovvero abbia comportato uno stravolgimento delle norme di riferimento, atteso che in questi casi può profilarsi, eventualmente, un error in iudicando, ma non una violazione dei limiti esterni della giurisdizione”.

Né, al riguardo, può avere rilievo la gravità o intensità dell'errore esegetico che si imputa al giudice amministrativo “attesa la evidente opinabilità della distinzione tra errore più grave, rivelatore della volontà di sostituire la legge, ed errore meno grave, che si sostanzia in una semplice violazione di legge”.

Vanno, pertanto, tenuti distinti, perché operano su piani diversi, sebbene confinanti, interpretazione e creazione di norme: la prima costituisce il proprium dell'attività giurisdizionale e non può essere sindacata dalla Corte di Cassazione; la seconda esula dall'attività giurisdizionale.

Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che il giudice amministrativo abbia svolto la funzione interpretativa che gli è propria, senza sconfinare nelle attribuzioni del legislatore, operando, “in via interpretativa, una equiparazione quoad poenam tra l'ipotesi della “decadenza dei titoli edilizi da ascrivere a violazione di un obbligo o all'inveramento di una condizione”, patologia non espressamente contemplata dal D.P.R. n. 380/2001, e quella dell'annullamento di un titolo edilizio, ipotesi espressamente contemplata e disciplinata dalla norma, sulla base della considerazione che nell'una come nell'altra fattispecie “la situazione di fatto” si “presenta per molti aspetti identica” e che entrambe appaiano “connotate dal medesimo disvalore, per l' insanabile contrasto delle opere realizzate con le norme di programmazione e regolamentazione urbanistica”.

Così facendo, il Consiglio di Stato ha risolto un dubbio interpretativo, che, in quanto tale, non è sindacabile dal giudice regolatore della giurisdizione.

Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta il rifiuto di esercizio di potere giurisdizionale, per non avere il Consiglio di Stato disposto rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, pur richiesto con i motivi di appello, in ordine alla compatibilità della sanzione demolitoria con i principi di proporzionalità, legalità e tutela dei beni privati previsti dal TUE (artt. 5 e 6) e dalla CEDU (artt. 1 e 2, protocollo aggiuntivo).

Anche tale motivo viene ritenuto inammissibile. La Corte, in particolare, ha ribadito l'orientamento – ormai consolidato a seguito dell'importate pronuncia della Corte di Giustizia Europea, Grande Sezione, 21 dicembre 2021, C – 497/20 Randstad – Italia – secondo cui, nel caso di rinvio pregiudiziale di interpretazione, l'omessa rimessione al giudice europeo non integra un motivo attinente la giurisdizione e, quindi, non può essere oggetto di sindacato.

Osservazioni

I limiti del sindacato della Cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato

Il tema è quello, fondamentale, dei limiti esterni alla giurisdizione del giudice amministrativo.

L'art. 111 Cost., al comma 8, prevede che “contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti il ricorso per cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione”.

Tale disposizione è di straordinaria importanza ove si consideri che su di essa poggia il delicato rapporto fra la Corte di Cassazione ed il Consiglio di Stato. I “motivi inerenti la giurisdizione” sono i soli che possono essere fatti valere dinanzi alla Suprema Corte avverso le sentenze del Consiglio di Stato e la esatta perimetrazione di essi, a seconda che l'esegesi sia estensiva o restrittiva, smuove delicati equilibri, rispettivamente estendendo o restringendo il sindacato della Suprema Corte, nella veste di giudice della giurisdizione, sulle decisioni del massimo organo della giustizia amministrativa.

Le tappe fondamentali della evoluzione giurisprudenziale sul tema in argomento sono, come noto, rappresentate dalla sentenza della Corte Costituzionale n.6/2018 e dalla sentenza della Corte di Giustizia Europea, Grande Sezione, 21 dicembre 2021, C – 497/20 Randstad – Italia.

Ma procediamo con ordine.

Nel nostro ordinamento, è stato adottato un modello dualistico della giurisdizione, che vede la presenza, da una parte, del giudice ordinario, con giurisdizione sui diritti soggettivi, dall'altro, del giudice amministrativo, con giurisdizione sugli interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, sui diritti soggettivi (art. 103, co.1, Cost.). Il sistema non è tuttavia perfettamente paritario giacché la nostra Costituzione, proprio con l'art. 111, co.8, assegna alla Cassazione la funzione di regolatrice della giurisdizione. La Suprema Corte, quindi, decide dei limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo.

