I licenziamenti collettivi nelle recenti sentenze della Corte di giustizia

21 Ottobre 2024

L'autore esamina tre sentenze della Corte di giustizia. Nella prima sentenza (5 ottobre 2023, C-496/22) si pone il problema della violazione della procedura sindacale per la mancata informazione (e consultazione) dei rappresentanti sindacali. Nella seconda sentenza (22 febbraio 2024, C- 589/22) viene in rilievo il problema della nascita dell'obbligo di informazione e consultazione. Nella terza sentenza (11 luglio 2024, C-196/23) si pone il problema se le cessazioni di contratti di lavoro dovute al pensionamento del datore di lavoro rientrino nella nozione di licenziamento collettivo.

Premessa

La Corte di giustizia, nelle tre sentenze in esame, formula importanti precisazioni in ordine alla procedura sindacale e alla nozione di licenziamento collettivo.

In particolare, nella prima sentenza (del 5 ottobre 2023, C-496/22) esamina  il problema della violazione della procedura sindacale per la mancata informazione (e consultazione) dei rappresentanti sindacali. Nella seconda sentenza (del 22 febbraio 2024, C- 589/22) ribadisce il proprio orientamento sul tema della  nascita dell'obbligo di informazione e consultazione. Nella terza sentenza (dell'11 luglio 2024, C-196/23) si pone il problema se le cessazioni di contratti di lavoro dovute al pensionamento del datore di lavoro rientrino nella nozione di licenziamento collettivo. Nella parte finale della sentenza esamina il rapporto tra la direttiva sui licenziamenti collettivi e gli artt. 27 e 30 della Carta di Nizza.

La sentenza del 5 ottobre 2023, C-496/22. Il caso

Il problema sollevato dalla Corte di appello di Bucarest verte su una delicata questione sorta in tema di informazione e di consultazione dei lavoratori in caso di un licenziamento collettivo (1).

In estrema sintesi, i fatti di causa.

L'appellante, il 14 agosto 2014, ha concluso un contratto di lavoro con la società in qualità di agente di trasporto di valuta.

La società, nel contesto della pandemia causata dal coronavirus SARS-CoV-2 e dell'istituzione dello stato di emergenza in Romania tra il 16 marzo e il 15 maggio 2020, ha subito una riduzione significativa della sua attività a livello nazionale, che si è ripercossa sui suoi profitti.

In tale contesto, ha deciso di ristrutturare la sua impresa e ha avviato una procedura di licenziamento collettivo volta a sopprimere 128 posti a livello nazionale.

Il 12, 13 e 15 maggio 2020 ha notificato l'intenzione di avviare una procedura di licenziamento collettivo alle autorità coinvolte, vale a dire l'Agenția Municipală pentru Ocuparea Forței de Muncă București (Centro per l'impiego del Comune di Bucarest, Romania), l'Inspecția Muncii (Ispettorato del lavoro, Romania) e l'Inspectoratul Teritorial de Muncă al Municipiului București (Ispettorato territoriale del lavoro del Comune di Bucarest, Romania).

Tale notifica indica espressamente che i licenziamenti dei   lavoratori coinvolti avrebbero avuto luogo tra il 19 maggio e il 2 luglio 2020.

Poiché il mandato dei rappresentanti dei lavoratori precedentemente designati era scaduto il 23 aprile 2020 senza che nuovi rappresentanti fossero stati eletti, detta notifica non è stata trasmessa a tali rappresentanti.

La medesima  notifica non è stata neppure comunicata individualmente a ciascun lavoratore coinvolto da detta  procedura di licenziamento.

L'appellante, che fa parte dei 128 lavoratori licenziati, ha proposto un ricorso contro la decisione relativa al suo licenziamento, ricorso che è stato respinto in primo grado.

Nel ricorso in appello censura la sentenza di primo grado in quanto la società ha l'obbligo imperativo di informare e di consultare i lavoratori individualmente anche in assenza di un sindacato o di rappresentanti designati per difendere i loro interessi. La società, peraltro, avrebbe dovuto  informare i lavoratori coinvolti della necessità di nominare nuovi rappresentanti ai fini della medesima procedura di licenziamento.

La società, dal canto suo, rileva che, a causa del mancato rinnovo dei mandati dei rappresentanti dei lavoratori, si è trovata in una situazione atipica di assenza di una parte sociale.

Infatti, il mancato coordinamento dei dipendenti ha reso impossibile la designazione di rappresentanti debitamente incaricati durante la procedura di licenziamento collettivo. L'informazione e la consultazione dei rappresentanti dei lavoratori non hanno quindi potuto aver luogo e, poiché la normativa nazionale in questione prevede che tale procedura debba essere condotta con il sindacato e/o i rappresentanti dei dipendenti e non con i dipendenti considerati individualmente, essa sarebbe stata dispensata dal procedere individualmente all'informazione e alla consultazione dei lavoratori.

La Corte di appello di Bucarest, pur in presenza di un orientamento giurisprudenziale favorevole alla tesi prospettata dalla società, decide di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se l'articolo 1, [paragrafo 1, primo comma, lettera b), prima frase] e l'articolo 6 della direttiva [98/59], letti alla luce dei considerando 2 e 6 (...) di tale direttiva, ostino a una normativa nazionale che consente a un datore di lavoro di non consultare i lavoratori interessati da una procedura collettiva di licenziamento dal momento che essi non hanno rappresentanti già designati né hanno l'obbligo giuridico di designarli.

2) Se l'articolo 1, [paragrafo 1, primo comma, lettera b), prima frase] e l'articolo 6 della direttiva [98/59], letti alla luce dei considerando 2 e 6 (...) di tale direttiva, siano da interpretare nel senso che, nell'ipotesi sopra descritta, il datore di lavoro è tenuto a informare e a consultare tutti i dipendenti interessati dalla procedura di licenziamento collettivo».

