Convegno "I contratti in generale: tenuta e tensioni di una disciplina": le principali tematiche affrontate

18 Ottobre 2024

Si è tenuto a Roma in data 8 ottobre 2024 presso l’Università La Sapienza il convegno «I contratti in generale: tenuta e tensioni di una disciplina». Per il portale IUS/Contratti e obbligazioni lo ha seguito l'Avvocato Marta Mariolina Mollicone, sintetizzandone le principali tematiche affrontate. 

Premessa

Nel convegno tenutosi a Roma presso l’aula Calasso dell’Università La Sapienza illustri accademici si sono confrontati su alcune tematiche inerenti il contratto in generale, anche alla luce delle considerazioni riportate dal Prof. Cataudella nelle sue opere. L’attenzione si è concentrata sulle seguenti tematiche:

  • contenuto e integrazione del contratto;
  • contratti misti;
  • presupposizione, adeguamento e rinegoziazione del contratto;
  • risoluzione;
  • invalidità.

L’occasione è stata utile per ripercorrere tappe fondamentali dell’evoluzione del nostro ordinamento. Di seguito si riportano i passi salienti.

Il contenuto e l'integrazione del contratto

La tematica ha occupato il dibattito dottrinale specialmente nel secondo dopoguerra, momento in cui sono state elaborate importanti tesi sul punto tra cui l'ipotesi - sostenuta dal Prof. Cataudella - che distingue il contenuto dall'oggetto e dagli effetti del contratto.

Il codice, come noto, non fa cenno al contenuto del contratto quanto discorre, piuttosto, di oggetto del contratto cui riferisce i caratteri di possibile, lecito, determinato o determinabile.

Tuttavia – secondo l'autorevole opinione – tali caratteristiche mal si attagliano all'oggetto del contratto se per questo si intendono le prestazioni delle parti ovvero il bene sul quale ricade l'interesse delle parti. Sono tratti che, invece, potrebbero riferirsi alle partizioni ossia alle clausole intercorse tra i contraenti.

Dunque, il contenuto del contratto sarebbe l'insieme delle partizioni, delle clausole che compongono l'accordo negoziale cosicché, invece, possa escludersi di poter parlare del contenuto come uno degli elementi del contratto indicati all'art. 1325 c.c. Anzi, forse, si potrebbe dire che il contenuto è l'altro nome del contratto considerato non nel momento genetico dell'intesa fra le parti ma nel segmento strutturale di interessi.

Si distinguono dal contenuto gli effetti del contratto riconducibili all'opera della legge e non all'autonomia privata. Sul punto si contano numerose ricostruzioni, tra cui quella del Prof. Cautadella, in base alla quale gli effetti giuridici non sono prodotti direttamente dal contratto ma sono disposti dall'ordinamento e si realizzano quando possono essere la fattispecie contemplata dalla legge, quando il comando astratto nella stessa legge diventa concreto. Il contratto quindi non sarebbe causa in senso proprio di effetti anche se concorre a determinarli. Già in via generale, infatti, non sussisterebbero ragioni per spostare gli effetti dal piano dell'efficacia a quello del contenuto.

In questa visione trova agevole collocazione sistematica la pluralità delle fonti caratteristiche del contratto e, quindi, la pluralità delle fonti che concorre a determinare gli effetti medesimi. In particolare, questa è una lettura che inquadra facilmente nel sistema il fenomeno della integrazione. Legge, usi ed equità, infatti, sono fonti eteronome che solo forzatamente si lasciano collocare tra le clausole contrattuali e che, certamente, non si possono interpretare sulla base degli artt. 1362 c.c. e s.

I contratti misti

L’occasione per riflettere sulla categoria dei contratti misti è data dalla fattispecie della vendita mista con donazione.

Premesso che in tanto può parlarsi di vendita mista a donazione in quanto non si tratti di una sproporzione del prezzo e, quindi, di un malaffare, tale figura si sostanzia in un congegno negoziale in cui le parti vogliono al tempo stesso una vendita ma con un effetto di arricchimento dell'acquirente.

Tra i criteri maggiormente applicati in tema di disciplina di contratti misti, vi è quello della prevalenza e dell'assorbimento. Ebbene, tale criterio in qualche modo ingabbia le parti e, quindi, la loro libertà contrattuale, in un tipo perché tutto quello che è il congegno negoziale, l’autoregolamento, sarebbe diretto verso il tipo. Altresì, criticabile è il criterio della applicazione analogica perché, in realtà, conduce al contratto innominato così svalutando l'elasticità del tipo.

