"Roulette russa e volontà contrattuale: una clausola aliena": sintesi e spunti di riflessione della giornata di studio

24 Ottobre 2024

In collaborazione con un progetto di ricerca di interesse nazionale avente ad oggetto “il volere normativo” (in seguito, “PRIN”), in data 18 ottobre 2024 si è tenuta a Milano una giornata di studio sul tema - di interesse dell’avvocatura e, soprattutto, notarile - della c.d. russian roulette clause. Clausola che, volutamente, nell’intitolazione dell’evento si è definita “aliena”, in quanto derivante da una tradizione giuridica straniera, ponendo nel nostro ordinamento una serie di problemi di coordinamento nel tentativo di assorbirne il contenuto. Oggetto di studio del PRIN, in altri termini, è «la volontà privata che si fa norma», di cui il focus rappresenta certamente un esempio.

La Dottoressa Patrizia Gervasoni, che ha partecipato alla giornata di studio, relaziona con estrema chiarezza le questioni affrontate.

Premessa

Con ricorso innanzi alla Suprema Corte di Cassazione, veniva impugnata la sentenza del 3 febbraio 2020, con cui la Corte d'Appello di Roma aveva confermato la decisione del Tribunale capitolino, emessa in data 19 ottobre 2017, che riconosceva la validità della russian roulette clause contenuta nel patto parasociale stipulato da due soci paritari di una s.p.a., in forza della quale, in ipotesi di stallo decisionale degli organi sociali o di mancato rinnovo dell'accordo stesso alla scadenza del quinquennio, si prevedeva che uno dei due indistintamente potesse attivare il meccanismo di cui alla predetta clausola determinando il prezzo per l'acquisto della partecipazione detenuta dall'altro e quest'ultimo, a sua volta, avrebbe avuto la possibilità di scegliere, alternativamente, di:

  • acquistare le azioni di titolarità dell'offerente al medesimo prezzo stabilito ovvero
  • di vendergli le proprie.

Alla scadenza del patto, infatti, i due soci non avevano raggiunto un'intesa in ordine al suo rinnovo, cosicché quello che dei due venne successivamente convenuto in giudizio aveva messo in moto la russian roulette clause rendendosi poi, all'esito della relativa procedura, acquirente della partecipazione dell'altro, che dopo avervi dato esecuzione ne contestava la validità.

La Corte d'Appello, in particolare, valorizzava il carattere “simmetrico” della clausola in parola, rilevando come la stessa concedesse ad un socio un periodo di tempo di centottanta giorni per la sua attivazione dal verificarsi del “trigger event” e come l'inutile decorso del quale termine consentisse anche all'altro di procedere a sua volta in modo analogo, escludendo inoltre che una tale pattuizione non rispettasse il disposto dell'art. 2341 bis c.c. o ricadesse nell'altrettanto invocato divieto di patto leonino di cui all'art. 2265 c.c. o, ancora, violasse il principio di c.d. equa valorizzazione” della partecipazione, assumendo così carattere indimostrato l'asserita condotta di abuso nell'esercizio delle prerogative da essa derivanti e del tutto generiche le censure in ordine al c.d. abuso di direzione e coordinamento da parte del socio “vincitore” del “duello”.

Orbene, il seminario di studio in commento trae spunto dalla recente sentenza Cass. 25 luglio 2023 n. 22375, che – prendendo le mosse dalla domanda di declaratoria di nullità della russian roulette clause da parte dei ricorrenti – è stata la prima ad occuparsi del tema, costituendo fonte dell'odierna riflessione in ordine alla costruzione della clausola, alla sua “natura aliena”, alla sua rilevanza funzionale, al giudizio di meritevolezza secondo il nostro ordinamento giuridico ed alla tutela del c.d. socio “oblato”.