La procedura di informazione e di consultazione in assenza di designazione di rappresentanti dei lavoratori. La risposta della Corte

La Corte di giustizia, in primo luogo, riformula i quesiti (che esamina in modo congiunto).

La Corte di appello di Bucarest, in sostanza, chiede alla Corte di giustizia  se gli artt. 1, primo comma lettera b), 2, paragrafo 3 e 6 della direttiva 98/59 (2) ostano a una normativa nazionale che non prevede alcun obbligo per un datore di lavoro di consultare individualmente i lavoratori coinvolti da un progetto di licenziamento collettivo, qualora tali lavoratori non abbiano designato rappresentanti dei lavoratori, e che non obbliga detti lavoratori a procedere a una simile designazione.

Per risolvere le questioni sollevate dalla Corte rumena, la Corte di giustizia riafferma alcuni punti fermi che si desumono dalla sua giurisprudenza.

In primo luogo, che l'obiettivo principale della direttiva 98/59 consiste nel far precedere i licenziamenti collettivi da una consultazione dei rappresentanti dei lavoratori coinvolti (3) e dall'informazione all'autorità pubblica competente.

In secondo luogo, che il diritto all'informazione e consultazione previsto dalla direttiva 98/59 è destinato ai rappresentanti dei lavoratori, e non ai lavoratori considerati individualmente (4).

Di conseguenza, poiché le disposizioni della direttiva 98/59 non prevedono l'obbligo per il datore di lavoro di procedere a informare e a consultare individualmente i lavoratori coinvolti da un progetto di licenziamento collettivo, tali disposizioni devono essere interpretate nel senso che esse non ostano a    una normativa nazionale che, in assenza di rappresentanti dei lavoratori, non impone al datore di lavoro  di informare e consultare individualmente ciascun lavoratore coinvolto da tale progetto.

In terzo luogo, che è contraria al diritto dell'Unione una normativa nazionale che consente di ostacolare la tutela incondizionatamente garantita ai lavoratori da parte di una direttiva (5).

Corollario di tale affermazione è che la direttiva obbliga gli Stati membri ad adottare tutti i provvedimenti necessari affinché i lavoratori siano informati, consultati e possano intervenire tramite rappresentanti in caso di licenziamenti collettivi[5] e  che il carattere limitato dell'armonizzazione parziale garantita dalla direttiva 75/129 per quanto riguarda le norme di tutela dei lavoratori in caso di licenziamenti collettivi, in particolare dal riferimento, di cui all'articolo 1, paragrafo 1, lettera b), ai rappresentanti dei lavoratori «previsti dal diritto o dalla pratica in vigore negli Stati membri», non può privare di effetto utile le disposizioni di tale direttiva e non osta a che gli Stati membri siano obbligati ad adottare tutti i provvedimenti utili affinché, per rispettare gli obblighi di cui agli articoli 2 e 3 di detta direttiva, i rappresentanti dei lavoratori siano designati (7).

Nel caso di specie, il codice del lavoro rumeno conferisce ai lavoratori il diritto di designare rappresentanti ma non prevede un obbligo per i lavoratori di procedere alla designazione dei rappresentanti (8).

In questo contesto, fermo restando che la direttiva non prescrive un simile obbligo a carico dei lavoratori, «spetta agli Stati membri garantire l'effetto utile delle disposizioni di tale direttiva. Pertanto, spetta a questi ultimi adottare tutti i provvedimenti utili affinché i rappresentanti dei lavoratori siano designati e assicurarsi che i lavoratori non si trovino in una situazione in cui, per motivi indipendenti dalla loro volontà, essi sono impossibilitati a designare tali rappresentanti» (punto 43).

Sarà estremamente interessante conoscere la soluzione che il giudice rumeno darà al caso che gli è stato sottoposto.

La sentenza 22 febbraio 2024, C-589/22. Il caso

La Corte superiore di giustizia delle Isole Baleari (Spagna) ha sollevato una questione pregiudiziale sull'interpretazione dell'art. 1, paragrafo 1, e sull'art. 2, paragrafo 2, della direttiva 98/59/CE.

In sintesi, il caso.

La convenuta nel procedimento principale svolge attività di gestione ed esercizio di alberghi.

Il 25 settembre 2019, la convenuta ha notificato al Juzgado de lo Mercantil de Palma (Tribunale commerciale di Palma di Maiorca, Spagna) l'avvio di trattative ai fini di un rifinanziamento o di un concordato preventivo con i creditori. A tale data, la convenuta nel procedimento principale disponeva di un organico di 43 dipendenti che lavoravano nella sua sede.

Tra l'agosto 2019 e il dicembre 2019, il numero di alberghi gestiti e operati dalla convenuta è passato da 20 a 7. Dei 13 alberghi la cui gestione è stata abbandonata, 7 appartenevano a diverse società del gruppo G. G.

Il 30 dicembre 2019 la convenuta ha firmato un accordo con le società proprietarie di questi sette stabilimenti alberghieri e con l'A. E. T. SA (in prosieguo: l'«A. E.»), anch'essa appartenente al G. G. Tale accordo prevedeva che, a partire dal 1º gennaio 2020, i contratti di locazione di detti stabilimenti, fino a quel momento gestiti dalla convenuta nel procedimento principale, sarebbero stati risolti, che la gestione degli stabilimenti sarebbe stata trasferita all'A. E. e che tutti i contratti di lavoro del personale degli stabilimenti in vigore al 31 dicembre 2019 sarebbero stati trasferiti al G. G., il quale, in quanto datore di lavoro, era quindi surrogato in tali contratti.

La convenuta, in un documento elaborato ad hoc, ha chiesto a tutti i membri del suo personale che lavoravano presso la sede se fossero stati disposti a effettuare colloqui con i responsabili del G. G., in vista della copertura di dieci posti di lavoro di cui il nuovo gestore avrebbe potuto aver bisogno per far fronte all'aumento del carico di lavoro nei suoi servizi comuni, in seguito al recupero delle sette strutture alberghiere.

Il 30 dicembre 2019, a seguito di tali colloqui, nove lavoratori hanno firmato un documento dal contenuto identico, che indicava la loro intenzione di lasciare la convenuta nel procedimento principale con effetto dal 14 gennaio 2020. Questi nove lavoratori hanno firmato un contratto di lavoro con l'A. E. il 15 gennaio 2020. Tali contratti contenevano una clausola che riconosceva loro l'anzianità, la categoria e la retribuzione di cui beneficiavano presso la convenuta e che indicava che tali condizioni erano riconosciute a titolo personale e non implicavano in nessun caso l'esistenza di una surrogazione d'impresa, in quanto l'assunzione era stata preceduta dalla cessazione del loro rapporto di lavoro con il precedente datore di lavoro.

Nel gennaio 2020 la convenuta impiegava solo 32 lavoratori presso la sua sede. Tra gli 11 lavoratori che avevano cessato l'attività lavorativa vi erano i 9 lavoratori che avevano firmato detto preavviso di esodo volontario il 30 dicembre 2019.

Il 31 gennaio 2020 ai due ricorrenti nel procedimento principale e altri 7 lavoratori, all'epoca impiegati dalla convenuta, è stato notificato il licenziamento oggettivo per motivi organizzativi e legati alla produzione. A seguito di questi 9 licenziamenti, l'organico della sede della convenuta  è stato ridotto a 23 unità.

I ricorrenti  hanno proposto ricorso contro il loro licenziamento dinanzi allo Juzgado de lo Social n. 2 de Palma (Tribunale del lavoro n. 2 di Palma di Majorca, Spagna), sostenendo che la convenuta avrebbe dovuto avviare una procedura di licenziamento collettivo e che ha agito in modo fraudolento incoraggiando artificiosamente gli esodi volontari di alcuni lavoratori per evitare di dover avviare una procedura del genere.

In appello (dopo il rigetto del ricorso in 1 grado) la convenuta ha sostenuto che gli esodi volontari non potevano essere presi in considerazione ai fini del calcolo del numero di licenziamenti o di cessazioni assimilabili e che, poiché tali esodi volontari non potevano essere presi in considerazione, non erano state raggiunte le soglie previste per l'avvio obbligatorio di una procedura di licenziamento collettivo. Secondo la convenuta  la sua decisione di licenziare nove dipendenti per motivi oggettivi non avrebbe tenuto conto dell'esito del processo dei colloqui, che sarebbe stato trasparente e volontario, con il quale i dipendenti che l'hanno ritenuto opportuno hanno accettato la proposta di esodo volontario. Al contrario, tale decisione sarebbe stata adottata in funzione della realtà esistente alla data della sua adozione e avrebbe risposto all'analisi delle sue esigenze organizzative e produttive dopo la riassunzione da parte del G. G. di una parte dell'organico.

Il giudice del rinvio, in questo contesto, ha sollevato due questioni pregiudiziali.

La Corte superiore di giustizia delle Isole Baleari, in particolare, ha chiesto alla Corte di giustizia:

«1) Se, alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea risultante dalla sentenza del 10 settembre 2009, AEK e a. (C‑44/08, EU:C:2009:533), l'articolo 2 della direttiva [98/59] debba essere interpretato nel senso che gli obblighi di consultazione e di notifica che costituiscono l'effetto utile di detta direttiva sorgono nel momento in cui l'impresa, nell'ambito di un processo di ristrutturazione, progetta cessazioni di contratti di lavoro che possono superare il numero limite previsto per i licenziamenti collettivi, indipendentemente dal fatto che, in definitiva, il numero di licenziamenti o di cessazioni assimilabili non raggiunga tale soglia, in quanto detto numero è stato ridotto mediante misure aziendali adottate senza previa consultazione dei rappresentanti dei lavoratori.

2) Se l'articolo 1, paragrafo 1, ultimo comma, della direttiva [98/59], laddove dispone che «[p]er il calcolo del numero dei licenziamenti previsti nel primo comma, lettera a), sono assimilate ai licenziamenti le cessazioni del contratto di lavoro verificatesi per iniziativa del datore di lavoro per una o più ragioni non inerenti alla persona del lavoratore, purché i licenziamenti siano almeno cinque” includa, in un contesto di crisi nel quale è prevedibile una riduzione del personale comprendente licenziamenti, le dimissioni di lavoratori proposte dall'impresa, non volute ma accettate da questi ultimi dopo avere ottenuto l'offerta vincolante di inserimento immediato in un'altra impresa e sia stata l'impresa datrice di lavoro a gestire con tale altra impresa la possibilità che i propri lavoratori effettuassero colloqui ai fini della loro eventuale assunzione».

La nascita dell'obbligo di informazione e consultazione. Le precisazioni della Corte di giustizia

Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l'articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 98/59 debba essere interpretato nel senso che l'obbligo di consultazione da esso previsto sorge dal momento in cui il datore di lavoro, nell'ambito di un piano di ristrutturazione, prevede o pianifica una riduzione del numero dei posti che può superare quelli fissati per rientrare nella nozione di “licenziamento collettivo” ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, lettera a), di detta direttiva o solo nel momento in cui, dopo aver adottato misure di riduzione di tale numero, il datore di lavoro ha acquisito la certezza di dover effettivamente procedere al licenziamento di un numero di lavoratori superiore a quello fissato da quest'ultima disposizione.

Per rispondere a tale questione, la Corte ricorda che, per quanto riguarda l'obbligo del datore di lavoro di procedere alle consultazioni di cui all'articolo 2 di detta direttiva, ha ripetutamente dichiarato che gli obblighi di consultazione e di notifica sorgono prima di una decisione del datore di lavoro di risolvere i contratti di lavoro (vengono richiamate le sentenze 27 gennaio 2005, Junk, C‑188/03, 10 settembre 2009, AEK e a., C‑44/08).

Sulla base dei suoi precedenti, la Corte ribadisce che:

«l'articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 98/59 deve essere interpretato nel senso che l'obbligo di consultazione da esso previsto sorge dal momento in cui il datore di lavoro, nell'ambito di un piano di ristrutturazione, prevede o pianifica una riduzione dei posti di lavoro il cui numero può superare le soglie di soppressione di posti di cui all'articolo 1, paragrafo 1, lettera a), di detta direttiva e non nel momento in cui, dopo aver adottato misure di riduzione di tale numero, il datore di lavoro acquisisce la certezza di dover effettivamente procedere al licenziamento di un numero di lavoratori superiore a tali soglie».

Ma la parte della motivazione più interessante, attiene alla valorizzazione del caso di specie.

Sul punto, la Corte (ai punti nn.26-31) precisa:

26  Nel caso di specie, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che, tra l'agosto 2019 e la fine di dicembre 2019, il numero di alberghi gestiti e operati dalla convenuta nel procedimento principale è passato da venti a sette. In particolare, il 30 dicembre 2019, quest'ultima ha stipulato un accordo in base al quale la gestione di sette di questi tredici stabilimenti è stata abbandonata e rilevata, dal 1º gennaio 2020, dall'A. E.

27 Tenuto conto della portata del cambiamento dell'attività di gestione e di esercizio così intrapreso e delle conseguenze ragionevolmente ipotizzabili in termini di carico di lavoro della sede centrale, la decisione di avviare discussioni sulla cessione dell'attività di gestione e di esercizio di tali sette stabilimenti può essere considerata una decisione strategica o commerciale che obbligava la convenuta nel procedimento principale a prevedere o a preventivare licenziamenti collettivi, ai sensi della giurisprudenza menzionata al punto 22 della presente sentenza, circostanza che spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare.

28  A tal riguardo, da un lato, occorre sottolineare che la convenuta nel procedimento principale sapeva che il trasferimento della gestione di detti stabilimenti avrebbe comportato un aumento del carico di lavoro presso l'A. E. che avrebbe richiesto l'assunzione di dieci nuovi lavoratori, ragion per cui ha chiesto ai membri del suo personale che lavoravano nella sede se fossero disposti a sostenere colloqui con i responsabili del G. G. Pertanto, essa avrebbe potuto prevedere di subire una riduzione del carico di lavoro della stessa portata o simile all'aumento del carico di lavoro che avrebbe subito l'A. E.

29  Dall'altro lato, nella domanda di pronuncia pregiudiziale è stato rilevato che la decisione della convenuta nel procedimento principale di licenziare nove dipendenti rispondeva all'analisi dei suoi fabbisogni organizzativi e di produzione dopo la cessione della gestione e dell'esercizio dei sette stabilimenti in questione all'A. E. e l'esodo di nove dei suoi lavoratori verso quest'ultima. Tenuto conto di tale decisione, la convenuta nel procedimento principale doveva ragionevolmente attendersi di dover ridurre in modo significativo il numero dei suoi lavoratori presso la sua sede al fine di adeguare tale numero al volume della sua attività e al carico di lavoro rimanente.

30   Pertanto, poiché la decisione di cedere l'attività di gestione e di esercizio dei sette alberghi all'A. E. implicava necessariamente, per la convenuta nel procedimento principale, che fossero previsti licenziamenti collettivi, spettava ad essa, nei limiti in cui esisteva la possibilità che le condizioni definite all'articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 98/59 fossero soddisfatte, procedere alle consultazioni previste all'articolo 2 di tale direttiva.

31  Tale conclusione è tanto più convincente se si considera che la finalità dell'obbligo di consultazione di cui all'articolo 2 di detta direttiva – vale a dire evitare o ridurre il numero di risoluzioni dei contratti di lavoro e attenuarne le conseguenze – e l'obiettivo che perseguiva, nel caso di specie, la convenuta nel procedimento principale chiedendo ai suoi lavoratori se fossero disposti a sostenere colloqui con l'A. E. – vale a dire consentire a taluni dei suoi lavoratori di instaurare un rapporto contrattuale con quest'ultima e, di conseguenza, ridurre il numero dei licenziamenti individuali – coincidono in larga misura. Infatti, dal momento che una decisione che porta a una riduzione significativa del numero di alberghi gestiti e operati dalla convenuta nel procedimento principale avrebbe potuto comportare una riduzione altrettanto significativa della sua attività e del carico di lavoro presso la sua sede e, quindi, del numero di lavoratori di cui essa aveva bisogno in tale sede, l'esodo volontario di un certo numero di lavoratori verso la società che rilevava una parte dell'attività ceduta poteva chiaramente consentire di evitare licenziamenti collettivi.

Questa parte della motivazione è estremamente interessante.

Sembra che la Corte, con queste indicazioni, vada oltre il profilo interpretativo (di sua competenza) entrando in quello “applicativo” (di competenza del giudice nazionale).

Non è inutile ricordare, in questo contesto, che a norma dell'art. 267, primo comma, TFUE, la Corte di giustizia è competente a pronunciarsi in via pregiudiziale sull'interpretazione dei Trattati o sulla validità o l'interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell'Unione (9).

L'applicazione del diritto dell'Unione, sia che segua gli orientamenti espressi dalla Corte di giustizia sia in mancanza di essa, spetta ai giudici nazionali.

Appartiene, in sostanza, al giudice nazionale in via esclusiva il potere di decidere la controversia e di valutare i fatti e le emergenze istruttorie (10), applicando le norme di diritto comunitario al caso concreto.

La Corte di giustizia «non è competente a pronunciarsi sui fatti della causa principale, dato che tali questioni rientrano nella competenza esclusiva del giudice nazionale» (11).

Il procedimento ex articolo 267 TFUE è basato su una netta separazione di funzioni tra i giudici nazionali e la Corte di giustizia.

Il giudice nazionale è l'unico competente a conoscere e valutare i fatti della controversia, nonché ad interpretare e applicare il diritto nazionale.

Enunciato il principio di diritto da parte della Corte di giustizia spetterà al giudice nazionale contestualizzare la regola iuris in relazione alle peculiarità del caso concreto.

Non sembra, però, che, con il caso in esame, la Corte di giustizia abbia travalicato le sue competenze.

In realtà, a ben vedere, ha voluto solo “specificare” meglio le sue indicazioni al giudice nazionale, senza invadere le sue competenze.

Certo, sarebbe stato meglio usare le consuete espressioni (”al giudice del rinvio spetta di verificare”), come la sesta sezione della Corte di giustizia ribadisce nella sentenza 22 febbraio 2024, C-649/22 (punti nn. 65-67).

Ma, credo, che la sostanza non cambi considerato che la Grande sezione della Corte di giustizia ha avuto cura di ribadire, nella sentenza del 30 aprile 2024, C-178/22, che la Corte di giustizia «non può pronunciarsi sull'interpretazione di leggi nazionali».

(Segue) Il problema del c.d. licenziamento indiretto

La Corte di giustizia, nella causa C-589/22, «tenuto conto della risposta fornita alla prima questione» ritiene che «non occorre rispondere alla seconda questione».

Il problema posto dalla seconda questione è, peraltro, estremamente complesso attenendo ad un istituto di incerta qualificazione quale il “licenziamento indiretto”.

Com'è noto, la Suprema Corte, con l'ordinanza n. 15401 del 20 luglio 2020 (12), ha affermato che nei primi cinque licenziamenti possono essere computati anche i c.d. “licenziamenti indiretti”.

Nella specie, la Corte di appello di Milano (13) aveva appurato che nel periodo dei 120 giorni successivi al licenziamento del ricorrente, per soppressione della sua mansione a seguito della esternalizzazione dell'attività alla quale risultava addetto, erano stati effettuati due licenziamenti per giustificato motivo oggettivo (trasformati in risoluzioni consensuali a seguito di procedura di conciliazione ex art. 7 l. n. 604/1966). In ogni caso, anche a voler considerare queste due risoluzioni consensuali come licenziamenti, il requisito minimo dei 5 licenziamenti non sarebbe stato comunque raggiunto in quanto le altre risoluzioni derivavano da dimissioni o da licenziamenti per diversa causale (disciplinare, mancato superamento di prova, superamento del periodo di comporto) o ancora da risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro con incentivo economico.

La Corte territoriale aveva, peraltro, escluso la rilevanza delle risoluzioni consensuali derivanti dalla mancata accettazione del trasferimento proposto (è questa la questione che ha esaminato la Cassazione) perché la causale giustificativa di cui all'art. 24 l. n. 223/91 è solo quella riconducibile ad una riduzione o trasformazione “di attività o di lavoro” dovendosi, dunque, trattare di licenziamenti in senso stretto e non di risoluzioni ad essi genericamente assimilabili.

La Cassazione, nell'ordinanza del 20 luglio 2020 (14), non condivide queste ultime affermazioni ritenendo che le risoluzioni consensuali dei rapporti di lavoro derivanti dalla mancata accettazione dei trasferimenti erano rilevanti al fine del computo dei lavoratori che determinano la configurabilità di un licenziamento collettivo.

Viene richiamata, a sostegno di tale valutazione, la risposta alla terza questione contenuta nella sentenza Pujante Rivera della Corte di giustizia (15).

Nella motivazione dell'ordinanza, però, non viene chiarito quale sia il rapporto tra le due risposte (al secondo e terzo quesito) contenute nella sentenza Pujante Rivera e, in sostanza, quale sia il rapporto tra il primo e il secondo comma dell'art. 1 della direttiva 98/59 (16) nell'interpretazione fornita dalla Corte di giustizia.

Quello che risulta innovativo nella sentenza Pujante Rivera è l'interpretazione del primo comma dell'art. 1 della direttiva 98/59 e, in definitiva, la stessa nozione di “licenziamento collettivo” contenuta nella direttiva.

Il tema richiede un approfondimento.

La direttiva 98/59, com'è noto, non definisce espressamente la nozione di “licenziamento”.

La Corte di giustizia, dopo aver precisato che si tratta di una nozione di diritto dell'Unione che non può essere definita mediante un rinvio alle legislazioni degli Stati membri, ha definito tale nozione  nella sentenza Commissione/Portogallo (17).

La nozione,  in considerazione dell'obiettivo perseguito dalla direttiva e del contesto in cui si colloca il primo comma dell'art. 1, è stata definita “nel senso che comprende qualsiasi cessazione del contratto di lavoro non voluta dal lavoratore e, quindi, senza il suo consenso”.

La Corte di giustizia, nella sentenza Pujante Rivera (C-422/14), ha “implementato” (18) tale nozione, anche grazie al fatto che la nozione di “licenziamento” non può essere interpretata restrittivamente (19), rimarginando l'ambito applicativo della definizione fino a farvi rientrare i c.d. “licenziamenti indiretti”.