Il contratto misto, piuttosto, si inserirebbe in una zona intermedia tra il contratto tipico e il contratto innominato – il prototipo sarebbe proprio la vendita mista alla donazione – ed il criterio migliore per comprendere quale disciplina applicare sarebbe quello di matrice tedesca della combinazione. Tuttavia, diversamente da come lo intendono in Germania, laddove attenzionano il profilo delle prestazioni, sarebbe necessario, piuttosto, concentrarsi sulla causa del contratto ed immaginare la causa del contratto misto come una fusione delle cause dei contratti in esso convergenti. Si badi che tale tesi va oltre quella in base alla quale si rinviene nella causa del contratto misto un concorso di cause (si v. gli studi del Prof. Santoro Passarelli) sol si consideri che, in questo ultimo caso, è ravvisabile un collegamento negoziale mentre, in caso di fusione delle cause vi è un'unica causa mista, onerosa e gratuito.

La presupposizione, l'adeguamento e la rinegoziazione.

Il tema della presupposizione è da sempre estremamente confusionario quante volte non è oggetto di disciplina positiva ma di diritto vivente.

Tra i vari orientamenti molti hanno tentato di ricondurre l'istituto a casi eccezionali di errore essenziale ai sensi dell'art. 1429 c.c., altri all'errore comune sui motivi del contratto, altri hanno preferito far riferimento al difetto causale.

Tale ultima è anche la linea seguita dal Prof. Cataudella il quale afferma che il venir meno o il non sopravvenire delle circostanze obiettive che le parti abbiano implicitamente – senza appunto enunciarle espressamente nel contratto – eletto a presupposto del contratto stesso, può motivare la risoluzione del contratto. In altre parole, la risoluzione sarebbe possibile qualora, turbando la realizzabilità della funzione concreta dello stesso, le parti abbiano concordemente senza dirlo, ma diciamo ciascuno sapendo che l'altra era sulla stessa posizione, fondato il loro apprezzamento ai fini della determinazione della misura dello scambio su un presupposto che si riveli insussistente o che non venga ad esistenza.

Ad ogni modo, il tema della presupposizione rientra nel più ampio spettro della rilevanza dell'imprevisto, tematica che interessa il diritto europeo e non (si pensi alle clausole di hardship che i Principi Unidroit prevedono per i contratti internazionali) e che si ricollega alla rinegoziazione, tema molto aperto. A tal proposito, sembra preferibile seguire l'orientamento che tende ad evitare l'idea che un obbligo di rinegoziazione di un contratto, in caso di mutamento sopravvenuto e importante ricognizione delle condizioni economiche nelle quali è stato fondato quel contratto, possa fondarsi sul principio di buona fede. L'obbligo di rinegoziazione sembrerebbe potersi ammettere solo se previsto espressamente dalla legge o se sono state inserite nel contratto le cd. clausole di regolazione.

La risoluzione

Dopo aver ripercorso i milestones della civilistica che si è occupata dell’istituto della risoluzione, secondi il Prof. Cataudella, la risoluzione del contratto potrebbe essere fatta rientrare nella struttura del contratto, cioè nella regola contrattuale; qui, infatti, troverebbero tranquillamente spazio la risolubilità dell'inadempimento, l'evento dell'inadempimento, le condizioni di rilevanza dell'inadempimento e i congegni che possono portare alla risoluzione per inadempimento. E questo sarebbe possibile dal momento che la risolubilità per inadempimento del contratto può essere vista come un problema di difetto della causa in concreto del contratto.

L'invalidità

Quanto all'inefficacia, se ne può parlare sia in senso lato, fisiologico, sia in c.d. in senso stretto, quella che deriva da una patologia dell'atto o dalla inettitudine del rapporto.

Questi istituti, comunque, non sono necessariamente strutture concettuali e logiche. Spesso, sono scelte normative e sono rimedi offerti al presidio di determinati interessi.

La loro stessa storia lo conferma. Ad esempio la vita dell’annullamento ha fondamento nelle eccezioni piuttosto che nelle azioni, quindi nel diritto di paralizzare la vincolatività e l’efficacia di un contratto valido. Queste figure della patologia possono essere, poi, analizzate in tanti modi: si può considerare il contratto come una realtà monolitica oppure come una realtà che si atomizza in diverse prestazioni. La morfologia delle figure di invalidità e di vizio genetico del contratto, insomma, rispecchiano una serie di interessi in base ai quali la legge, mano a mano, ha assestato e consolidato nelle diverse esperienze i fenomeni collocandoli in una scelta normative.

Ebbene, dette scelte si sono sempre più allontanate dalle «categorie» per privilegiare ipotesi specifiche di invalidità. Il risultato, oggi, è una grande confusione.

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