"Le immagini del rapporto obbligatorio": responsabilità da contatto sociale
Patrizia Gervasoni
07 Ottobre 2024
Pubblichiamo il secondo e ultimo focus dedicato al seminario di studio “Le immagini del rapporto obbligatorio” tenutosi a Roma il 25 settembre 2024. L'argomento trattato dai relatori riguarda la "responsabilità da contatto sociale qualificato" dal punto di vista delle fonti. La Dottoressa Patrizia Gervasoni riepiloga le questioni affrontate ricollegandole al tema del "metodo giuridico" già trattato nel focus pubblicato qui.
Premessa
«La rinuncia allo studio comparativo conduce ad una rinuncia a quel rinnovamento che è legge di vita […]chiudendosi in una specie di provincialismo intellettuale che mette facilmente capo a un bizantinismo auto-soddisfatto»: sono queste le parole del giurista Giorgio Ascarelli, che possiamo prendere in prestito nel ribadire quanto il dialogo sia essenziale nella costruzioneintellettuale, nonché nel confronto tra dottrina e giurisprudenza.
Proseguendo la riflessione intorno alle “immagini” del rapporto obbligatorio iniziata nel precedente focus, stante l’ “inquinamento” della teoria generale del diritto da parte dei nuovi elementi sociologici, economici e tecnologici dei nostri tempi, un’ulteriore caratteristica dell’obbligazionecontemporanea è quella dell’aver accolto la nozione di “responsabilità da contatto sociale qualificato”.
Trattasi, in altri termini, di una particolare forma di responsabilità civile che prescinde dall'esistenza di un contratto in senso stretto, laddove tra i soggetti coinvolti sussista una particolare relazione sociale dall’ordinamento considerata idonea a determinare specifici doveri comportamentali di collaborazione e protezione.
Ebbene, tale rilevante variazione di senso nel contesto delle obbligazioni è stata colta, nel seminario di studio in commento, su uno dei suoi versanti fondamentali: quello delle fonti, il punto di vista più affascinante, che si collega al discorso sul metodo giuridico già trattato lo scorso 30 settembre.
1. Introduzione
L'avvertita necessità, nel tempo, di definire i limiti dal punto di vista dei poteri che possono contendersi il campo nell'ambito delle fonti del rapporto obbligatorio ha portato l'art. 1173 c.c. dalla sua dimensione, per così dire “classificatoria”, del passato ad assumere una nuova dimensione “normativa”.
Con la sensibilità contemporanea, infatti, si è guadagnata l'eliminazione degli elementi del “quasi contratto” (o quasi contractu) e del "quasi delitto" (o quasi delicto), mantenendosi, invece, gli elementi del contratto (contractu) e del fatto illecito (delicto), ma determinandosi, al contempo, una sorta di “circolo logico” con l'aggiunta del riferimento ad ogni altro atto o fatto idoneo a produrre obbligazioni «in conformità dell'ordinamento giuridico», il che costituisce la chiave di volta del presente discorso.
Tali fonti, tuttavia, se rispetto al passato sono, da un lato, tipiche “in senso forte”, non potendo il giudice crearne di nuove, altrettanto non lo sono nel senso della tassatività, potendosi estendere analogicamente l'interpretazione dei fatti risultanti idonei a detti fini.
È questo il caso degli obblighi di protezione e, insomma, di tutte quelle ipotesi in cui vi sia un contatto sociale qualificato che, a dispetto delle ipotesi in cui esiste un rapporto formale, può sancire l'esistenza di un'obbligazione (“minore”, mancando una prestazione e tutto ciò ch'essa comporta, come ad esempio la tutela in forma specifica e le misure preventive in tema di garanzia patrimoniale).
Ecco perché - secondo il Prof. Andrea Nicolussi - possiamo parlare di “obbligazioni” in senso plurale, come del resto risulta intitolato il Libro Quarto del codice civile.
Ulteriore aspetto interessante del discorso riguarda, poi, il mantenimento della differenza tra le due figure di responsabilità: quella da inadempimento di obblighi e quella extracontrattuale.