La soluzione adottata con la Costituzione determina, evidentemente, un equilibrio molto fragile nei rapporti fra le due giurisdizioni, che ha dato luogo, nel tempo, a contrasti e tensioni, non solo nella individuazione della giurisdizione, ordinaria o amministrativa, deputata a decidere la specifica controversia, ma anche, e soprattutto, in ordine alla esatta perimetrazione del sindacato che la nostra Carta assegna alla Suprema Corte sulle decisioni dell'organo di vertice della giustizia amministrativa.

Per quel che qui rileva, la Cassazione si era originariamente attestata su una interpretazione dell'art. 111, co. 8, Cost., che confinava il sindacato all'accertamento dello sconfinamento del giudice amministrativo dai limiti esterni della giurisdizione, escludendo, di contro, di poter operare un controllo sui limiti interni, e quindi sulle modalità di esercizio della giurisdizione amministrativa, che comprendono gli errores in procedendo e gli errores in iudicando.

Senonché, con ordinanza n. 107/2016, la Suprema Corte, nel sollevare una questione costituzionale, aveva sottoposto al giudice delle leggi una esegesi della norma che le consentisse un sindacato delle decisioni del giudice amministrativo ove fossero risultate “anomale” o “abnormi”, omettendo, così, l'esercizio del potere giurisdizionale per errores in procedendo o in iudicando, e finendo per superare, secondo tale tesi, il limite esterno della propria giurisdizione. Si proponeva quindi una estensione del concetto di limite esterno, una “interpretazione evolutiva e dinamica del concetto di giurisdizione”, che consentisse di sindacare non solo le norme che individuano i presupposti dell'attribuzione del potere giurisdizionale, ma anche quelle che stabiliscono le forme di tutela attraverso cui la giurisdizione si estrinseca.

Con la fondamentale pronuncia n. 6/2018, già richiamata, la Corte Costituzionale ha respinto tale ricostruzione e ribadito la lettura restrittiva dell'art. 111, co. 8, Cost., chiarendo definitivamente che il sindacato sugli errores in procedendo o in iudicando “non è compatibile con la lettera e lo spirito della norma costituzionale”, a prescindere dalla gravità del vizio. In particolare, “attribuire rilevanza al dato qualitativo della gravità del vizio è, sul piano teorico, incompatibile con la definizione degli ambiti di competenza e, sul piano fattuale, foriero di incertezze, in quanto affidato a valutazioni contingenti e soggettive”.  

Il Giudice delle leggi ha quindi definitivamente chiarito che l'eccesso di potere giudiziario, sindacabile in Cassazione, si ha nelle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione e difetto relativo di giurisdizione.

Il difetto assoluto, a sua volta, comprende le ipotesi di “invasione” o “sconfinamento”, che si ha quando il giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all'amministrazione, e di “arretramento”, che si ha quando il medesimo giudice, al contrario, neghi la propria giurisdizione sull'erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale.

Il difetto relativo, poi, si ha quando il giudice speciale affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi ritenendo erroneamente che appartenga ad altri giudici.

Successivamente alla decisione della Corte Costituzionale, quando il dibattito intorno al tema dei limiti esterni sembrava oramai sopito, le Sezioni Unite, con l'ordinanza 18 settembre 2020, n. 19598, hanno sollevato questione pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia Europea mettendo in dubbio che potesse ritenersi compatibile con il diritto eurounitario il sistema processuale italiano, laddove lo stesso esclude il sindacato della Corte di Cassazione ove il giudice speciale ometta erroneamente di disporre rinvio pregiudiziale alla Corte europea.

La Corte di giustizia, con la sentenza Randstad – Italia del 2021, supra citata, ha ribadito come gli Stati membri godano di autonomia procedurale, a condizione che siano rispettati i noti principi di equivalenza ed effettività, che, tuttavia, nel caso di specie, non risultano violati.

Le due fondamentali pronunce appena esaminate, quella della Corte Costituzionale e quella della Corte di Giustizia, rappresentano le basi esegetiche sulle quali poggia l'ordinanza della Corte di Cassazione in commento. Sulla base della prima, si è esclusa la possibilità di un controllo sulla decisione del Consiglio di Stato, osservando come il supremo organo della giustizia amministrativa abbia esercitato la propria funzione, svolgendo una attività interpretativa che esula dal sindacato sui limiti esterni della giurisdizione. Sulla base della seconda, si è escluso il sindacato sulla decisione del Consiglio di Stato di disporre o meno rinvio pregiudiziale alla Corte europea, anch'esso estraneo al sistema del controllo sui limiti esterni della giurisdizione del giudice speciale.

Guida all'approfondimento

In dottrina si segnalano

A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2023.

R. Chieppa, R. Giovagnoli, Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè Francis Lefebvre, 2023.

V. Lopilato, Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2024.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario