Il contratto con l'influencer: contratto atipico o rapporto di agenzia?
11 Ottobre 2024
Il caso La vicenda giudiziale in commento iniziava con il ricorso depositato avanti al giudice del lavoro di Roma da parte di una società attiva nella vendita online di integratori alimentari e affini per ottenere l'annullamento del verbale di accertamento ispettivo (svolto dall'Enasarco) con la quale tale società era stata intimata, a fronte dei rapporti contrattuali con gli influencer di cui si avvaleva – il cui contratto veniva qualificato come contratto di agenzia dall'Enasarco a seguito dei controlli svolti –, al pagamento degli omessi importi a titolo di Fondo previdenza e Fondo Indennità Risoluzione Rapporto (FIRR). A parere dell'Ente ispettivo, infatti, nel caso in cui un soggetto (un influencer, nella fattispecie) promuova stabilmente e continuativamente uno o più prodotti di una società, il suo rapporto giuridico con quest'ultimo deve qualificarsi come contratto di agenzia, con tutti gli obblighi previdenziali conseguenti. La ricorrente con il proprio atto precisava che mancavano i presupposti per qualificare i rapporti contrattuali con i propri influencer – come, ad esempio, un body builder atleta professionista che collaborava con la società promuovendo i prodotti di quest'ultima attraverso i propri canali social, come Instagram e Facebook – quali agenti di commercio (in quanto parti dell'asserito rapporto di agenzia), e ciò per una serie di motivi che si riassumono brevemente qui di seguito per comodità di lettura:
A tali argomentazioni rispondeva l'Ente ispettivo, il quale, con la propria memoria di costituzione in giudizio precisava come:
A fronte di tali argomentazioni, il Tribunale di Roma decideva di respingere il ricorso presentato dalla società ricorrente e, in accoglimento della domanda riconvenzionale condannava la ricorrente al pagamento in favore dell'Ente ispettivo di € 90.590,69, a titolo di contributi omessi al Fondo di Previdenza, oltre che sanzioni, interessi di mora a partire dalla data di mancato pagamento e per omessi versamenti al FIRR. Le questioni La questione affrontata dal Tribunale di Roma riguarda la qualificazione del rapporto contrattuale che intercorre tra un influencer e una società che lo incarica di sponsorizzare – attraverso la creazione e pubblicazione di contenuti pubblicitari sui social network e la vendita di tali prodotti tramite l’uso di “codici sconto” – i propri prodotti. Secondo il Tribunale tale rapporto configurerebbe un rapporto di agenzia, fatto che presupporrebbe il pagamento di peculiari contributi previdenziali da parte della società che si avvale dell’influencer per svolgere le attività suddette. Le soluzioni giuridiche Il Tribunale, tramite un iter argomentativo complesso e dettagliato (che si poggia in gran parte sull'attività ispettiva svolta dall'Enasarco prima del giudizio, non contestata nel ricorso), avallava la tesi della convenuta e accertava la sussistenza, tra la società ricorrente e l'influencer ingaggiato, di un rapporto di agenzia come previsto dall'art. 1742 c.c. In primo luogo, il giudice preliminarmente sottolineava come il mercato di “un'impresa commerciale che svolge l'attività di vendita online” sia costituito esclusivamente dagli utenti “raggiungibili nel mondo del web attraverso attività di promozione svolta dai testimonial e dagli influencer”. La circostanza veniva ritenuta provata dal Tribunale sulla base dall'esame delle scritture contabili della ricorrente, dove spesso veniva descritto come il core business della società dovesse considerarsi la vendita di prodotti online ai consumatori. Ciò affermato, il Tribunale, dopo aver ricordato le tesi delle parti, si concentra sull'analisi del rapporto contrattuale tra un influencer in particolare e la società ricorrente, allo scopo di chiarire se, come sostenuto dell'Ente ispettivo, dovesse considerarsi sussistenza un rapporto di agenzia tra tali soggetti. In apertura della propria analisi il giudice ricorda che la Cassazione ha sottolineato più volte come le caratteristiche principali del rapporto di agenzia siano la continuità e la stabilità dell'attività dell'agente di promuovere la conclusione di contratti per conto del proponente nell'ambito di una determinata sfera territoriale. Continua poi ricordando come, al contrario, l'esclusiva non è elemento essenziale del