Giustizia riparativa

Fabio Fiorentin
30 Ottobre 2024

Il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. Riforma Cartabia) introduce, per la prima volta nel nostro ordinamento, una disciplina organica della giustizia riparativa. Pubblichiamo la nuova bussola dedicata a questo importante tema.

La riforma della giustizia riparativa

In attuazione della delega contenuta nell'art. 1, comma 18, lett. a), della legge n. 134/2021 (c.d. “riforma Cartabia”), il d.lgs. n. 150/2022 introduce una disciplina organica della giustizia riparativa.

La nuova disciplina si ispira ai consolidati princìpi sovranazionali disciplinano la materia e, in particolare:

• alla direttiva 2012/29/UE del 25 ottobre 2012, che ha introdotto norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato;

• alla raccomandazione del Consiglio d'Europa CM/Rec (2018)8, adottata il 3 ottobre 2018;

• ai principi base sull'uso dei programmi di giustizia riparativa in ambito penale, elaborati dalle Nazioni Unite nel 2002 (United Nations, “Basic Principles on the Use of Restorative Justice Programmes in Criminal Matters”, ECOSOC Res. 12/2002).

La natura della giustizia riparativa

La Cassazione, con la sentenza 24343 depositata il 20 giugno, pronunciandosi sulla disciplina introdotta dalla riforma “Cartabia” (decreto legislativo n. 150/2022), ha ribadito alcuni “paletti”, già affermati in precedenti pronunce, che rischiano di frenare ancora l'avvio dei programmi di giustizia riparativa, già in stand-by a causa dei ritardi organizzativi accumulati sul fronte della istituzione dei Centri per la giustizia riparativa e dell'accreditamento dei mediatori.

Secondo la S.C., la giustizia riparativa non ha natura giurisdizionale: si pone, piuttosto, in chiave di complementarietà “integrativa” del procedimento penale, nel quale si può innestare in qualsiasi stato e grado si trovi. I programmi riparativi e le attività ad essi connesse appartengono, dunque, non al procedimento penale, ma “all'ordine di un servizio pubblico di cura della relazione tra persone, non diversamente da altri servizi di cura relazionale ormai diffusi in diversi settori della sanità e del sociale”.

Ad avviso della Suprema Corte, poiché l'oggetto e la finalità del percorso riparativo sono essenzialmente diversi da quelli del processo penale, non possono in entrambi operare gli stessi princìpi. Anzi, l'avvio del percorso di restorative justice può addirittura prescindere dalla sussistenza di un procedimento penale in corso. 

Ciò comporta - secondo i giudici di legittimità - che, all'interno del procedimento riparativo, operino regole peculiari di norma non mutuabili da quelle del processo penale e, anzi, con esse spesso incompatibili: volontarietà, equa considerazione degli interessi tra autore e vittima, consensualità, riservatezza, segretezza.

Da tali premesse, la Cassazione - consolidando una linea interpretativa già affermata in precedenti pronunce (si veda Cassazione 14 febbraio 2024, n.6595) - fa derivare una serie di ricadute sistematiche di notevole impatto operativo:

  • è riaffermata la natura discrezionale, non gravata da alcun onere motivazionale, della decisione dell'autorità giudiziaria sull'invio della parte a un centro di mediazione (si veda anche Cassazione 25367 del 9 maggio 2023) e la conseguente non impugnabilità del provvedimento con il quale il giudice non accolga l'istanza della parte di invio a un Centro di giustizia riparativa, respingendo anche la domanda di sospensione del processo;
  • in secondo luogo, la Cassazione precisa che la giustizia riparativa non può essere richiesta alla Corte stessa né in sede di legittimità si può invocare la sospensione del procedimento penale pendente per consentire all'imputato ricorrente di partecipare ai percorsi riparativi. Durante il giudizio di legittimità, dunque, le parti dovranno rivolgere la relativa istanza al giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (articolo 45-ter, disposizioni di attuazione del Codice di procedura penale), ovvero potranno attivarsi nella fase esecutiva, a valle del passaggio in giudicato della sentenza di condanna (così anche Cassazione 16704 del 26 marzo 2024).

Alla giustizia riparativa si assegna dunque un ruolo che prima era affidato esclusivamente all'iniziativa del privato e che ora, con la disciplina organica della GR assurge, a servizio per i cittadini gestito dallo Stato.  Ma ciò viene fatto in chiave di complementarità, anziché di alternatività, rispetto alla risposta tradizionale al reato, consistente nel processo penale e nell'inflizione ed esecuzione della pena.

Princìpi e obiettivi della giustizia riparativa

La disciplina introdotta con la “riforma Cartabia”, fortemente ispirata alle coordinate europee, introduce una serie di definizioni di principi, obiettivi, organi e istituti rilevanti nei procedimenti di giustizia riparativa (artt. 42 e 43 d.lgs. n. 150/2022), così da porsi con chiarezza quale fonte ufficiale per concetti e dinamiche marcatamente innovative

per la realtà italiana.

L'art. 43 d.lgs. n. 150/2022 enuncia i princìpi fondamentali in materia di giustizia riparativa e, in particolare:

  • l'eguale considerazione dell'interesse della vittima e della persona indicata come autore dell'offesa;
  • il coinvolgimento della comunità nei programmi di giustizia riparativa, con proiezione, dunque, del percorso riparativo in una dimensione sociale che trascende il rapporto esclusivo tra autore e vittima;
  • la riservatezza sulle dichiarazioni e sulle attività svolte nel corso dei programmi di giustizia riparativa, così da creare uno spazio di confronto libero e protetto dalle garanzie della confidenzialità;
  • la “ragionevolezza” e la “proporzionalità” degli eventuali esiti riparativi raggiunti;
  • l'indipendenza e l'equiprossimità dei mediatori rispetto ai partecipanti ai programmi di

giustizia riparativa.

Ai programmi riparativi il legislatore garantisce il tempo necessario allo svolgimento e al possibile esito, così portando – in linea di principio – alla tendenziale, reciproca autonomia tra il processo penale e il procedimento di giustizia riparativa, anche se si prevede che il giudice penale abbia una costante interlocuzione con i mediatori impegnati nel programma di giustizia riparativa, dai quali riceve periodi aggiornamenti, e - per i soli reati perseguibili a querela rimettibile - si contempla un meccanismo sospensivo del procedimento penale in attesa dell'esito del percorso riparativo (art. 129-bis c.p.p.).

Gli obiettivi cui tende la giustizia riparativa si identificano:

  • nel riconoscimento della vittima del reato
  • nella responsabilizzazione della persona indicata come autore dell'offesa (intesa, quest'ultima, nella dimensione propria della giustizia riparativa e non in senso

strettamente processuale quale assunzione di responsabilità per il reato);

  • nella ricostituzione dei legami con la comunità (art. 43, comma 2, d.lgs. n. n. 150/2022).

Si tratta di principi e obiettivi che valgono anche per l'ordinamento penitenziario minorile

(d.lgs. n. 121/2018), che viene adeguato ai principi della giustizia riparativa introdotti con la “riforma Cartabia” con specifiche disposizioni relative all'accesso ai programmi di giustizia riparativa a favore dei minorenni (art. 84 d.lgs. n. 150/2022).

Le definizioni normative

La legge delega (l. n. 134/2021) prescrive espressamente l'introduzione di una serie di definizioni normative dei soggetti e degli istituti protagonisti delle procedure riparative, così da colmare una lacuna del nostro ordinamento, carente di una definizione unanimemente condivisa di giustizia riparativa, con l'obiettivo di porre fine ad un contrasto dottrinale tra le posizioni di quanti concepiscono la restorative justice con riferimento ai soggetti che ne sono i protagonisti principali (vittima, reo e comunità) e quelli che guardano, invece, ai contenuti della riparazione (restituzione, risarcimento, mediazione, riconciliazione, e così via). La questione non ha valenza meramente classificatoria, poiché comporta importanti ricadute anche sul piano applicativo, delineando attribuzioni, facoltà e obblighi dei soggetti coinvolti nei percorsi riparativi.

a) la vittima

La disciplina italiana della GR introduce la fondamentale definizione di “vittima” del reato, riproducendo letteralmente l'art. 1, comma 1, lett. a), alinea i) e ii) della direttiva 2012/29/UE e identificando la vittima come la «persona fisica che ha subìto direttamente dal reato qualunque danno, patrimoniale o non patrimoniale, nonché il familiare della persona fisica la cui morte è stata causata dal reato e che ha subito un danno in conseguenza della morte di tale persona» (art. 42 d.lgs. n. 150/2022). In tale definizione rientra, di regola, la persona offesa dal reato ma non vi è totale sovrapposizione tra i due concetti, poiché altro è la “vittima” quale figura legata, sotto il profilo soggettivo, all'individualità della persona fisica colpita dal reato, altro la persona offesa dal reato, indentificata nel soggetto titolare del bene giuridico leso dalla condotta delittuosa. A sua volta, la vittima viene individuata con riferimento al pregiudizio subìto (che consiste nel danno economico, fisico, mentale ed emotivo subito dall'offeso). Dal punto di vista soggettivo, nello status di “vittima” rientra anche la parte di una unione civile tra persone dello stesso sesso che abbia sofferto un danno in conseguenza della morte del partner, derivata da reato, che viene sotto tale aspetto equiparato al familiare della persona deceduta. In linea di principio, alla nozione di vittima resta estranea, invece, la persona giuridica, sebbene la riforma estenda espressamente i diritti e le facoltà attribuiti dalla nuova disciplina alla “vittima del reato” anche al “soggetto giuridico offeso dal reato”, in tal modo aprendo alla partecipazione ai programmi di giustizia riparativa ad enti e associazioni rappresentative di interessi diffusi.

Allo status di vittima sono collegate alcune tutele, anche a prescindere dall'esistenza di un procedimento penale, in particolare sotto il profilo del diritto all'accesso ai servizi di assistenza, in consonanza con la fonte europea di principale riferimento (articolo 8, comma 5, direttiva 2012/29), che riconosce l'esistenza di una “vittima” per il solo fatto che sia stato commesso un reato, anche se la procedura per l'accertamento del fatto e della sua qualificazione giuridica non sia stata avviata e non sia stata presentata neppure una formale denuncia. Resta, tuttavia, ai fini dell'assistenza alla vittima – pur a prescindere dalla formale iscrizione della notizia di reato - il collegamento con un fatto astrattamente considerato come reato dall'ordinamento.

aa) la vittima “aspecifica”

L'art. 53, lett. a), d.lgs. n. 150/2022 prevede che ai programmi di giustizia riparativa possa chiedere di partecipare (o essere invitata) anche la persona offesa di un reato diverso da quello per cui si procede o per cui si avvia il programma stesso. Il modello italiano di giustizia riparativa prevede, in altri termini, percorsi riparativi con “vittima aspecifica”, giustificati sull'assunto che – come si legge nella Relazione illustrativa – «la vittima del reato differente non è un “sostituto” della vittima “diretta” e non è meno vittima di quest'ultima. Anche la vittima aspecifica, infatti, è vittima, ancorché vittima di un reato e non del reato.» La riforma estende, dunque, la platea dei soggetti coinvolti nei programmi di giustizia riparativa fino a comprendervi le ipotesi di persone offese di un

reato a carico di ignoti o i casi di rifiuto della vittima effettiva.

Le fonti internazionali contemplano, effettivamente, percorsi di natura riparativa con vittima aspecifica, definendoli, significativamente, “quasi-restorative programmes” proprio per il fatto che non coinvolgono la vittima effettiva del reato per cui si procede. (cfr. il già richiamato Handbook delle Nazioni Unite in materia di giustizia riparativa).

La giurisprudenza pare accogliere con un certo scetticismo i programmi con vittima aspecifica (Cass. pen., sez. I, 23 marzo 2021, n. 19818) e una parte della dottrina esprime ampie riserve, osservando che ben difficilmente si può parlare di giustizia riparativa per le vittime qualora si faccia ricorso alle vittime c.d. “aspecifiche” o “surrogate”. Questi istituti ripropongono una dinamica “sostitutiva” tipica della giustizia tradizionale – dove il ruolo di offeso è sostituito dall'accusa pubblica – e rivelano una cultura fondamentalmente “reocentrica”, che contrasta con la filosofia riparativa. La vittima aspecifica o surrogata, infatti, non fa che confermare – secondo tali posizioni – la vittima nel suo ruolo più antico e tragico, proprio della dinamica sostitutiva del sacrificio (M. Bouchard-F. Fiorentin, Sulla giustizia riparativa, in questionegiustizia.it, 23 novembre 2021).

