Anche l’ex coniuge che mantenuto la propria capacità lavorativa può avere diritto all’assegno divorzile in funzione perequativo–compensativa

02 Ottobre 2024

La Cassazione ha ribadito che non vale ad escludere la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno divorzile con funzione perequativo–compensativa la circostanza che la parte richiedente abbia svolto in costanza di matrimonio una attività lavorativa retribuita che le consentiva di disporre del tempo necessario per occuparsi anche della casa e della prole, così permettendo al marito di dedicare tutto il tempo necessario allo sviluppo della propria attività professionale.

Massima

Non può escludersi che l’ex coniuge che ha mantenuto la propria capacità lavorativa durante il matrimonio abbia, nel contempo, svolto un ruolo all'interno della famiglia in grado di giustificare l'attribuzione dell'assegno con funzione perequativo - compensativa.

Il caso

Tizio aveva convenuto in Tribunale la coniuge separata Caia  per ottenere lo scioglimento del matrimonio civile. Caia, costituitasi in giudizio, non si era opposta alla dichiarazione di scioglimento del matrimonio ma aveva chiesto, in via riconvenzionale, il riconoscimento di un assegno divorzile in suo favore. Il Tribunale dichiarava lo scioglimento del matrimonio e, all’esito dell’istruttoria, riconosceva a Caia un assegno divorzile di 1.500,00 euro.

Tizio proponeva appello insistendo per il rigetto della domanda riconvenzionale proposta da Caia, mentre quest’ultima proponeva appello incidentale per ottenere il riconoscimento di un assegno divorzile di importo più elevato.

I giudici di secondo grado nel 2017, in accoglimento dell’appello principale ed in riforma della sentenza impugnata, rigettavano la domanda volta all'attribuzione dell'assegno divorzile seguendo l'orientamento giurisprudenziale precedente alla sentenza delle Sezioni Unite del 2018, che valutava soltanto la funzione assistenziale dell'assegno, nella specie esclusa in ragione della ritenuta indipendenza economica di Caia.

Tale pronuncia– in accoglimento del ricorso proposto da Caia - veniva cassato dalla S.C. che rinviava alla stessa Corte d'Appello, in diversa composizione, per la definizione del giudizio.

Caia riassumeva il giudizio dinanzi alla Corte d’Appello che, in accoglimento della sua impugnazione, le riconosceva un assegno divorzile di 1.500,00 euro a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza di scioglimento del matrimonio civile.

Avverso tale pronuncia Tizio proponeva ricorso per Cassazione.

La questione

La questione esaminata dalla Corte di Cassazione afferisce alla possibilità di riconoscere la componente perequativo – compensativa dell’assegno divorzile nell’ipotesi in cui coniuge richiedente abbia mantenuto integra la propria capacità di produrre reddito.

Le soluzioni giuridiche

Nel caso di specie i giudici di secondo grado, dopo aver ritenuto provato che l'ex coniuge richiedente, durante la vita matrimoniale ed anche successivamente, aveva mantenuto integra la propria capacità di produrre reddito - così escludendo la spettanza di un assegno divorzile con funzione assistenziale – avevano ritenuto sussistenti i presupposti per il riconoscimento dell'assegno divorzile con funzione perequativo – compensativa atteso il ruolo svolto dalla richiedente nell'ambito familiare anche in relazione al figlio avuto dal marito da un precedente matrimonio.

Tale statuizione era stata censurata dal ricorrente che aveva dedotto la nullità della sentenza ex art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., in relazione all'art 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per mancanza di motivazione - o motivazione apparente - sulla sussistenza di un concreto apporto della ex coniuge in ambito familiare.

Più precisamente, Tizio aveva allegato l'impossibilità di ritenere che la ex coniuge avesse mantenuto la propria capacità lavorativa durante il matrimonio e, nel contempo, avesse svolto un ruolo all'interno della famiglia in grado di giustificare l'attribuzione dell'assegno con funzione perequativo – compensativa.

La S.C. ha evidenziato che tale censura non solo non si sostanzia in una critica che attiene alla esternazione delle ragioni della decisione (con sua conseguente inammissibilità), ma esprime una opinione della parte sui presupposti per l'ottenimento dell'assegno in questione non condivisa dalla giurisprudenza di legittimità.

Invero, già in precedenti pronunce di legittimità è stato chiarito che non vale ad escludere la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell'assegno divorzile con funzione perequativo – compensativa la circostanza che la parte richiedente abbia svolto in costanza di matrimonio una attività lavorativa retribuita che le consentiva di disporre del tempo necessario per occuparsi anche della casa e della prole, così permettendo al marito di dedicare tutto il tempo necessario allo sviluppo della propria attività professionale senza doverla in alcuna misura ridurre per le esigenze di accudimento quotidiano dei figli (sul tema v. anche Cass. civ., sez. I, 19 dicembre 2023, n. 35434).

In siffatte ipotesi, spetterà al giudice di merito effettuare un rigoroso accertamento del fatto che lo squilibrio presente al momento del divorzio fra la situazione reddituale e patrimoniale delle parti sia l'effetto del sacrificio da parte del coniuge più debole a favore delle esigenze familiari al fine di poter riconoscere in suo favore un assegno divorzile "perequativo", cioè di un assegno tendente ad attenuare e rendere accettabile tale squilibrio in base a parametri di giustizia distributiva applicabili anche in sede di crisi familiare ove i benefici si siano accumulati sul patrimonio o sul reddito di uno solo dei coniugi.

Invero, il contributo dei coniugi alle esigenze della famiglia passa spesso attraverso impegni e sacrifici i quali talvolta attengono alla vita professionale di uno solo dei due. Questa situazione esprime una decisione di comune indirizzo della vita famigliare, la quale non necessariamente assume la forma di un espresso accordo di rinuncia ad occasioni professionali che proietterebbero l'impegno del coniuge al di fuori della famiglia; più verosimilmente trattasi di scelte condivise in modo tacito (cfr. Cass. civ., sez. I, 19 febbraio 2024, n. 4328).

Osservazioni

Com'è noto, in tema di determinazione dell'assegno di divorzio, il principio secondo il quale, sciolto il vincolo coniugale, ciascun ex coniuge deve provvedere al proprio mantenimento, è derogato, oltre che nell'ipotesi di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, anche nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale dall'uno all'altro coniuge, ex post divenuto ingiustificato, che deve perciò essere corretto attraverso l'attribuzione di un assegno, in funzione compensativo - perequativa, adeguato a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali - reddituali, che il richiedente l'assegno ha l'onere di indicare specificamente e dimostrare nel giudizio (cfr. Cass. civ., sez. I, 20 maggio 2024, n. 13919; Cass. civ., sez. I, 19 dicembre 2023, n. 35434)

La funzione perequativo - compensativa dell'assegno divorzile presuppone che il coniuge economicamente più debole abbia sacrificato occasioni lavorative o di crescita professionale per dedicarsi alla famiglia, restando irrilevanti le motivazioni soggettive che abbiano portato a compiere tale scelta, che è stata comunque accettata e condivisa dal coniuge, perché l'assegno di divorzio, sotto l'aspetto in esame, mira a compensare lo squilibrio economico conseguente all'impiego delle proprie energie e attitudini in seno alla famiglia, piuttosto che in attività lavorative, o in occasioni di crescita professionale produttive di reddito, indipendentemente dal fatto che alla base di tale scelta vi fossero ragioni affettive o di semplice opportunità economico – relazionale (cfr. Cass. civ., sez. I, 08 luglio 2024, n. 18506).

L'assegno divorzile, nella sua componente compensativa, presuppone dunque un rigoroso accertamento del nesso causale tra l'accertata sperequazione fra i mezzi economici dei coniugi e il contributo fornito dal richiedente medesimo alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei due, con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali (cfr. Cass. civ., sez. I, 26 agosto 2024, n. 23083; Cass. civ., sez. I, 20 aprile 2023, n. 10614).

In particolare, i giudici di legittimità hanno chiarito che la circostanza che durante il matrimonio uno dei coniugi non abbia lavorato non è ex se sufficiente a fare presumere l'esistenza di rinunce lavorative nell'interesse della famiglia. L'impegno della donna nella gestione della famiglia e nella cura dei figli durante gli anni di matrimonio non è sufficiente a far sorgere il diritto all'assegno divorzile, una volta che il matrimonio sia sciolto, in quanto riconoscimento dell'assegno divorzile in funzione perequativo-compensativa non si fonda sul fatto, in sé, che uno dei coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure della casa e dei figli, né sull'esistenza in sé di uno squilibrio reddituale tra gli ex coniugi, poiché la scelta di dedicarsi prevalentemente all'attività familiare assume rilievo nei limiti in cui sia stata condivisa con l'altro coniuge e abbia comportato la rinuncia a realistiche occasioni professionali-reddituali che il coniuge che richiede l'assegno ha l'onere di dimostrare nel giudizio (Cass. civ., sez. I, 13 aprile 2023, n. 9817; Cass. civ., sez. VI, 13 ottobre 2022, n. 29920; Cass. civ., sez. I, 28 luglio 2022, n. 23583).

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