contratto di agenzia e, pertanto, l'assenza di tale elemento non escludeva la sussistenza del rapporto di agenzia, dato che l'art. 1743 c.c. – che prevede tale vincolo in favore della proponente – è norma derogabile dalle parti e che l'assegnazione di una specifica zona, come anche ricordato dalla Suprema Corte, non è elemento determinante per escludere la sussistenza del rapporto di cui all'art. 1742 c.c. sopra citato. Il Tribunale procedeva poi a dare una chiarire la rilevanza nel mercato odierna della figura dell'influencer, definendolo come un “soggetto che è in grado di influenzare le opinioni e gli atteggiamenti di altre persone, in ragione della sua reputazione e autorevolezza rispetto a determinate tematiche o aree di interesse”. Essi divengono, sempre a parere del giudicante, degli strumenti di comunicazione del brand (o meglio, del marchio) influenzando le scelte d'acquisto del proprio pubblico. Sulla base di tali considerazioni il Tribunale giudica irrilevante il modo attraverso il quale l'influencer induca il consumatore all'acquisto dei prodotti sponsorizzati e, in particolare, non sarebbe necessario che tale soggetto si rivolga singolarmente a ciascuno dei suoi follower presentando le caratteristiche del prodotto o sollecitandone l'acquisto, dato che nel mondo del web la promozione dei prodotti viene assicurata tramite la pubblicazione dei contenuti da parte dell'influencer. Ciò stabilito, il giudice si domanda se l'influencer che svolge l'attività di promozione delle vendite dietro retribuzione di un corrispettivo possa essere qualificato quale agente di commercio. Per fare ciò il Tribunale analizza le previsioni contrattuali stipulate tra la ricorrente e l'influencer, secondo le quali quest'ultimo doveva promuovere i prodotti della ricorrente sulle proprie pagine personali e, per ogni ordine direttamente procurato, l'influencer avrebbe avuto il diritto di percepire una somma a titolo di corrispettivo. Il contratto aveva durata indeterminata e si specificava che l'influencer avrebbe svolto la propria attività in piena autonomia ed indipendenza durante tutta la vigenza del rapporto. Basandosi su tali disposizioni il Tribunale osserva che tale contratto non poteva configurare un procacciamento di affari, visto che tale rapporto non aveva durata episodica e non era limitato a diversi affari ma, al contrario, doveva ricondursi alla disciplina del contratto di agenzia. Infatti, ad avviso del giudice, sulla base dei rilievi presenti nel verbale dell'Ente ispettivo, doveva accertarsi che lo scopo dell'influencer fosse quello di vendere prodotti attraverso l'uso del “codice sconto”, attraverso il quale l'utente collegava il proprio acquisto alla figura ingaggiata. La stabilità (e non occasionalità) del rapporto era dimostrata dalla sistematica emissione di fatture da parte dell'influencer che avevano ad oggetto una serie di affari procurati tramite l'attività promozionale svolta sui social network, nonché dalla previsione della durata indeterminata del contratto. A tal proposito, il Tribunale giudicava irrilevante che l'influencer non ricevesse alcuna istruzione dalla ricorrente, dato che, secondo il giudice, il mercato del web è “altamente standardizzato”, con condizioni di vendita fissate per tutti i consumatori allo stesso modo. Infine, per “zona determinata” (come previsto dall'art. 1742 c.c. in tema di contratto di agenzia), a parere del giudicante, ben poteva intendersi la comunità dei followers dell'influencer, ossia tutti gli utenti che lo seguivano sui social network. Sulla base di tali argomenti – e di ulteriori osservazioni, tuttavia non rilevanti ai fini del presente commento – il Tribunale rigettava il ricorso e condannava la ricorrente al pagamento degli importi già descritti alla fine del primo paragrafo. Osservazioni La pronuncia in commento risulta rilevante – sebbene unica, per ora, nel panorama di riferimento – per tutti gli operatori o le società che si avvalgono degli influencer in relazione alla pubblicizzazione e alla vendita dei propri prodotti e offre una serie di spunti di riflessione sul tema. Il contratto di agenzia, infatti, presenta innanzitutto delle peculiarità da un punto di vista strutturale – ad esempio, il compenso dell’agente è costituito dalle provvigioni e non a un corrispettivo fisso – che per i soggetti che adottano tale contratto per regolare i loro rapporti. Ancor più rilevante è il fatto che gli agenti di commercio – ossia coloro che svolgono l’attività di promozione del prodotto a fronte della provvigione – sono soggetti anche ad una serie di adempimenti amministrativi come l’iscrizione obbligatoria al Registro delle Imprese presso la Camera di Commercio. Rilevante per le società è la disciplina previdenziale prevista per i rapporti di agenzia (e gli agenti di commercio): infatti, per gli agenti di commercio non è sufficiente l’iscrizione al sistema previdenziale nazionale (INPS) ma essi devono essere obbligatoriamente iscritti alla Fondazione Enasarco se essi operano sul territorio nazionale in nome e per conto di preponenti italiani o di preponenti stranieri che abbiano la sede o una qualsiasi dipendenza all’interno nel territorio nazionale. Naturalmente all’obbligo di iscrizione per l’agente corrisponde anche l’obbligo, per la società preponente, di versare i contributi dovuti all’Enasarco in virtù del rapporto di agenzia con l’influencer. Il giudice romano, sulla base delle disposizioni dell’accordo siglato e delle attività effettivamente svolte dall’influencer, ha accertato la sussistenza di quell’attività promozionale e di vendita dei prodotti tipica del rapporto di agenzia, in particolare attraverso l’uso dei “codici sconto” forniti dalla ricorrente, che veniva di fatto remunerato su ogni vendita di prodotti effettivamente conclusa. Ben diverso, secondo il Tribunale romano, è il caso del “testimonial”, figura che si sostanzia in un professionista (anche atleta) che si impegna a prestare la propria immagine alla società ed a partecipare a gare ufficiali, manifestazioni ed esibizioni a cui la prenda parte, impegnandosi ad indossare gli indumenti personalizzati sponsorizzati e forniti dalla società, così come a pubblicare articoli e/o video informativi periodicamente sui propri canali social a fronte di un corrispettivo fisso stabilito dal contratto. Detto ciò, il provvedimento – come detto, unico a trattare l’argomento per il momento – conduce a una serie di riflessioni sui rapporti contrattuali tra società e influencer che vengono ingaggiati per la promozione dei prodotti. In primo luogo, la sentenza si basa sulla lettura delle disposizioni di un particolare testo contrattuale (quello concluso nel caso di specie) e, quindi, non è detto che in casi differenti il rapporto tra preponente e influencer possa non presentare le caratteristiche tipiche del rapporto di agenzia. In aggiunta, va considerato che la pronuncia attribuisce grande rilevanza all’attività effettivamente resa dall’influencer e, in particolare, appare essere stato decisivo l’uso dei “codici sconto” e il relativo meccanismo di corresponsione di una percentuale per ogni vendita realizzata per mezzo di tale codice (prevista dal testo contrattuale). C’è da domandarsi, dunque, se in mancanza di tale meccanismo collegati ai “codici sconto” – a fronte, ad esempio, solo di un corrispettivo “fisso” stabilito contrattualmente – il giudice avrebbe comunque ravvisato gli estremi del rapporto di agenzia. Certo è che, se tale indirizzo dovesse essere confermato anche in altri casi, gli operatori di diritto si troverebbero di fronte a un nuovo orientamento giurisprudenziale che limiterebbe di molto l’autonomia negoziale delle parti e costringerebbe le società a ripensare i propri rapporti contrattuali con gli influencer, al fine di evitare di concludere accordi che risultino maggiormente onerosi di quanto inizialmente pianificato, a causa degli obblighi previdenziali legati alla stipula di un contratto di agenzia con quello che sarebbe, a tutti gli effetti, un agente di commercio. Allo stato, dunque, anche a fronte della pronuncia in commento appare probabilmente azzardato, a parere dello scrivente, affermare che l’attività svolta dall’influencer, in ogni caso, debba sempre considerarsi equiparabile a quella svolta un agente di commercio. Più correttamente sembra potersi affermare che, nel caso in cui l’attività dell’influencer non si limiti a quella di pubblicizzare dei prodotti tramite dei contenuti su social network ma ricada in una sorta di vendita degli stessi tramite l’uso dei “codici sconto” utilizzabili sul sito web della preponente, allora vi è il rischio concreto che tale rapporto contrattuale possa venire qualificato dal giudicante come contratto di agenzia. |