b) la persona indicata come autore dell'offesa: si tratta di una nozione molto ampia, che comprende il soggetto accusato di un reato fino alla condanna definitiva, ma anche la persona sottoposta a misura di sicurezza e colui nei cui confronti è stata emessa una sentenza di non luogo a procedere o non doversi procedere, per difetto della condizione di procedibilità, anche ai sensi dell'articolo 344-bis c.p.p. o per intervenuta causa estintiva, ed anche un ente nei casi di responsabilità di cui al d.lgs. n. 231/2001;

c) familiare: nella nozione legale rientra non solo il familiare della vittima del reato, ma anche il familiare della persona indicata come autore dell'offesa. Nella prospettiva della giustizia riparativa, infatti, vige il principio di eguale considerazione dei due principali protagonisti della vicenda penale e (di conseguenza) del programma riparativo. Inoltre, va ricordato che i familiari – individuati con riferimento non tanto al requisito della convivenza quanto con riguardo all'accertata affectio familiaris, quale “punto di contatto emotivo e sentimentale” che afferisce al valore costituzionale dell'integrità morale della persona (art. 2 Cost.) e all'intangibilità della sfera affettiva della stessa – sono soggetti tipici di alcuni importanti programmi di giustizia riparativa, per esempio le family conference e che, in generale, possono partecipare a tutti i programmi;

d) esito riparativo: la relativa nozione, ispirata al restorative outcome di matrice internazionale, può essere “materiale” ovvero “simbolica”. Con una previsione innovativa, la riforma prevede che la valutazione giudiziale dell'idoneità dell'accordo riparativo sia espressa in rapporto al grado di “riconoscimento reciproco” intervenuto tra le parti e alla possibilità di ricostruire la relazione tra le stesse;

e) servizi di giustizia riparativa: il riferimento comprende tutte le attività relative alla predisposizione, al coordinamento, alla gestione e alla erogazione dei programmi di giustizia riparativa;

f) Centri per la giustizia riparativa: la definizione identifica la struttura pubblica che organizza, gestisce ed eroga i programmi di giustizia riparativa;

g) il mediatore esperto in programmi di giustizia riparativa: figura centrale della giustizia riparativa è il “mediatore”, soggetto posto in posizione di “equiprossimità” rispetto ai partecipanti (“in mezzo” alle parti, in una condizione di orizzontale parità, “accanto” ai partecipanti del progetto riparativo), tale anche nella denominazione, che supera quella di “facilitatore” propria delle fonti europee. La figura del mediatore esperto in programmi di giustizia riparativa non compare tra le definizioni legali. Si tratta di un'omissione voluta perché il legislatore ha ritenuto superfluo inserire una specifica definizione sia alla luce della nozione di «terzo imparziale, adeguatamente formato», che già compare nella definizione legale di giustizia riparativa, sia in virtù delle numerose previsioni contenute nel decreto attuativo dedicate proprio a tale centrale soggetto. A livello di fonte secondaria, una definizione è stata offerta – in sede attuativa – col Dm giustizia 9 giugno 2023, il cui articolo 1, lettera o), definisce «mediatore esperto» il «mediatore esperto in programmi di giustizia riparativa, qualificazione conseguita in seguito al superamento della prova finale di cui all'articolo 59, comma 9, del decreto legislativo».

L'esclusione dalla giustizia riparativa per i detenuti sottoposti al regime detentivo speciale del “41-bis”

Con il decreto-legge 4 luglio 2024, n. 92, recante Misure urgenti in materia penitenziaria, di giustizia civile e penale e di personale del Ministero della giustizia (GU n.155 del 4-7-2024) convertito dalla legge 8 agosto 2024, n. 112, pubblicata nella G.U. n. 186 del 9 agosto 2024), è stata integrata la disciplina del regime detentivo speciale di cui all'art. 41-bis ord. penit.

Precisamente, con l'art. 7, d.l. n. 92/24, viene introdotta alla lettera f-bis, dell'evocato art. 41-bis ord. penit., una nuova limitazione che comporta, per quanti sono sottoposti al regime detentivo speciale, l'esclusione dall'accesso ai programmi di giustizia riparativa.

La previsione in commento rappresenta un'ulteriore stretta al regime detentivo speciale, dopo il divieto espresso di accesso ai benefici penitenziari introdotto dal d.l.162/22 con la previsione, contenuta nell'art.1, comma 1, lett. a), n.3) che, integrando il comma 2 dell'art. 4-bis ord. penit., stabilisce che i benefìci di cui al comma 1 della medesima disposizione penitenziaria possono essere concessi al detenuto o internato sottoposto a regime speciale di detenzione previsto dall'articolo 41-bis l. n. 354/1975 solamente dopo che il provvedimento applicativo di tale regime speciale sia stato revocato o non prorogato.