Una lettura che monopolizzi i danni intorno alla responsabilità aquiliana, infatti, porterebbe a considerarli tutti come attratti nella sfera dell0art. 2043 c.c., e invece il nostro ordinamento giuridico ha sapientemente mantenuto detta “bipolarità”, cosicché l'analogia può portare a ritenere che una determinata ipotesi si accosti in maniera più significativa e ragionevole all'uno dei due piuttosto che all'altro.
2. Obblighi di protezione e responsabilità patrimoniale
Nel seminario di studio in commento, si affronta per la prima volta un discorso di responsabilità patrimoniale all'interno dell'obbligazione di protezione, definita dal Prof. Mauro Orlandi come “nuova responsabilità patrimoniale” o “terza obbligazione atipica”.
«Terza», perché in un processo ideale che va dall'obbligazione romana ai primi obblighi di protezione non autonomi, si autonomizza con il Prof. Carlo Castronovo nel 1995 e detto processo trova oggi il suo compimento.
Si concepisce, infatti, la necessità di anticipare ad un momento precedente rispetto alla conclusione del contratto ed alla formazione del credito in senso stretto, cioè nel pieno della trattativa, laboratorio fondamentale dell'obbligazione di protezione, il rimedio della garanzia patrimoniale (art. 2740 c.c.), e segnatamente di un'azione a tutela della stessa, quale il sequestro conservativo (art. 2905 c.c.).
E ben si comprende, quantomeno ermeneuticamente, tale esigenza di protezione, dal momento che un contraente in malafede, pur consapevole di dover sottoscrivere il contratto nell'imminente, potrebbe liberarsi dei propri beni in frode al suo futuro creditore.
Il bisogno di tutela, dunque, è chiaro, ma quali le fattispecie? Si considerino, a tal fine, due punti di vista.
Il primo, è quello della responsabilità precontrattuale, dal quale lato il problema è se ritenere che l'aspettativa di credito (per tale intendendosi la fase finale delle trattative, in cui si genera un affidamento in tal senso) divenga vero e proprio credito, e allora verrebbe da pensare ad una sorta di “formazione legale dell'obbligo di concludere il contratto”, oppure se ritenere sussistente un obbligo di concludere il contratto durante le trattative, quale sorta di “preliminare legale”.
Il secondo punto di vista è quello del rimedio tipico, cioè del sequestro conservativo, con particolare riguardo all'espressione «fondato timore di perdere» di cui all'art.671 c.p.c., che sembrerebbe non richiedere un credito già formato, bensì in formazione, futuro, al punto che la giurisprudenza tende ad ampliare a quest'ultimo l'interpretazione della predetta norma collegandola con l'art. 2905 c.c. Ciò posto, si potrebbe discutere se l'ermeneutica delle circostanze consegni al giurista la necessità di intervenire con un sequestro preventivo che “blocchi” e risolva il periculum.
Ma come si abbinano questi due problemi? Se, infatti, dal lato della tutela offerta dal sequestro conservativo può scorgersi un'apertura, altrettanto non può dirsi dal lato della responsabilità precontrattuale, per la quale sembra non potersi predicare una responsabilità patrimoniale, visto che l'aspettativa di credito non la porta con sé quale effetto possibile.
Si può, allora, andare in due direzioni.
La prima è che anche il danno da lesione dell'interesse negativo (che sarebbe un danno per mancata chance o per spese inutili nel corso delle trattative) è un credito futuro: in tal caso, il giudice del sequestro sarebbe chiamato a valutare la possibilità che si riconosca la natura di questo credito da responsabilità ed ecco che, allora, si potrebbe innestare il rimedio del sequestro conservativo.
La seconda è la nuova responsabilità patrimoniale da insolvenza di cui al Codice della crisi d'impresa, al quale proposito suscita preoccupazione la contraddizione dell'articolo 1186 c.c., che disciplina l'insolvenza civile come una causa di decadenza dal beneficio del termine, con ciò implicando un effetto esattamente opposto a quello dell'insolvenza commerciale. In altre parole, siamo probabilmente dinnanzi ad un'altra piega del diritto delle obbligazioni: come si evince dall'articolo 2 c.c.i.i., ora l'insolvenza - per tale intendendosi l'impotenza del debitore di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni - è “universale”, per cui anche gli obblighi di protezione diventano, oggi, un problema riguardante tutti i debitori.
