Firma digitale e file pdf.p7m

23 Ottobre 2024

Il file con estensione pdf.p7m è sufficiente per dimostrare la presenza della firma digitale?

Sulla questione la giurisprudenza di legittimità ha fornito una risposta positiva, accogliendo molti ricorsi aventi ad oggetto impugnazioni dichiarate (erroneamente) inammissibili perché sprovvisti di sottoscrizione digitale del difensore.

All'uopo, va precisato che la mancata presenza dell'annotazione (la c.d. coccarda) sull'atto non significa che lo stesso non sia stato sottoscritto digitalmente. In particolare le firme digitali possono essere di due tipi:

  • PAdES-BES o PAdES Part 3;
  • CAdES-BES.

Solo nel caso della firma PAdES il file presenterà una rappresentazione grafica della firma, mentre nel secondo caso (con la firma CAdES) il file presenterà un'estensione p7m e potrà essere aperto mediante la funzionalità di verifica offerto dallo stesso software di firma. Ma non avrà segni grafici di firma.

A rigore, dunque, la stampa di un documento digitale non è mai idonea a rivelare se esso stesso sia stato o meno sottoscritto digitalmente, da chi, quando e se la firma fosse valida al momento dell'apposizione.

La verifica dii esistenza e di validità della firma digitale può, infatti, essere effettuata solo con gli appositi software di firma (Dike, Firma Certa, Firma Ok Gold ecc.) o attraverso il software ministeriale. O può essere insita nell'estensione stessa del file (Cass. pen., sez. VI, n. 31767/2024).

Si è pertanto affermato in via generale che «un file pdf.p7m è notoriamente un file firmato digitalmente, che può essere un documento di testo, un foglio elettronico, un'immagine, una fattura elettronica o qualunque altro tipo di documento informatico sul quale, tramite un procedimento elettronico, è stata apposta una firma digitale» (Cass. pen., sez. VI, n. 37463/2024). Per cui è stato accolto il ricorso avanzato dal difensore dell'indagato avverso il provvedimento di inammissibilità dell'appello proposto avverso il rigetto della richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare applicata al suo assistito perché si assumeva dal G.I.P. che, nonostante l'appello cautelare avesse il formato p7m, nel gravame mancasse la sottoscrizione digitale.

Consequentur, ai fini della verifica della sussistenza della firma digitale di un atto di impugnazione non sussiste la necessità di ulteriori accertamenti qualora risulti in atti che il file abbia estensione pdf.p7m (ex plurimis, Cass. pen., sez. IV, n. 43976/2023), «posto che questa è di per sé probante dell'avvenuta firma digitale» (Cass. pen., sez. I, n. 37981/2024).

In quest'ultima pronuncia, il presidente del Tribunale di sorveglianza dichiarava inammissibile per ritenuta mancanza della sottoscrizione dell'atto, depositato a mezzo PEC, avverso il provvedimento di proroga della misura di sicurezza.

Decisione ritenuta errata dalla Suprema Corte in quanto dalla documentazione allegata al ricorso da parte del difensore si evince non solo la natura del file (pdf nativo con sottoscrizione digitale), ma anche l'attendibilità e la validità del certificato della firma in formato CAdES-BES. E, come detto, l'estensione del file “pdf.p7m” non richiede ulteriori accertamenti sulla sottoscrizione digitale.

Qualora invece, l'atto di impugnazione depositato via PEC è in formato pdf, per contrastare la mancanza di una valida firma digitale in formato PAdES non basta in sede di ricorso per cassazione affermare assertivamente che l'atto è stato firmato digitalmente, pena l'inammissibilità del medesimo ricorso (Cass. pen., sez. VI, n. 31767/2024). Occorrerà, invece, fornire la prova che il file con estensione pdf è stato correttamente sottoscritto digitalmente. Così, in un recente arresto – nel quale il difensore ha presentato prove che indicano la presenza del logo della firma digitale su uno schermo, pur non essendo stata verificata dal software in uso dalla cancelleria – Cass. pen., sez. IV, n. 34784/2024 ha annullato l'ordinanza di inammissibilità dell'impugnazione in presenza di elementi che mettono in dubbio la mancanza della firma digitale, privilegiando in tal caso il principio del “favor impugnationis”.

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