1. Russian roulette clause: nozione, funzionamento ed “equa valorizzazione”

Frequentemente accade che due soggetti decidano di intraprendere un'attività economica in comune ripartendo il capitale sociale in misura paritetica tra loro ed affiancando alla partecipazione al medesimo anche un loro coinvolgimento diretto nella gestione dell'impresa, ad esempio entrando essi stessi a far parte dell'organo amministrativo. Ebbene, una società così strutturata è destinata a funzionare fino a quando i soci concordino sulle strategie aziendali, ma in ipotesi d'insanabile dissidio il rischio è che la società venga a trovarsi in una situazione di stallo, che gli anglosassoni comunemente definiscono “deadlock”.

La russian roulette clause è, dunque, quella clausola, contenuta normalmente in patti parasociali ovvero inserita nello statuto di società di capitali, tipicamente prevista in caso di suddivisione del capitale sociale tra due soli soci, o gruppi di soci tra loro omogenei, titolari di posizioni paritarie (c.d. fifty-fifty company), che attribuisce loro, al ricorrere di determinate situazioni di “punto morto” all'interno dell'organo amministrativo e/o dell'assemblea, la facoltà di attivare una procedura - a funzionamento rapido, “one shot” - in forza della quale ciascun socio (od uno di essi, a seconda di come la si sia strutturata) ha diritto di determinare il prezzo per il trasferimento delle reciproche azioni o quote paritetiche, attribuendo così all'altro la scelta tra vendere la propria partecipazione a colui che ha determinato il prezzo, oppure acquistare la partecipazione di quest'ultimo al medesimo corrispettivo fissato.

In altri termini:

  • il socio - c.d. proponente - che attiva il meccanismo rivolge all'altro un'offerta irrevocabile di acquisto delle azioni o quote di quest'ultimo, il cui corrispettivo è dunque determinato unilateralmente;
  • a questo punto, il socio - c.d. oblato - che riceve l'offerta, si trova dinnanzi ad un'alternativa: accettarla, acquistando la partecipazione del proponente al prezzo stabilito, oppure capovolgere la situazione, vendendo invece la propria partecipazione, sempre allo stesso prezzo (salvo si sia optato per una variante della clausola che preveda, invece, per la parte ricevente la facoltà di proporre una controfferta stabilendo un prezzo più elevato).

Trattasi, dunque, di uno strumento che mira a risolvere situazioni di crisi in maniera originale, venendo spesso denominato anche “clausola del cowboy”, volendosi intendere con un tale gergo battagliero proprio quello “sparo giuridico” da un socio all'altro senza previamente conoscere - proprio come avviene nel macabro gioco della roulette russa - quale sarà il colpo fatale a causare il passaggio delle azioni o quote sociali.

La clausola in esame, poi, può assumere caratteresimmetrico” (o “puro”), piuttosto che “asimmetrico” (o “selettivo”) a seconda che il diritto di relativa attivazione sia concesso a ciascun socio (di talché l'assunzione della posizione di “proponente” o di “oblato” dipende dalla tempestività nel mettere il moto il meccanismo) ovvero selettivamente individuando a monte il socio (o i soci titolari di una determinata percentuale di capitale sociale al verificarsi dello stallo) cui sia rimessa l'iniziativa.

Orbene, colui che mette in moto il meccanismo, lo fa nella convinzione di divenire l'unico socio della società, ma è altresì consapevole, al contempo, che potrà vedersi egli stesso costretto a vendere la propria partecipazione. Il meccanismo, dunque, risulta equilibrato sotto il profilo causale: nessuno dei soci intenderà svendere la propria partecipazione, dal momento che altrimenti rischierebbe, per quello stesso prezzo, di vedersi estromesso dalla compagine sociale.  