Si tratta di una interpretazione estensiva  che rafforza, in modo notevole, la tutela dei lavoratori in caso di licenziamenti collettivi.

In questo contesto (l'interpretazione della nozione di licenziamento nell'ambito del primo comma dell'art. 1 della direttiva 98/59), si pone  il problema di cosa si intenda per  “licenziamento indiretto”.

Tale nozione, a ben vedere, si può scomporre in diverse parti.

In negativo, occorre che la cessazione del rapporto di lavoro derivi da “ragioni non inerenti alla persona del lavoratore”.

In positivo, che la cessazione del rapporto di lavoro sia disposta:

a) “unilateralmente” dal datore di lavoro e

b) riguardi la modifica di un “elemento essenziale del contratto di lavoro”.

Ne discende che “il fatto che un datore di lavoro proceda, unilateralmente e a sfavore del lavoratore, a una modifica non sostanziale di un elemento essenziale del contratto di lavoro per ragioni non inerenti alla persona di tale lavoratore o a una modifica sostanziale di un elemento non essenziale di detto contratto  per ragioni non inerenti alla persona di tale lavoratore  non può essere qualificato come licenziamento ai sensi della direttiva” (punto 26 della sentenza Socha del 21 settembre 2017, C-149/16).

La giurisprudenza della Corte di giustizia offre, in questo contesto, alcune indicazioni specifiche.

Nella sentenza Socha (C-149/16), ad esempio, si ritiene che l'avviso di modifica il quale prevede che ai fini della determinazione della data di esigibilità del premio di anzianità saranno “da lì in poi presi in considerazione soltanto i periodi di lavoro compiuti presso il datore di lavoro” non può essere considerato come comportante una modifica sostanziale del contratto di lavoro.

Nella sentenza Puyante Rivera (C- 422/14), si ritiene che una riduzione  pari al 25% della retribuzione fissa integra una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto di lavoro; mentre nella sentenza Ciupa (C- 429/16) si afferma che la riduzione temporanea del 15% dell'importo della retribuzione può non integrare gli estremi del “licenziamento indiretto”.

Al di là delle indicazioni specifiche, la Corte di giustizia fornisce una preziosa indicazione di carattere generale.

Il richiamo, nella sentenza Puyante Rivera (C-422/14) al principio pacta sunt servanda che, oltre a trovare preciso riscontro nel diritto spagnolo (20), costituisce un principio generale del diritto dell'Unione (21).

Il principio sancisce  l'immutabilità e intangibilità del vincolo contrattuale al fine di conferire stabilità e certezza all'assetto di interessi che le parti hanno posto a fondamento del contratto.

Questo principio, però, và bilanciato con un altro principio - rebus sic stantibus - che consente, a determinate condizioni, una revisione o modifica delle clausole contrattuali.

Indicazione importante sul piano del metodo che dovrà essere modulata nel contesto della casistica che sarà portata all'attenzione dei giudici.

La sentenza dell'11 luglio 2024, C-196/23. Il caso

La questione è stata sollevata dalla Corte superiore di giustizia della Catalogna.

Le ricorrenti erano impiegate in uno degli 8 stabilimenti appartenenti all'impresa di FC. Il 17 giugno 2020, esse sono state informate da FC della cessazione, con effetto a partire dal 17 luglio 2020, dei loro contratti di lavoro, dovuta al pensionamento di quest'ultimo. Tale pensionamento, che ha preso effetto il 3 agosto 2020, ha dato luogo alla cessazione dei 54 contratti di lavoro in corso negli 8 stabilimenti suddetti, tra i quali gli 8 contratti di lavoro delle ricorrenti nel procedimento principale.

Il 10 luglio 2020, queste ultime hanno proposto ricorso contro FC e il Fogasa dinanzi allo Juzgado de lo Social de Barcelona (Tribunale del lavoro di Barcellona, Spagna) che ha respinto il ricorso.

La Corte superiore di giustizia della Catalogna, adita in sede di appello, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se sia conforme all'articolo 2 della direttiva [98/59] una legislazione, come quella spagnola, che, conformemente all'articolo 49, paragrafo 1, lettera [g)], dello [Statuto dei lavoratori], non prevede un periodo di consultazioni per i casi di cessazione di contratti di lavoro in numero superiore a quello previsto dall'articolo 1 della citata direttiva, a causa del pensionamento del datore di lavoro, persona fisica.

 2) In caso di risposta negativa a tale questione, se la direttiva 98/59 abbia un effetto orizzontale diretto tra i privati».

Il problema se le cessazioni di contratti di lavoro dovute al pensionamento del datore di lavoro rientri nella nozione di licenziamento collettivo

Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l'articolo 1, paragrafo 1, e l'articolo 2 della direttiva 98/59, letti in combinato disposto, debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale in forza della quale la cessazione dei contratti di lavoro di un numero di lavoratori superiore a quello previsto da tale articolo 1, paragrafo 1, a causa del pensionamento del datore di lavoro, non è qualificata come «licenziamento collettivo» e, quindi, non richiede l'informazione e la consultazione dei rappresentanti dei lavoratori previste da detto articolo 2.

La Corte di giustizia, in primo luogo, ricorda che “anche se la direttiva 98/59 non definisce espressamente la nozione di «licenziamento», deriva da costante giurisprudenza che, in considerazione dell'obiettivo da essa perseguito e del contesto in cui si inserisce l'articolo 1, paragrafo 1, lettera a), della stessa, tale nozione, quale nozione autonoma del diritto dell'Unione che deve essere oggetto di interpretazione uniforme e non può essere definita mediante un rinvio alle legislazioni degli Stati membri, deve essere interpretata nel senso che comprende qualsiasi cessazione del contratto di lavoro non voluta dal lavoratore e, quindi, senza il suo consenso (22) e che tale nozione non può essere interpretata in modo restrittivo.

