Definizione di convivenza ai fini della revoca dell’assegno divorzile

La Redazione
22 Ottobre 2024

La Corte esamina l'istanza di ricorso basata sulla definizione legale di "convivenza" e valuta la formazione di una "famiglia di fatto" da parte dell’ex partner in relazione all'assegno divorzile. Il provvedimento sottolinea che la convivenza, anche se non stabile, può influenzare il quantum dell’assegno in presenza di un nuovo progetto di vita.

Un uomo lamentava il quantum dell’assegno dovuto all’ex moglie sulla base di una presunta nuova relazione e convivenza. Il tribunale di Velletri accoglieva il ricorso, mentre, in appello su reclamo dell’ex moglie l’assegno veniva ridotto.

Ricorre conseguentemente in cassazione il marito contestando la mancata considerazione di elementi chiave relativi alla convivenza.

L'istanza di ricorso si basa sui seguenti aspetti: la definizione di "convivenza" rispetto alla legge, l'interpretazione dell'art. 5 della legge 898/1970 e la valutazione della coerenza degli indizi per determinare l'esistenza di una "famiglia di fatto".

In primo luogo, la S.C. stabilisce che l'instaurazione di una nuova convivenza impatta sull'assegno divorzile, ma non causa automaticamente la perdita totale del diritto all'assegno compensativo. La convivenza, anche se non conduce a una coabitazione stabile, può essere considerata come fattore ostacolante per l'assegno, a condizione che sia provato un nuovo progetto di vita con il terzo partner. Sottolineano i giudici come l'accertamento della convivenza debba essere rigoroso e basato su elementi probatori precisi, valutando il progetto di vita con il nuovo partner e le contribuzioni economiche reciproche.

Nel caso di specie, la Corte d'appello ha esaminato la questione relativa alla formazione di una famiglia di fatto, evidenziando la mancanza di sufficienti elementi probatori che dimostrassero una convivenza stabile tra le parti. La sentenza ha considerato il complesso delle prove presentate, concludendo per l'assenza di una famiglia di fatto.

Si è ribadito che l'apprezzamento del giudice del merito sui requisiti di presunzione è incensurabile in sede di legittimità, purché la motivazione adottata sia congrua e rispetti i principi della prova per presunzioni.

In definitiva, i motivi di ricorso sono impropriamente diretti ad ottenere una rivisitazione del merito, pertanto, la Corte ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso e condannato il ricorrente alla rifusione delle spese processuali.

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