Sulla sussistenza dei presupposti per la dichiarazione dello stato di adottabilità di un minorenne

03 Ottobre 2024

Con la presente ordinanza, la Suprema Corte affronta il tema della dichiarazione dello stato di adottabilità di un minorenne, avuto particolare riguardo alla sussistenza dei presupposti della stessa nonché al tipo di accertamento che è chiamato ad effettuare l’organo giudicante, anche alla luce dei recenti interventi in materia della Consulta.

Massima

In tema di dichiarazione di adottabilità di minori, la dichiarazione dello stato di abbandono morale e materiale richiede un accertamento in concreto e nell’attualità dei suoi presupposti, all’esito di un attento monitoraggio delle figure genitoriali e dei parenti entro il quarto grado disponibili ad accudire il bambino, al fine di stabilire se il best interest del minore sia quello di crescere nella famiglia di origine o altrove, valutando, poi, ove i genitori risultino inidonei, le capacità vicarianti dei menzionati familiari anche con l’ausilio di interventi di supporto, ovvero la possibilità di procedere a un’adozione mite, eventualità queste ultime in grado di impedire la dichiarazione di adottabilità, e comunque verificando la presenza delle condizioni per mantenere, sempre nell’interesse del minore, incontri tra il medesimo e detti familiari, pur a seguito della dichiarazione di adottabilità.

Il caso

Una nonna si era vista respingere l'appello proposto contro la sentenza del Tribunale per i minorenni che aveva dichiarato lo stato di adottabilità del nipote.

Accertata l'inadeguatezza dei genitori ad occuparsi del piccolo, dato il perdurante stato di tossicodipendenza di entrambi, dal quale non avevano mostrato potersi discostare, in una con la sottoposizione nel tempo a misure cautelari personali per reati, la Corte d'appello, all'esito di CTU e delle relazioni dei servizi coinvolti, aveva escluso che la nonna materna potesse svolgere una funzione vicariante ed anche che la scelta di un'adozione “mite” potesse tutelare l'interesse del minore.

Particolare rilievo, infatti, era stato dato dalla Corte alle osservazioni contenute nella CTU, nella quale si evidenziava come la nonna non potesse assumere un ruolo vicariante indipendente, dal momento che era, per un verso, implicata nel conflitto genitoriale con la figlia e, per altro, tesa a minimizzare circostanze importanti, quali l'uso di sostanze stupefacenti da parte della figlia, anche durante la gravidanza, sorvolando sulle conseguenze di tali comportamenti e sui danni alla salute del minore.

A detta dei giudici di appello, quindi, la richiesta di affido del minore avanzata dalla nonna non poteva essere accolta, in quanto ritenuta non sorretta da ragioni adeguate, ma dalla mera volontà di tenere il bambino in famiglia per il legame di sangue.

Da qui, il ricorso per cassazione promosso dalla donna volto a censurare la decisione nella parte in cui il giudice di seconde cure non ha fatto corretta applicazione dell'art. 7, l. n. 184/1983, circa la ritenuta sussistenza dei presupposti per la dichiarazione di adottabilità del minore: secondo la ricorrente, nella specie, occorreva tenere conto che il nipote non si era mai trovato in una condizione di abbandono, né morale, né materiale ed era sempre stato circondato dall'amore e dall'affetto della famiglia d'origine sin dai primi giorni di vita. A nulla valevano, poi, a suo dire, le asserzioni della Corte d'appello e della CTU, che affermavano l'incapacità della stessa di prendersi cura del piccolo, poiché il consulente del giudice, non solo non aveva mai avuto alcun incontro con la stessa e con il minore, ma aveva basato le sue conclusioni solo su osservazioni datate dei servizi sociali.

La questione

Che tipo di accertamento deve effettuare il giudice al fine di decidere in merito alla dichiarazione di adottabilità di un minorenne?

Le soluzioni giuridiche

La questione affrontata dalla pronuncia in esame impone una breve digressione sulla tematica dell'adozione avuto particolare riguardo alla sussistenza dei presupposti per la dichiarazione di adottabilità.

Come noto, la dichiarazione dello stato di adottabilità di un minorenne è consentita solo in presenza di fatti gravi, indicativi, in modo certo, dello stato di abbandono, morale e materiale, che devono essere specificamente dimostrati in concreto e nell'attualità, senza possibilità di dare ingresso a giudizi sommari di incapacità genitoriale, seppure espressi da esperti della materia, non basati su precisi elementi fattuali idonei a dimostrare un reale pregiudizio per il figlio e di cui il giudice di merito deve dare conto (cfr. Cass. civ., sez. I, sent., 14 aprile 2016, n. 7391).

La dichiarazione di adottabilità, infatti, è una misura estrema, che si fonda sull'accertamento dell'irreversibile non recuperabilità della capacità di assistenza morale e materiale, in presenza di fatti gravi, indicativi, in modo certo, dello stato di abbandono, morale e materiale, a norma dell'art. 8, l. n. 184/1983, i quali devono essere dimostrati in concreto, in modo da non dare ingresso a giudizi sommari di incapacità non basati su precisi elementi di fatto.