Ecco che, allora, la russian roulette clause deve ritenersi legittima - quanto meno in sede parasociale, sulla quale unica circostanza si è espressa la Suprema Corte - indipendentemente dalla previsione di un meccanismo di predeterminazione del corrispettivo, che sarà sempre valutato dalle parti nel modo più equo possibile: la validità della clausola, in altri termini, non soggiace alla condizione che il prezzo sia almeno pari al valore di liquidazione della partecipazione spettante al socio receduto ai sensi dell'art. 2437 ter (in materia di s.p.a.) o 2473 (in materia di s.r.l.) c.c. e, dal momento che per definizione impedisce di ravvisare una finalità soggettiva volta a produrre un prezzo iniquo, il c.d. principio di equa valorizzazione rinvenibile nelle norme in tema di recesso legale, riscatto convenzionale (art. 2437 sexies c.c.) ed esclusione (art. 2473 bis c.c.) richiamato da giurisprudenza e dottrina per le clausole di covendita e di trascinamento in ragione dell'exit forzato (sul punto, vedasi la Massima n. 88 del Consiglio Notarile di Milano in data 22 novembre 2005) non ha qui ragion d'applicarsi.

La possibilità tanto di acquistare le altrui azioni o quote, quanto di vendere le proprie, del resto, non attiva quelle cautele da adottarsi nel caso in cui il socio sia costretto a dismettere la propria partecipazione per preservarne il valore reale.

Alla luce di quanto esposto, pertanto, deve ritenersi che i soci possano attribuirsi il diritto di determinare liberamente il prezzo di alienazione all'esito del procedimento e che persino nella versione asimmetrica di russian roulette sia possibile rimanere esposti all'altrui diritto di decidere in ordine all'an dell'attivazione ed al quantum del prezzo, che pure in tali ipotesi non soggiace a limiti minimi, non trovandosi l'oblato in una situazione di soggezione ad un diritto potestativo puro di riscatto.

Questa vicendevole situazione di soggezione-potestatività, peraltro, costituisce sempre - come evidente - il corollario di una libera scelta e decisione.

2. Una clausola "aliena"

La dimensione ormai globale dell’economia contemporanea ha comportato la progressiva diffusione nel nostro ordinamento giuridico di contratti che, pur se destinati a regolare rapporti interni, sono talvolta concepiti e strutturati sulla base di modelli del tutto estranei: ne sono esempi la vendita di partecipazioni di controllo in società di capitali, il cui contenuto è modellato secondo lo schema tipico statunitense, nonché le clausole di covendita e di trascinamento, meglio note come “tag along” e drag along, le quali ultime, nonostante il loro ormai ampio utilizzo nella prassi societaria, ancora non trovano una propria disciplina all’interno del nostro testo legislativo.

Orbene, proprio questo fenomeno di “contaminazione” del sistema mediante inserimento nei contratti italiani di clausole “aliene” ha comportato non pochi problemi operativi, poiché se per un verso ciò consente l’apertura verso mercati internazionali, al contempo il relativo utilizzo necessita di un coordinamento con le nostre regole e principi generali.

È in questo contesto che s’inserisce la russian roulette clause, la quale, traendo la sua origine dalla tradizione giuridica nordamericana, e dunque da un ordinamento giuridico di common law, in virtù della sua funzione anti-stallo si è poi diffusa in breve tempo anche negli ordinamenti giuridici di civil law.

Giorgio De Nova parlava nel suo volume di “contratto alieno”, concetto di matrice dottrinale impiegato per definire quel contratto che, elaborato sulla base dell’esperienza anglo-americana, segue - pertanto - logiche e strutture del tutto diverse dalla nostra tradizione civilistica tendendo all’autosufficienza, senza alcun tipo di integrazione con l’ordinamento se non un confronto obbligato con le sole norme imperative.

Posta questa premessa, che cosa può dirsi, allora, veramente “alieno” nel caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte? Di certo non il contratto, dal momento che nella specie si trattava di un patto parasociale scritto in italiano, stipulato tra società italiane e, più in generale, rispondente a logiche tutte nazionali. La validità di pattuizione parasociali, peraltro, può dirsi ormai pacificamente assodata, stante la previsione normativa di cui all’art. 2341 bis c.c.

Ecco che, allora, il rimando operato dalla Corte di Cassazione al concetto di “contratto alieno” non pare rispondente; semmai, è la clausola ad essere “aliena”.

Ad ogni modo, ciò che interessa è che tale ricostruzione nel senso di alienità della clausola ha concesso al Supremo Collegio di concentrarsi sulla struttura e sull’equilibrio della stessa, principali chiavi di lettura per valutarne la compatibilità con i principi generali del nostro ordinamento giuridico. Un tipo di valutazione, questo, che non è di per sé scontato, perché nel codice civile il controllo giudiziale sull’equilibrio contrattuale è previsto tendenzialmente solo in casi eccezionali. 

Ebbene, tutti i punti della sentenza in commento vertono sulla meccanica della russian roulette clause e sulla possibilità di intervenire, almeno astrattamente, verso una soluzione equilibrata.  

3. La rilevanza organizzativa della clausola

Sotto il profilo funzionale, la russian roulette clause assume, dunque, una valenza eminentemente organizzativa, essendo diretta a garantire la capacità deliberativa degli organi sociali, mentre il meccanismo di trasferimento delle partecipazioni dalla stessa contemplato costituisce un mero strumento per permetterle di assolvere a tale sua virtuosa funzione.

Il tutto, in chiara ottica di favor societatis, favorendo la continuità aziendale ed evitando costi e tempi di liquidazione per scioglimento derivante da «impossibilità di funzionamento» o «continuata inattività dell’assemblea» (art. 2484 c. 1 n. 3 c.c.).

4. Meritevolezza

Posta dunque la sua funzione di risolvere situazioni di insanabile dissidio dovuto ad uno stallo decisionale all'interno degli organi sociali per il tramite di una riallocazione di partecipazioni, così salvaguardando il progetto imprenditoriale, risulta indubbio che la russian roulette clause persegua interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico, ai sensi dell'art. 1322 c.c.

Del resto, non è dato ravvisarsi alcuna violazione:

  • del divieto di patto leonino di cui all'art. 2265 c.c., posto che la concreta modalità di funzionamento della clausola non pare atta a realizzare il risultato - che tale norma intende impedire - dell'esclusione di uno o più soci da ogni partecipazione agli utili od alle perdite, né
  • della regola che pone un limite quinquennale di durata ai patti parasociali di cui all'art. 2341 bis c.c., poiché le clausole che facciano dipendere dal mancato rinnovo di questi ultimi l'attivazione del suddetto meccanismo anti-stallo non paiono dirette a condizionare la libera formazione della volontà dei paciscenti in ordine alla ripetizione di tali accordi. Al contrario, esse sono piuttosto finalizzate ad una ridefinizione degli equilibri proprio per il caso in cui il vincolo parasociale venga a cessare per effetto del suo mancato rinnovo.

5. La tutela del socio "oblato"

Quella della russian roulette appare, dunque, una clausola intrinsecamente equilibrata, azionandosi in una situazione di assoluta parità, quantomeno formale, tra i soci coinvolti.

Un eventuale squilibrio, però, potrebbe manifestarsi in fase esecutiva, ove ad esempio il socio proponente sfrutti a proprio vantaggio la carenza di risorse finanziarie dell'altro.

Simili circostanze, dunque, priverebbero l'oblato della facoltà di scelta, finendo per vendere la propria partecipazione ad un prezzo iniquo. Il che, comunque, non deve portare a ritenere che la clausola sia invalida, bensì è in termini di tutela che è necessario ragionare per paralizzare effetti abusivi: ecco allora che, ipotizzando possibili reazioni a dette circostanze opportunistiche, la Suprema Corte apre la possibilità per l'oblato di esperire azione risarcitoria rispetto alla propria posizione lesa, ovvero di sollevare l'exceptio doli generalis per opporsi a modalità di attivazione del meccanismo che risultino incompatibili con il principio di correttezza imposto ai soci nell'esercizio dei diritti derivanti dal contratto sociale (artt. 1175 e 1375 c.c.). Valutazione, che andrà operata alla luce delle circostanze concrete e che potrà riguardare tanto la precostituzione della situazione di stallo decisionale, quanto la presentazione di un'offerta a valori incongrui correlata ad una situazione di difficoltà finanziaria del socio oblato già nota al primo offerente.

Lo stesso sistema statunitense, di derivazione della russian roulette clause, e le sue peculiarità mettono in luce come essa - pur universalmente valida in tutti gli Stati Uniti - è trattata in modo diverso nelle varie giurisdizioni proprio in base a come vengono concretamente applicati i concetti di buona fede e di abuso del diritto, che guardano alla condotta delle parti.

Nell'impostazione tradizionale, di classical contract law, l'approccio al contratto era estremamente formale e rigido, nel senso che il giudice doveva limitarsi a considerare quanto espresso nel documento applicandolo il più possibile “alla lettera”. Nel tempo, un tale approccio così “testualista” è stato progressivamente superato da un approccio di modern contract law, in cui il giudice guardava invece alla volontà soggettiva delle parti, anche assumendo elementi ulteriori per interpretare ed integrare il contratto. Il punto, però, è che questo processo non si è mai completato, sfociando in un sistema del tutto caotico.

Ebbene, in uno scenario come quello appena delineato, quando si tratta di interpretare la russian roulette clause il risultato può cambiare enormemente proprio a seconda dell'impostazione adottata.

Ad ogni modo, sia nell'orientamento più classico, che in quello più moderno, il problema risiede non tanto nella validità ed efficacia della clausola, quanto in termini di condotta e di valutazione della stessa da parte del giudice.

6. Le motivazioni della Suprema Corte e le censure di natura civilistica

Nel corso del seminario di studio in commento, ci si è concentrati prevalentemente sui motivi di ricorso di natura più prettamente civilistica sottoposti al vaglio della Suprema Corte, trattati congiuntamente in quanto attinenti entrambi al nodo problematico dell'unilaterale fissazione del corrispettivo senza un criterio volto a predeterminarlo.

Nello specifico:

- quanto al primo motivo, più precisamente, si asseriva un contrasto con la disposizione di cui all'art. 1355 c.c., che, nell'imporre un divieto di apposizione di condizioni sospensive meramente potestative, commina la nullità dell'alienazione di un diritto o dell'assunzione di un obbligo fatti puramente dipendere - rispettivamente - dalla volontà dell'alienante o del debitore. 

Orbene, appare evidente come un tale dettame miri ad impedire che l'efficacia del contratto sia subordinata ad un mero arbitrio di una delle parti svincolato da qualsiasi razionale valutazione di opportunità e convenienza, quale fatto volontario il cui compimento o la cui omissione non dipende da seri od apprezzabili motivi, sì da manifestare l'assenza di una seria volontà di vincolarsi al contratto.

Ma a questa prima obiezione può replicarsi che è la stessa struttura della russian roulette clause ad escludere a monte ogni tipo di rischio, assicurando invece equilibrio negoziale: la scelta tra l'acquisto dell'altrui partecipazione o la vendita della propria spetta alla parte che non ha operato sulla determinazione del prezzo.

È lo stesso socio oblato, infatti, a decidere quale posizione assumere all'esito del meccanismo, e ove il prezzo dichiarato fosse inferiore al valore di mercato della partecipazione, potrebbe guadagnare acquistando ad un prezzo per lui conveniente le azioni o quote del proponente, mentre in caso contrario potrebbe egualmente lucrare vendendo vantaggiosamente le azioni o quote di sua titolarità. In altri termini, l'offerta viene avanzata dal proponente senza mai conoscere a priori se acquisterà le azioni o quote dell'oblato, e dunque il controllo della società, o se invece riceverà il pagamento in denaro delle proprie, uscendo dalla compagine sociale.

