La risoluzione per inadempimento: postille

21 Ottobre 2024

Pubblichiamo il secondo focus dedicato ai temi trattati al convegno di Roma “I contratti in generale: tenuta e tensioni di una disciplina”. L'argomento approfondito dai relatori riguarda la risoluzione per inadempimento. L'Avvocato Marta Mariolina Mollicone riepiloga le questioni affrontate ricollegandole, ove necessario, al precedente focus pubblicato qui.

Cenni storici

Al momento dell’entrata in vigore del codice civile la materia della risoluzione per inadempimento non veniva particolarmente attenzionata. Al tempo pervadeva l’idea (sostenuta in primis dal Prof. Giuseppe Auletta) che l’istituto consistesse in una sanzione afflittiva, comminata dalla legge e applicata dal giudice, per reprimere l’inadempimento di uno dei contraenti.

Accanto a questa pietra miliare della nostra riflessione scientifica, poi, c’era il mondo giuridico francese all’interno del quale, almeno fino al 2016, dominava l’idea secondo cui il contratto desse il diritto all’adempimento, quindi all’esecuzione, ma non il diritto alla risoluzione dal momento che non si riconosceva l’esistenza di quest’ultimo. La risoluzione era, perciò, una forma rimediale eteronoma, affidata all’intervento di un uomo, il giudice, dalla legge.

Con l’avvento del codice civile il tema della risoluzione prestò molto il fianco alla commercializzazione del diritto privato che a sua volta risentiva, profondamente, del pensiero di Cesare Vivante e, conseguentemente, il tutto si tradusse nell’introduzione nel citato codice dei casi di risoluzione di diritto.

Accanto alla risoluzione giudiziale vennero, quindi, introdotte la diffida ad adempiere, la clausola risolutiva espressa ed il termine essenziale oltre che tutta una serie di congegni risolutori speciali collocati qua e là nelle varie figure contrattuali.

Orbene, nonostante le ventate innovative provenienti dal diritto commerciale, dal momento che il substrato sociale e culturale non era mutato, dette fattispecie vennero qualificate per molto tempo come eccezionali e, pertanto, non avrebbero potuto essere in alcun modo alterate dall’autonomia negoziale delle parti.

Le «nuove» ipotesi di risoluzione

Le cose iniziarono a cambiare con l’avanzare di una pressione giuridica proveniente dal mondo giuridico tedesco e, più specificamente, dal § 323 del BGB che ha influenzato, prima, la Convenzione di Vienna, poi tutta una serie di progetti di soft law (PECL, Principi Unidroit) i quali tutti spostano l’asse della risoluzione per inadempimento dalla dimensione giudiziale e, quindi, dall’intervento costitutivo del giudice con sentenza costitutiva, alla dimensione stragiudiziale, quindi al governo autonomo delle parti del meccanismo risolutorio. La letteratura e l’esperienza applicativa, poi, seguirono questa linea nel senso di moltiplicare le ipotesi di risoluzione non riconducibili esattamente ad alcun caso specificamente previsto dal codice.

Si pensi alle promesse condizionate risolutivamente (in questo caso al mancato compimento di una determinata prestazione che non è dedotta in obbligazione il contratto si risolve) che esprimono la cd. corrispettività condizionale.

Ancora, si pensi all'ipotesi di una vera e propria condizione risolutiva di inadempimento dedotta in contratto. Il fare diventa obbligatorio ma l’inadempimento del fare obbligatorio determina la risoluzione del contratto.

Altri congegni risolutori sono stati, poi, elaborati dall’esperienza giurisprudenziale. Si pensi alla eccezione di risoluzione, eccezione perentoria atipica che si aggiungerebbe alle eccezioni dilatorie tipicamente previste.

Ancora, si pensi all’ipotesi della dichiarazione risolutoria immediatamente efficace, senza cioè il meccanismo della diffida e concessione del termine per adempiere. Tale istituto – di ispirazione sempre francese – ben opera là dove manca ogni interesse alla percezione della prestazione da parte del contraente inadempiente.

Il fondamento

I casi di risoluzione del contratto, perciò, sono numerosi e vari (e qui se ne sono solo accennati alcuni e trascurati altri).

Di talché, appare difficile, se non impossibile, tracciarne un tratto comune. Eppure almeno su un aspetto tutti convergono ovvero il fondamento dell’istituto. Tuttavia, è proprio la consistenza di quest’ultimo che viene messa in dubbio.

Secondo l’orientamento maggioritario (uno per molti si v. F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, XXI ed., Napoli, 2024, p. 1023 ss.) si può parlare di risolubilità del contratto ove questo sia stato concluso validamente ma non può produrre effetti per circostanze sopravvenute. In altre parole, il programma contrattuale non è più in grado di svolgere la propria funzione che è quella di assicurare il soddisfacimento degli interessi dei contraenti composti nel regolamento. Tale sopravvenuta inidoneità può essere causata dal comportamento delle parti ma può anche dipendere da eventi non imputabili e non prevedibili. La risoluzione, dunque, mira a riequilibrare la posizione economico-patrimoniale dei contraenti con effetto liberatorio ex nunc e effetto recuperatorio ex tunc delle prestazioni eseguite, eliminando non il contratto, ma piuttosto i suoi effetti. Si ritiene, dunque, che la risoluzione incida non tanto sull’atto quanto sul rapporto, cioè sulla situazione giuridica che consegue alla stipula del contratto.

Di contrario avviso è un orientamento minoritario di cui fa parte il Prof. Cataudella il quale rappresenta la risolubilità per inadempimento del contratto come un problema non già funzionale ma strutturale del contratto. Più dettagliatamente si tratterebbe di un problema di difetto della causa in concreto e, quindi, un problema di validità del contratto.

Orbene, tale ultima visione appare ai più criticabile sol si consideri che un contratto risolubile per inadempimento è si una situazione nella quale c’è un malfunzionamento della regola contrattuale tuttavia, a fronte di questa patologia, sussiste anche la possibilità di pretendere l’adempimento. Allora, se il contraente può pretendere l’adempimento non si comprende come possa non esistere la causa in concreto. Inoltre, quand’anche si preferisse la risoluzione del contratto all’adempimento, è necessario soffermarsi sull’interesse tipico che spinge a preferire la risoluzione ovvero la possibilità di reperire sul mercato una prestazione sostitutiva rispetto a quella inadempiuta. E questo è indice del funzionamento della regola contrattuale perché, idealmente, si utilizza lo stesso contratto ma il contraente è cambiato.

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