La Corte, in secondo luogo, ribadisce che nella  sentenza del 10 dicembre 2009, Rodríguez Mayor e a. (C‑323/08),  ha dichiarato che l'articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 98/59 deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa nazionale in base alla quale la cessazione dei contratti di lavoro di più lavoratori a causa del decesso del datore di lavoro, non è qualificata come «licenziamento collettivo» e non è soggetta alle disposizioni nazionali che attuano tale direttiva.

Precisa, tuttavia che, come emerge dalla lettura di detta sentenza tale soluzione era dettata dalla “specificità della situazione” in cui il datore di lavoro persona fisica è deceduto.

 Di conseguenza, qualsiasi normativa nazionale o sua interpretazione che conduca a ritenere che la cessazione dei contratti di lavoro dovuta al pensionamento del datore di lavoro persona fisica non costituisca un «licenziamento», ai sensi della direttiva 98/59, altererebbe l'ambito di applicazione di detta direttiva, privandola così della sua piena efficacia.

Alla luce di tali considerazione la Corte precisa «che l'articolo 1, paragrafo 1, e l'articolo 2 della direttiva 98/59, letti in combinato disposto, devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale in forza della quale la cessazione dei contratti di lavoro di un numero di lavoratori superiore a quello previsto da detto articolo 1, paragrafo 1, dovuta al pensionamento del datore di lavoro, non è qualificata come «licenziamento collettivo» e non richiede, quindi, l'informazione e la consultazione dei rappresentanti dei lavoratori previste da detto articolo 2».

Il rapporto tra direttive e principi generali

Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il diritto dell'Unione debba essere interpretato nel senso che esso impone al giudice nazionale chiamato a decidere su una controversia tra privati di disapplicare una normativa nazionale in caso di contrasto di quest'ultima con le disposizioni dell'articolo 1, paragrafo 1, e dell'articolo 2 della direttiva 98/59.

La Corte di giustizia dopo avere ribadito l'importanza della c.d. interpretazione conforme (punti da 41 a 44, fermo restando che spetta al giudice nazionale pronunciarsi sull'interpretazione del diritto nazionale) e la mancanza di un'efficacia diretta orizzontale della direttiva 98/59 si pone il problema se la “disapplicazione” richiesta possa derivare dagli artt. 27 e 30 della Carta di Nizza.

Per quanto riguarda, da una parte, l'articolo 27 della Carta, intitolato «Diritto dei lavoratori all'informazione e alla consultazione nell'ambito dell'impresa», secondo cui ai lavoratori devono essere garantite, a diversi livelli, l'informazione e la consultazione nei casi e alle condizioni previsti dal diritto dell'Unione nonché dalle legislazioni e dalle prassi nazionali, la Corte richiama la famosa sentenza Association de médiation sociale  (C‑176/12) dove la Corte «ha giudicato che risulta chiaramente dal testo di tale disposizione, che, per produrre pienamente i suoi effetti, essa deve essere precisata mediante disposizioni del diritto dell'Unione o del diritto nazionale».

Pertanto, la Corte ribadisce che l'articolo 27 della Carta non può essere invocato, in quanto tale, in una controversia tra privati come quella oggetto del procedimento principale, al fine di concludere che disposizioni nazionali non conformi all'articolo 1, paragrafo 1, e all'articolo 2 della direttiva 98/59 devono essere disapplicate.

Affermazione che  «non può essere infirmata da una lettura dell'articolo 27 della Carta in combinazione con l'articolo 1, paragrafo 1, e con l'articolo 2 della direttiva 98/59, posto che, non essendo detto articolo 27 di per sé sufficiente per conferire ai singoli un diritto invocabile in quanto tale, a diverso risultato non porterebbe neppure una sua lettura in combinato disposto con le norme della direttiva 98/59.

Per quanto riguarda, dall'altra parte, l'articolo 30 della Carta, a norma del quale ogni lavoratore ha diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato, conformemente al diritto dell'Unione e alle legislazioni e prassi nazionali, la Corte precisa che analoghe considerazioni “devono, mutatis mutandis, condurre a una conclusione analoga a quella che risulta da tali punti con riferimento all'articolo 27 della Carta».

Infatti, «risulta chiaramente dal tenore letterale dell'articolo 30 della Carta che quest'ultima disposizione, per produrre pienamente i suoi effetti, deve essere precisata da disposizioni del diritto dell'Unione o del diritto nazionale».

Pertanto, conclude la Corte, analogamente a quanto esposto a proposito dell'articolo 27 della Carta, «l'articolo 30 di quest'ultima non può essere invocato, come tale o in combinato disposto con l'articolo 1, paragrafo 1, e con l'articolo 2 della direttiva 98/59, in una controversia tra privati come quella oggetto del procedimento principale, allo scopo di concludere che le disposizioni nazionali non conformi a tali disposizioni della direttiva 98/59 devono essere disapplicate».

Precisazione, quest'ultima, che parte della dottrina italiana patrocinava da tempo (23).

Sul tema si rimanda a:

CGUE, sez. VII, 5 ottobre 2023, n. 496 Licenziamenti collettivi e diritto di informazione e consultazione dei lavoratori: la questione della mancata designazione dei rappresentanti dei lavoratori, di M. Talarico.

CGUE, sez. III, 2 giugno 2022, n. 589Licenziamenti collettivi e obbligo di informazione e consultazione dei rappresentanti dei lavoratori: i chiarimenti della CGUE e il “licenziamento indiretto”.

CGUE, sez. III, 16 novembre 2023, n. 196 Licenziamenti collettivi: viola la Direttiva UE in materia una legge nazionale che non prevede la consultazione dei lavoratori in caso di pensionamento del datore, di R. Cosio.