Il divieto introdotto dall'art. 7 del decreto-legge in esame si pone in oggettivo contrasto con la previsione dell'art. 44, comma 1, d.lgs. n. 150/2022 che, nell'ambito della disciplina organica della giustizia riparativa, testualmente prevede, tra i princìpi sull'accesso, che: “I programmi di giustizia riparativa disciplinati dal presente decreto sono accessibili senza preclusioni in relazione alla fattispecie di reato o alla sua gravità”, così attuando pienamente la direttiva di delega contenuta nell'art. 1, comma 18, lett. c), l. n. 143/2021.

Ed anche nell'ottica della pena rieducativa, la previsione in esame non si inquadra nella prospettiva costituzionale: la Consulta – con una storica pronuncia – aveva, infatti, chiarito che la gravità del reato o le esigenze di prevenzione generale  «non possono, nella fase di esecuzione della pena, operare in chiave distonica rispetto all'imperativo costituzionale della funzione rieducativa della pena», che guarda «all'obiettivo ultimo del reinserimento sociale del condannato nella società, e da declinarsi nella fase esecutiva come necessità di costante valorizzazione, da parte del legislatore prima e del giudice poi, dei progressi compiuti dal singolo condannato durante l'intero arco di espiazione della pena» (C. cost., 11 luglio 2018, n. 149).

La previsione, in disparte i possibili tratti di incostituzionalità sotto il profilo degli art. 3 e 27 della Carta fondamentale, appare comunque superflua, tenuto conto che già i filtri approntati dal legislatore ai fini dell'autorizzazione dell'autorità giudiziaria all'invio presso un Centro per la giustizia riparativa (art.129-bis c.p.p.) si appalesano sufficienti e idonei a evitare ogni possibile rischio per le vittime e per le esigenze processuali, rendendo del tutto ipotetico, già a normativa antevigente, che un detenuto o internato sottoposto al “41-bis” potesse essere inviato ad un Centro.

La previsione esplicita del divieto di accesso alla GR voluta dal decreto di urgenza appare, dunque, più un'affermazione di principio voluta per dare un segnale “politico” di intransigente rigore nella difesa del regime detentivo speciale che una norma sorretta da una effettiva necessità. 

Al netto di tale considerazione, emerge comunque il dato preoccupante che il regime detentivo speciale, imposto con decreto dell'autorità amministrativa (decreto del Ministro della giustizia) finisce per imporsi senza alcun contemperamento di contrapposti interessi – anche pubblicistici – sulla possibilità di accesso alla giustizia riparativa che, per disposto di legge (art. 129-bis c.p.p.) è – o, a questo punto, dovrebbe essere – riservato alla valutazione dell'autorità giudiziaria. Non certo una buona notizia per quanti hanno a cuore il principio della reciproca separazione e autonomia tra i poteri dello Stato.

Da tale prospettiva la riforma, con una paradossale eterogenesi dei fini, invece di rafforzare l'istituto del “carcere duro” ne mina ulteriormente la compatibilità sistematica e costituzionale, facendo emergere, anche con riguardo alla giustizia riparativa, quella caratteristica “anomalia di una misura disposta con provvedimento ministeriale che incide a tal punto sulla vita dei detenuti da determinare una mutazione del volto della pena. Se la Corte costituzionale nella sentenza n. 32/2020 ha chiarito che l'esecuzione della pena detentiva in carcere o attraverso percorsi extra-murari cambia qualitativamente la pena, allo stesso modo, in una prospettiva opposta, anche le pesanti sospensioni delle regole di trattamento che l'art. 41-bis impone, determinano compressione della libertà personale così forte da modificare qualitativamente la pena. Ne consegue che dovrebbe essere assicurata la garanzia della riserva di giurisdizione, non solo in fase di reclamo, ma già in sede di applicazione del regime speciale” (A. Della Bella, Il “carcere duro” tra esigenze di prevenzione e tutela dei diritti fondamentali, 2016, 409 ss.).

Riferimenti

  • M. Bouchard – F. Fiorentin, La Giustizia riparativa, Giuffré-Francis Lefebvre, Milano, 2024;
  • F. Fiorentin, Decreto “carcere sicuro”: tutte le novità - d.l. 92/2024 (G.U. 4 luglio 2024 n.155) conv. in l. 112/2024 (gu 9 agosto 2024 n. 186), Giuffré-Francis Lefebvre, Milano, 2024.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario