Violazione degli obblighi di assistenza familiare e incapacità contributiva dell’obbligato
07 Ottobre 2024
Massima In caso di mancata corresponsione dell’assegno di mantenimento nei confronti del figlio minorenne, lo stato di bisogno è presunto, salvo prova contraria in capo al soggetto obbligato, non potendo considerarsi tale omissione trascurabile, anche quando a garantire le esigenze del minore provveda l’altro genitore con proprie risorse in luogo del soggetto inadempiente. Il caso Il Tribunale di Pavia dichiara Tizio colpevole del reato di cui all'art. 570 bis c.p. per essersi sottratto all'obbligo di corrispondere la somma mensile di euro 900,00 per la figlia minore, e lo condanna al pagamento della pena di 800,00 euro di multa. La Corte d'Appello di Milano, nel riformare parzialmente la decisione di primo grado, utilizza un trattamento più favorevole al padre, anche attraverso la concessione delle attenuanti generiche, e riduce la pena a mesi due e giorni venti di reclusione. La difesa di Tizio propone ricorso per Cassazione, deducendo la violazione di legge o l'erronea applicazione della legge penale in relazione alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo, considerato che, affrontando il medesimo un periodo di difficoltà economiche, aveva comunque eseguito con costanza, seppur parziale, i versamenti di quanto dovuto alla figlia minorenne, facendole però mancare la contribuzione stabilita. La questione L’incapacità assoluta e incolpevole dell’obbligato può costituire un fattore scriminante ovvero un’attenuante rispetto all’obbligo di assistenza familiare del soggetto? Come si possono contemperare il diritto al mantenimento del figlio minore all’incolpevole stato di ristrettezze economiche del genitore? Le soluzioni giuridiche L'obbligo di prestazione dei mezzi di sussistenza ai figli minorenni presuppone la capacità economica dell'obbligato, ma non di rado tale fattispecie vede da un lato figli minorenni privi di mezzi di sostentamento e dall'altro un genitore (o entrambi) a sua volta privo di reddito. Naturalmente, è importante distinguere i casi in cui tale capacità di reddito è preordinata al tentativo di sottrarsi al mantenimento dei figli e/o del coniuge da quelli in cui manchi una vera e propria capacità economica dell'obbligato. Sul tema, la Corte di Cassazione ha definito che, ai fini di sanzionarne penalmente l'inadempimento, ai sensi dell'art. 570,2 comma del codice penale, è necessario che la mancata corresponsione delle somme dovute sia da attribuire all'indisponibilità persistente, oggettiva e incolpevole di entrate sufficienti a soddisfare le esigenze minime di vita del minore, ritenendo che sia integrata la sussistenza del reato anche qualora le entrate dell'obbligato siano molto modeste e pur valutando lo stato di disagio economico in cui lo stesso versava. Il principio affermato dalla Suprema Corte, portato da altre pronunce (Cass. pen. n. 27051/2011. e Cass. pen, sez. VI, n. 35612/2011) evidenzia che la condizione di impossibilità economica dell'obbligato deve consistere in una situazione incolpevole di assoluta indisponibilità di entrate sufficienti a soddisfare le esigenze minime di vita degli aventi diritto. La prova di tale impossibilità incombe in capo all'obbligato e non può ritenersi soddisfatta con la mera documentazione dello stato formale di disoccupato. Applicando i suesposti principi, i giudici di legittimità, anche nel caso di specie, hanno confermato la condanna inflitta al padre per avere fatto mancare i mezzi di sussistenza alla figlia minore. La giurisprudenza ritiene, inoltre, che, affinché si configuri il reato di cui all'art. 570 c.p., è necessario l'accertamento della sussistenza della concreta capacità economica dell'obbligato a fornire i mezzi d sussistenza. In un altro caso di specie, è stata invece annullata la sentenza di condanna nei confronti di un padre inabile al lavoro, che avrebbe dovuto versare l'assegno di mantenimento al figlio minore per un importo pari alla sua pensione d'invalidità. In particolare, con la sentenza n. 36636/2014, la sesta sezione penale della corte di cassazione si è concentrata sull'argomento, chiarendo quali sono le situazioni di incapacità economica che assumono rilevanza ai fini della difesa dell'imputato che non ha fatto fronte ai propri obblighi e ribadendo i principi consolidati che sono stati espressi sul tema dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui l'incapacità economica dell'obbligato consiste nell'impossibilità di far fronte agli adempimenti sanzionati dall'art. 570 c.p. Tale incapacità deve essere assoluta e integrare una situazione di persistente, oggettiva e incolpevole indisponibilità di guadagni. La Corte sottolinea che incombe sull'interessato l'onere di allegare gli elementi sulla scorta dei quali possa desumersi l'impossibilità di adempiere alla relativa obbligazione e che la sua responsabilità non può essere esclusa in base alla mera documentazione formale dello stato di disoccupazione, di una mera flessione dei guadagni o di difficoltà. I giudici hanno inoltre affermato che la violazione degli obblighi di assistenza familiare rappresenta un reato permanente che si protrae per tutto il periodo in cui perdura l'omesso adempimento, con la conseguenza che la cessazione di tale condotta coincide con il sopraggiunto pagamento o con l'accertamento della responsabilità penale nel giudizio di prime cure. Si può, quindi, affermare che, secondo la giurisprudenza di legittimità, la generica allegazione di difficoltà economiche non esclude il reato di cui all'art. 570 c.p.. Il padre che fa mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori risponde del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare ai sensi dell'art. 570 c.p. se non dimostra in maniera specifica di essere assolutamente impossibilitato, a causa di una situazione di persistente, oggettiva, incolpevole indisponibilità di introiti, ad adempiere alla sua obbligazione, atteso che la dimostrazione di una mera flessione dei guadagni o la generica allegazione di difficoltà non escludono il reato in questione. Osservazioni In relazione all'elemento soggettivo del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la dottrina tradizionale ritiene necessaria la sussistenza del dolo, consistente nella volontà cosciente e libera e nell'intenzione di far mancare i mezzi di sussistenza alla persona bisognosa, escludendosi la punibilità del reato a titolo di dolo eventuale o colpa. Orientamento contrastante, tuttavia, si è iscritto in seno ad alcune decisioni di merito, nelle quali è stata riconosciuta la sussistenza del reato anche nel caso in cui l'obbligato versava in stato di incapacità economica, a causa di una condotta ritenuta colposa dagli organi giudicanti. Tale posizione è stata portata alle estreme conseguenze da una pronuncia di legittimità, ove, addirittura, è stata ritenuta la responsabilità penale dell'imputato, il quale non abbia fatto valere il suo diritto alla continuazione del rapporto di lavoro con l'esercizio di mansioni compatibili con la sua parziale invalidità e, per ciò stesso, abbia tenuto un comportamento negligente e, di conseguenza, colposo. Secondo tale pronuncia, la semplice colpa dell'obbligato per il suo stato di incapacità economica non è idonea ad escludere la sussistenza del reato. La decisione in esame, invero, ha suscitato in dottrina qualche dubbio, in quanto non può condividersi il riconoscimento, a titolo di colpa, dell'imputabilità ai sensi dell'art. 570 c.p.. Tale dottrina, infatti, ha ritenuto più fedele ai principi generali una ricostruzione dell'elemento soggettivo in termini di dolo generico, in quanto confacente ai confini naturali delineati dal legislatore. Ciò, naturalmente, non esclude la possibilità di ritenere punibile la condotta di omessa prestazione dei mezzi di assistenza anche a titolo di dolo eventuale, qualora venga dimostrato che il soggetto attivo del reato abbia previsto che, mediante il suo comportamento negligente, avrebbe fatto mancare i mezzi di sussistenza agli aventi diritto e, tuttavia, ne