Ebbene, spunto sul quale riflettere - conclude il Prof. Orlandi - è se, allora, il debitore civile insolvente, in questo suo nuovo senso, debba proteggere il proprio patrimonio e, dunque, rifiutare l'adempimento, a questo punto contro l'art. 2901 c. 3 c.c.
3. L'inadempimento dell'obbligazione e il problema dell'inquadramento nel sistema delle fonti
Come da metafora portata dal Prof. Saverio Ruperto, chi entra in una galleria d'arte rivolge la sua attenzione alle opere (cioè le nostre “immagini”), ma non solo con lo spirito dell'appassionato, bensì anche con lo spirito dell'architetto, perché verosimilmente non solo queste lo attirano, quanto pure la struttura, il luogo, in cui esse si trovano (cioè il Libro Quarto del codice civile).
Ciò posto, oggetto di ulteriore riflessione è l' “immagine” rappresentata dall'inadempimentodell'obbligazione e dal relativo inquadramento, appunto, all'interno del sistema delle fonti. Tema, questo, finora rimasto piuttosto trascurato e quasi sempre consideratosi, nelle trattazioni generali, sotto il profilo della disciplina e delle questioni di ordine interpretativo facenti capo all'art. 1218 c.c., ai sensi del quale il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, ove non provi che l'inadempimento od il ritardo sia stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
Ebbene, come evidente, la predetta norma contiene, anzitutto, una nozione di “inadempimento” e, in secondo luogo, la descrizione tanto di un fatto (“fattispecie”), quanto del corrispondente effetto (“effetto-specie”), cosicché la si potrebbe definire “dinamica” - come afferma, ancora, il Prof. Ruperto.
Tuttavia, questa scelta del legislatore si pone, al contempo, in contro-tendenza rispetto alla simmetrica “immagine” dell'adempimentodell'obbligazione, relativamente alla quale, invece, manca una definizione nel nostro testo legislativo, potendo piuttosto essere ricavata a contrario proprio dal citato art. 1218 c.c. Né, nel nostro sistema, è presente una norma che descriva la fattispecie ed i suoi effetti-specie, pur essendo il Capo II del Titolo I del Libro IV del codice civile intitolato «Dell'adempimento delle obbligazioni».
Nozione ed effetti dell'adempimento possono (e devono, dunque) ricavarsi, piuttosto, da altre previsioni.
Tra queste, si pensi all'art. 1189 c.c., ai sensi del quale il debitore che esegua il pagamento a chi appare legittimato a riceverlo in base a circostanze univoche è liberato, se prova di essere stato in buona fede, od all'art. 1190 c.c., ai sensi del quale il pagamento eseguito al creditore incapace di riceverlo non libera il debitore, se costui non prova che quanto fu pagato è stato rivolto a vantaggio dell'incapace: insomma, è proprio nel termine “liberazione” cui le predette norme fanno riferimento che può rinvenirsi l'effetto estintivo dell'obbligazione.
Ancora, si pensi all'istituto della dazione in pagamento, meglio nota come datio in solutum, di cui all'art. 1197 c.c., ove si prevede che l'obbligazione si estingue nel caso in cui il debitore, con il consenso del creditore, esegua una prestazione diversa rispetto a quella originariamente dedotta in contratto.
Si veda, poi, il Capo IV del Titolo I del Libro IV del codice civile, dalla cui stessa rubrica («Dei modi di estinzione dell'obbligazione diversi dall'adempimento») può con estrema evidenza ricavarsi che l'adempimento non sia altro se non un fatto estintivo del rapporto obbligatorio.
Tornando ancora per un momento a ragionare sul sopra menzionato art. 1218 c.c., la schematizzazione della fattispecie, o «species facti», può rinvenirsi nella mancata esatta esecuzione della prestazione dovuta, la quale si pone in un nesso di implicazione con l'essere «tenuto al risarcimento del danno», schematizzazione dell'effetto, o «species effectus».
Quello dell'inadempimento, però, è - come anticipato - anche un problema di inquadramento nell'ambito del sistema delle fonti dell'obbligazione, aggravato, peraltro, dal fatto che la nozione stessa di “obbligazione” è eterogenea. A ben pensarci, infatti, essa non si concilia con tutte quante le species, essendovene talune che, non mirate a soddisfare un “interesse positivo” del creditore, rendono arduo il rinvenimento di una «prestazione dovuta» ineseguita o non esattamente eseguita.
In questo senso, si pensi ancora agli obblighi di protezione, che incombono su ciascuna delle parti di un rapporto obbligatorio allo scopo di mantenerne intatta la sfera giuridica in prossimità della conclusione del contratto tutelandone l'interesse negativo, inteso come la differenza tra la situazione patrimoniale del soggetto leso nel caso in cui il contratto non fosse mai stato concluso e quella derivante, invece, dalla violazione dei doveri precontrattuali, con conseguente rispristino della posizione della parte lesa come se le trattative non fossero mai avvenute.
Obblighi, questi, di informazione, custodia, sicurezza, che - autonomi rispetto all'obbligo principale di prestazione e traenti spunto dagli artt. 1175, 1337, 1366 e 1375 c.c. - legittimano un'autonoma azione risarcitoria in caso di violazione.
Conclusioni
A tutta questa complessità ed eterogeneità corrisponde, dunque, la complessità e l’eterogeneità del sistema delle fonti, in cui - come si è detto - l’inadempimento fatica a collocarsi con certezza, perché riferirlo al contratto sarebbe, in ipotesi, possibile nella misura in cui si ritenga che l’obbligazione sorta in forza del medesimo comprenda già originariamente sia il dovere-prestazione che la responsabilità per il caso in cui la stessa non fosse adempiuta, ma una tale prospettiva non sarebbe soddisfacente nella misura in cui se ne riferisca la nascita all’accadere di un fatto (il contratto) che ha generato l’obbligazione risarcitoria, perché sarebbe accaduto solo il fatto che ha generato l’obbligazione primaria.
E nemmeno nel fatto illecito potrebbe ricomprendersi l’inadempimento, sembrando riferito, piuttosto, alla c.d. responsabilità extracontrattuale di cui all’articolo 2043 c.c.
Resta, allora, la possibilità di collocare il concetto nella categoria residuale di ogni altro atto o fatto idoneo a produrre obbligazioni«in conformità dell’ordinamento giuridico», idonea a ricomprenderlo e a ricomprendere tutte quelle ipotesi in cui il danno da risarcire trova fonte in un fatto che non sia riconducile né al contratto, né al fatto illecito.
Di qui, il danno come presupposto della nascita dell’obbligazione risarcitoria. Danno, che non è menzionato solo rispetto all’inadempimento contrattuale od al fatto illecito extracontrattuale: basti pensare alla promessa di matrimonio non adempiuta. E dove la si può collocare questa?
Si è prospettata la possibilità che fonte dell’obbligazione sia la legge, ma in realtà tale può essere solo un fatto: è al fatto che la stessa legge riconduce la conseguenza del risarcimento. Si pensi, a tal fine, all’obbligazione alimentare: essa è generata dal (fatto del) rapporto di parentela.
In ultimo, si consideri l’obbligazione risarcitoria: anch’essa ha ad oggetto una prestazione, ma non può essere estinta da un adempimento spontaneo, è immediatamente azionabile e presuppone l’ “intermediazione” di un accordo tra debitore e creditore o di una sentenza che accerti e quantifichi la responsabilità.
Al contrario, nell’obbligazione di prestazione il creditore deve attendere l’inadempimento, non è necessario un secondo atto e ben può aversi estinzione a mezzo di un adempimento spontaneo.
La differenza tra le due, dunque, è profonda, e anch’essa partecipa al problema dell’inquadramento dell’inadempimento nel sistema delle fonti.
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Sommario
2. Obblighi di protezione e responsabilità patrimoniale
3. L'inadempimento dell'obbligazione e il problema dell'inquadramento nel sistema delle fonti