Note

(1) Sul tema dei licenziamenti collettivi tra  ordinamento nazionale e quello dell'Unione europea si veda, tra i contributi più recenti,  R. COSIO, F. CURCURUTO e R. FOGLIA, Il licenziamento collettivo in Italia nel quadro del diritto dell'Unione europea, Milano, 2016. Per il diritto comparato si veda R. COSIO, F. CURCURUTO, E. DI CERBO, G. MAMMONE, Collective Dismissal in the European Union. A comparative Analiysis, 2017. Più in generale  si veda Il diritto del lavoro dell'unione europea, a cura di R. COSIO, F. CURCURUTO, V. DI CERBO e G.  MAMMONE, Milano, 2023.

(2) Art. 6 che la Corte non ritiene rilevante nel caso di specie, si veda il punto 45 della motivazione.

(3) CGUE, sentenza del 17 marzo 2021, C‑652/19,  punto 40. Sul tema si veda L. AZZARINI, Licenziamenti collettivi: procedura e accordo sindacale, in Il diritto del lavoro nell'ordinamento complesso (a cura di R. COSIO), Milano, 2023, p. 167-194.

(4) CGUE, sentenza del 16 luglio 2009, Mono Car Styling, C‑12/08, punto 38.

(5) Cfr. CGUE, 8 giugno 1994, Commissione/Regno Unito, C‑383/92, punto 21.

(6) CGUE, 8 giugno 1994, Commissione/Regno Unito, C‑383/92,  punto 23.

(7) CGUE, 8 giugno 1994, Commissione/Regno Unito, C-383/92, punto 25.

(8) La Corte di giustizia ha cura di precisare che la normativa rumena conferisce ai lavoratori il diritto di designare rappresentanti e che “contrariamente, a quanto avveniva nella causa che ha dato luogo alla sentenza dell'8 giugno 1994, Commissione/Regno Unito, C-383/92, secondo tale normativa, un datore di lavoro non può opporsi all'esistenza di una rappresentanza dei lavoratori”.

(9) Sul rinvio pregiudiziale si veda, in generale, F. FERRARO, C. IANNONE (a cura di), Il rinvio pregiudiziale, Torino, 2020; R CICCONE, Il rinvio pregiudiziale e le basi del sistema giuridico comunitario, Napoli, 2011; E D'ALESSANDRO, Il procedimento pregiudiziale interpretativo dinanzi alla Corte di giustizia, Torino, 2012.

(10) CGUE, 19 marzo 1964, C-75/63.

(11) CGUE, 16 ottobre 2003, C-318/98, punto 32.

(12) Cass., ord. 20 luglio 2020, n. 15401, in Lav. giur., n. 2/2021, 163-173,  con nota di F. NARDELLI. Per la dottrina si veda F. LIMENA, I licenziamenti collettivi indiretti entrano nella fattispecie dei licenziamenti collettivi: il revirement della Cassazione, in  Lav. giur., n. 6/2021, p. 600-604.

(13) Edita in Labor, 3 agosto 2020.

(14) Occorre, peraltro, richiamare la sentenza della Cassazione n. 15118/2021 che, pur richiamando (in modo contraddittorio) l'ordinanza n. 15401, ha escluso dal numero minimo dei cinque licenziamenti (per integrare la fattispecie del licenziamento collettivo) “ipotesi risolutorie del rapporto di lavoro, ancorché riferibili all'iniziativa del datore i lavoro”. Sentenza annotata su Lav. giur., n. 2/2022, 138-143, da F. LIMENA.

(15) CGUE, 11 novembre 2015, C-422/15, punti da 50 a 54. In dottrina si veda A. RIEFOLI, I presupposti di applicabilità della disciplina sui licenziamenti collettivi al vaglio della Corte di giustizia, Riv. it. dir. lav., 2016, III, 699. Per una rilettura critica della sentenza si veda G. GAUDIO, Licenziamenti collettivi: la nozione di licenziamento alla ricerca di una sua identità, in Arg. dir. lav., 2016, n. 2, 401.

(16) Cfr. V. A. POSO, Le risoluzioni consensuali del rapporto lavoro che derivano da modifiche unilaterali sostanziali di condizioni essenziali del contratto di lavoro? Tu chiamale se vuoi …licenziamenti, Labor, 3 agosto 2020. In particolare,  R. COSIO (La nozione di licenziamento collettivo. Le precisazioni della Corte di giustizia, in Lav. giur., n. 5/2021, 502 ss.) rileva che la risposta al secondo quesito nella sentenza Puyante Rivera conferma l'orientamento di legittimità (costante dal 2000 al 2020) secondo cui  per assimilare ad un licenziamento altre cessazioni di rapporti di lavoro occorre che i licenziamenti (da intendersi in senso stretto) siano almeno cinque.

(17) CGUE, C-55/02, punti da 49 a 51.

(18) Sulla c.d prassi implementativa come questione interpretativa si veda M. BARCELLONA, Norme e prassi giuridiche, Modena, 2022, 33 ss.

(19) Punto 51 della sentenza della CGUE C-422/15.

(20) Art. 1258 Codice civile spagnolo.

(21) CGUE, 16 giugno 1998, C-162/96, punto 49.

(22) Cfr. sentenza dell'11 novembre 2015, Pujante Rivera, C‑422/14, punto 48.

(23) R. COSIO, F. CURCURUTO e R. FOGLIA, Il licenziamento collettivo in Italia nel quadro del diritto dell'Unione europea, cit., 29 ss. Sul rapporto tra direttive e principi generali si veda R. COSIO e F.ROSELLI, Libertà d'impresa e tutela dl lavoro,  Milano, 2023, p. 261 ss.