abbia accettato il rischio. Tale orientamento, peraltro, ha trovato riscontro in giurisprudenza, la quale ha ritenuto la sussistenza della responsabilità penale dell'imputato che si era dimesso dall'impiego di metronotte al fine di precostituirsi una situazione di apparente disoccupazione. Con riferimento all'elemento soggettivo, si è posto il problema della rilevanza dell'errore sulla legge penale, nel caso in cui la condotta violatrice dell'art. 570, comma 2, n. 2, c.p. consista nell'omessa prestazione dei mezzi di sussistenza ai figli minori o inabili, da parte di un genitore, qualora l'altro genitore provveda in via sussidiaria a corrispondere ai bisogni della prole. In tale ipotesi, l'eventuale convincimento del genitore inadempiente di non essere, in quella situazione, tenuto all'assolvimento del suo primario dovere, non può avere rilievo, in quanto si traduce in errore sulla legge penale, non scriminante, ai sensi dell'art. 5 c.p. In siffatta ipotesi, infatti, non ricorre un caso di ignoranza scusabile di una norma, tra l'altro corrispondente a un'esigenza morale universalmente avvertita. Il principio è stato, altresì, ripreso nella sentenza qui in commento, con la quale è stato ritenuto che per escludere l'elemento soggettivo del reato di cui all'art. 570, comma 2, n. 2, c.p., commesso in danno della figlia minore, non rileva l'asserita convinzione del padre sulla concreta insussistenza dello stato di bisogno della figlia, basata sulla considerazione che l'altro genitore non gli aveva chiesto alcun contributo per il mantenimento. Tale convincimento non scriminerebbe la violazione di un dovere primario quale è quella di non far mancare alla figlia minorenne i mezzi di sussistenza. Prima di concludere la disamina sull'elemento soggettivo del reato de quo, va rilevato come l'elemento psicologico possa ravvisarsi anche nella forma di dolo eventuale. Su questo tema, la Suprema Corte si è pronunciata diversi anni fa su un noto caso relativo all'interruzione di cure emotrasfusionali alla figlia minore da parte di genitori testimoni di Geova. L'inconciliabilità tra gli obblighi di coscienza propri della fede religiosa dei genitori e la necessità di cura per la figlia venne inizialmente risolta dal Tribunale per i minorenni di Cagliari con l'imposizione coattiva della cura della bambina, cure a cui, in un primo momento, i genitori si adattarono senza necessità di coazione diretta. Tuttavia, per le gravi carenze della struttura sanitaria di riferimento, la frequenza delle trasfusioni diminuì radicalmente, comportando un progressivo degrado biologico degli organi vitali della bambina, fino a provocarne la morte. La Suprema Corte, nell'annullare con rinvio la sentenza di condanna dei genitori per omicidio volontario, ha evidenziato che la definizione di dolo ai sensi dell'art. 43 c.p. richiede non la semplice previsione dell'evento, ma la proiezione della volontà verso la produzione di esso. Ciò vale anche per il dolo eventuale, che presuppone che l'azione sia diretta al conseguimento volontario di un certo risultato, sia la prospettiva di conseguirne uno diverso che, non distogliendo l'agente dalla prosecuzione della condotta, entra per ciò stesso nel campo della volontà. Sulla scorta dei superiori principi la Corte di Cassazione ha ritenuto i genitori colpevoli dei reati di violazione degli obblighi di assistenza familiare seguita da morte come conseguenza non voluta. Sempre con riferimento al dolo eventuale, al fine della configurabilità dell'elemento soggettivo nel delitto di cui all'art. 570 c.p. è stato ritenuto sufficiente che il soggetto attivo si sia volontariamente posto nella situazione di non poter adempiere gli obblighi di assistenza familiare. Cenci, Dovere di mantenimento dei figli, obbligo degli alimenti e delitto di omessa Fierro Cenderelli, Violazione degli obblighi di assistenza familiare, (voce) Violazione, in Enciclopedia del diritto, Ed. Giuffré, 1993; Manzini, Trattato di diritto penale italiano, Nuvolone e Pisapia (a cura di), VII, Torino 1984, 863. |