Il tutto, oltre alla considerazione per cui a mettere in moto il meccanismo non è la mancanza nell'uno dei contraenti della volontà di volersi seriamente obbligare, bensì l'evento dello stallo decisionale.

- quanto al secondo motivo, si asseriva un contrasto con la disposizione di cui all'art. 1349 c.c., ai sensi del quale se la determinazione della prestazione dedotta in contratto è deferita ad un terzo e non risulta che le parti volessero rimettersi al suo mero arbitrio, il terzo deve procedere con equo apprezzamento (c.d. arbitrium boni viri), mentre in caso contrario (c.d. merum arbitrium) potrà procedere secondo i criteri ch'egli ritenga più opportuni nel suo ampio potere discrezionale. Nella prima ipotesi, la determinazione del terzo è impugnabile soltanto ove manifestamente iniqua od erronea; nella seconda ipotesi, invece, esclusivamente in base alla prova della mala fede, non potendo l'atto dell'arbitratore essere sindacato nel merito.

Si adduceva, in altri termini, la nullità della clausola per vizio dell'oggetto, rimesso al mero arbitrio di uno dei due soci coinvolti.

Orbene, il nostro codice civile tace in ordine al c.d. arbitraggio di parte, vale a dire la possibilità che la determinazione del prezzo o, più in generale, dell'oggetto del contratto, possa essere rimessa ad una delle parti. Possibilità, che, originariamente di discussa ammissibilità ed anzi fonte di nullità della clausola, è oggi da ritenersi ormai accolta dalla dottrina civilistica, purché - come ovvio -  si tratti di arbitrium boni viri e si badi a tutelare adeguatamente la controparte rispetto ad eventuali abusi.  

Il paradigma normativo contenuto nell'art. 1349 c.c., in definitiva, non pare limitare al solo terzo il ruolo di arbitratore: in effetti, la stessa norma, mirando ad impedire l'assunzione di decisioni senza l'adeguata consapevolezza, sembra proprio individuare in questo l'elemento decisivo ai fini della validità della clausola, vale a dire una determinazione che sia rimessa alla volontà della parte, ma non al suo mero arbitrio, nel senso di decisione slegata da un qualsiasi criterio riguardante l'economia generale dell'operazione.

La Suprema Corte, peraltro, torna a sottolineare come il fatto su cui viene a fondarsi l'attivazione della clausola rimane pur sempre l'insanabile situazione di dissidio, e non la volontà di un singolo soggetto.

7. Conclusioni

Nel diritto della contemporaneità, quel metodo interpretativo basato su di un giudizio di identità tra fattispecie concreta e fattispecie astratta non è più adeguato, mancando spesso la perfetta corrispondenza necessaria ai fini di un corretto inquadramento in tal senso.

Deve trattarsi, piuttosto, di un processo che riconduca per approssimazione la fattispecie concreta al “tipo normativo” (c.d. metodo tipologico).

Quando guardiamo a clausole come la russian roulette, infatti, lo dobbiamo fare con un’apertura mentale tesa piuttosto a verificare se esse svolgano una funzione utile per il raggiungimento dello scopo voluto.

La forza espansiva di modelli legali già sperimentati nel settore degli affari internazionali, che finiscono per indurre paesi di diversa civiltà giuridica ad assorbirne il contenuto nel proprio ordinamento, se da un lato consente di evitare un possibile “isolamento giuridico”, dall’altro lato solleva evidenti problemi di coordinamento con la disciplina interna, e la situazione così descritta sta assumendo negli ultimi anni un’intensità sempre maggiore: ecco perché si è resa necessaria per il nostro legislatore la valutazione di “meritevolezza” degli interessi rispetto ai principi generali dell’ordinamento giuridico.

Provata tale meritevolezza, al termine di un articolato percorso dal quale sono emersi concetti originali come quello di “contratto alieno”, può dunque dirsi ora, probabilmente in via definitiva, statuita in senso positivo dal nostro massimo organo giudicante la validità della clausola di roulette russa.

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