In particolare, poi, l'accertamento va compiuto tenendo conto dei genitori e dei familiari entro il quarto grado, che si siano dichiarati disposti ad accudire il minore, in quanto prioritario è il diritto del minore a rimanere nel nucleo familiare, anche allargato, di origine, quale tessuto connettivo della sua identità.

Ove, infatti, i genitori siano considerati privi della capacità genitoriale, la natura personalissima dei diritti coinvolti e il principio secondo cui l'adozione ultrafamiliare costituisce l'extrema ratio impongono di valutare anche le figure vicariali dei parenti più stretti, tra i quali non possono non essere considerati i nonni, specie laddove abbiano rapporti significativi con il bambino e si siano resi disponibili alla cura e all'educazione dello stesso.

Pertanto, la natura non assoluta, ma bilanciabile, di tale diritto impone un esame approfondito, completo e attuale delle condizioni di criticità tanto dei genitori, quanto dei familiari entro il quarto grado disponibili a prendersi cura del fanciullo, da effettuarsi sempre nell'attualità e in concreto, tenendo conto delle loro capacità di recupero e cambiamento, ove sostenute da interventi di supporto adeguati anche al contesto socioculturale di riferimento (Cass., civ., sez. I, ord., 14 settembre 2021, n. 24717).

Ciò premesso, nel caso di specie, secondo la Suprema Corte, la sentenza impugnata non risulta conforme ai principi sopra richiamati.

In primo luogo, la valutazione d'inadeguatezza della funzione vicariante della ricorrente è stata fondata sulla base di tre relazioni dei servizi sociali e su quella del CTU. Quanto alle prime, in una di esse, sono stati espressi giudizi del tutto vaghi sulla ricorrente, sul suo ambiente familiare e, in generale, sui familiari del minore, non accompagnati dall'indicazione di fatti e circostanze in grado di giustificare tale valutazione, mentre nelle altre due sono state riportate mere opinioni sulla ritenuta mancanza di empatia della nonna, senza alcuna contestualizzazione, però, delle stesse e indicazione della sperimentazione di eventuali interventi di sostegno.

In secondo luogo, poi, la CTU avrebbe dovuto espletare un accurato monitoraggio della relazione tra nonna e nipote, verificando, in fatto e nell'attualità, le dinamiche relazionali e l'inidoneità della medesima a svolgere un ruolo vicariante: tale riscontro, invece, non si è avuto nel caso de quo, in quanto il consulente tecnico non ha effettuato nessun incontro, non solo tra la madre ed il minore, ma neppure tra la nonna (incontrata tre volte sempre da sola) ed il minore.

La possibilità per la donna, quindi, di svolgere funzioni vicarianti è stata dalla Corte d'appello esclusa, riportando valutazioni del CTU operate senza un effettivo confronto della donna con il minore, e sulla base di giudizi dei servizi sociali, fondati su elementi generici e secondari (riguardanti soprattutto la ricorrente come persona o i sui rapporti con le figlie) che, in difetto di una seria ed attenta osservazione dei rapporti tra la nonna ed il minore, finiscono per rivelarsi apodittici e non idonei a fondare il giudizio di irreversibile inadeguatezza.

In conclusione, secondo la Cassazione, la Corte d'appello, per poter effettuare un giudizio concreto ed effettivo circa lo stato di abbandono del minore, avrebbe dovuto basarsi su un attento monitoraggio, effettuato in concreto e calato nell'attualità, delle tre figure principali della vicenda: la nonna materna, la madre ed il minore (essendo incontroversa l'inidoneità del padre), nelle loro dinamiche relazionali, anche verificando quanto il rapporto della madre con la nonna materna potesse, concretamente, influire sulle capacità vicarianti di quest'ultima.

Solo grazie a tali verifiche, la Corte di appello avrebbe potuto stabilire se il best interest of child fosse quello di crescere nella famiglia di origine oppure no, il tutto avuto particolare riguardo alle capacità della ricorrente, disposta ad accudire il minore, anche con l'ausilio di interventi di supporto, ovvero la possibilità di procedere a un'adozione mite, e, comunque, verificando la possibilità di mantenere, nell'interesse del piccolo, incontri tra quest'ultimo e la nonna, come richiesto, pur a seguito della dichiarazione di adottabilità.

Osservazioni

La pronuncia in esame si presenta senza dubbio interessante anche nella parte in cui la Suprema Corte ricorda che la Consulta, recentemente, ha dichiarato infondata la questione di costituzionalità dell'art. 27, comma 3, l. n. 184/1983, relativamente alla parte in cui è stabilito che il minore adottato non può mantenere legami con la famiglia di origine, operando, tuttavia, una lettura costituzionalmente orientata della norma richiamata, rispetto al perseguimento in concreto del superiore interesse del minore (v. Corte Cost., sent., 28 settembre 2023, n. 183). In sintesi, secondo la Corte costituzionale, tale norma, anche nel caso in cui debba procedersi all'adozione piena, non esclude la possibilità per il giudice di ravvisare un preminente interesse del minore a mantenere talune positive relazioni socioaffettive con componenti della famiglia biologica, in conseguenza della rottura del legame giuridico - parentale.

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