CGUE e utilizzo delle firme elettroniche nei procedimenti giudiziari
29 Ottobre 2024
La controversia origina dal rifiuto di un organo giurisdizionale polacco di accettare atti processuali inviati via e-mail e firmati con un particolare tipo di firma elettronica in uso in Polonia, denominato «firma sicura» e avente le caratteristiche di una firma elettronica semplice. La questione pregiudiziale sottoposta alla Corte dal giudice rimettente riguarda l'interpretazione degli artt. 2, parr. 1 e 3, e 25, parr. 1 e 2, del Regolamento n. 910/2014. Chiede infatti il giudice polacco se tali disposizioni ostino a una normativa nazionale che subordina il deposito di atti firmati elettronicamente alla disponibilità di specifici sistemi informatici presso l'organo giudiziario. il giudice del rinvio si interroga inoltre sull'applicabilità rationae materiae del Regolamento n. 910/2014 alla controversia principale per il motivo che tale regolamento si applicherebbe solo ai regimi di identificazione elettronica che sono stati notificati dagli Stati membri alla Commissione. La questione viene posta poiché il mezzo di identificazione elettronica utilizzato dal ricorrente nel procedimento principale per il deposito dei suoi atti processuali per via elettronica non rientrava tra quelli notificati dalla Repubblica di Polonia. L'ambito di applicazione del Regolamento eIDAS La Corte affronta preliminarmente due questioni fondamentali relative all'applicabilità del Regolamento eIDAS. In primo luogo, chiarisce che l'art. 2, par. 1, ha un duplice (ora triplice) ambito di applicazione in quanto si applica ai regimi di identificazione elettronica notificati dagli Stati membri e ai prestatori di servizi fiduciari stabiliti nell'Unione (ora, peraltro, in epoca posteriore ai fatti giudicati dalla Corte, per effetto delle modifiche introdotte dal Regolamento n. 1183/2024 si applica anche ai portafogli di identità digitale). Tale ambito di applicazione identifica però servizi diversi tra loro, che non devono essere tutti abilitati da un singolo Stato membro; da ciò consegue che l'applicazione delle disposizioni sulle firme elettroniche non è in alcun modo subordinata alla notifica dei regimi di identificazione elettronica, contrariamente a quanto ipotizzato dal giudice del rinvio. In secondo luogo, la Corte chiarisce che il giudizio dovrà vertere sull'interpretazione dell'25, par. 1 del Regolamento che introduce il cosiddetto principio di non discriminazione delle firme elettroniche. Vertendo infatti la questione pregiudiziale su di una firma elettronica semplice e su di una qualificata, non trova in ogni caso applicazione il par. 2 del Regolamento, relativo all'equivalenza tra firma elettronica qualificata e firma autografa. Il principio di non discriminazione delle firme elettroniche La Corte, richiamando la propria giurisprudenza nelle cause Ekofrukt (C-362/21) e V.B. Trade (C-466/22), ribadisce che l'25, par. 1 del Regolamento stabilisce un principio generale che: a) non vieta ai giudici nazionali di invalidare le firme elettroniche; b) proibisce il rifiuto degli effetti giuridici e dell'efficacia probatoria delle firme elettroniche "per il solo motivo" della loro forma elettronica o della mancanza dei requisiti della firma qualificata Questo principio, come chiarito nella sentenza Ekofrukt, non comporta un'accettazione incondizionata di qualsiasi firma elettronica, ma vieta specificamente la discriminazione basata sulla sola natura elettronica della firma e lascia comunque agli Stati membri la possibilità di introdurre disposizioni specifiche che obblighino all'utilizzo di una determinata specie di firme elettroniche. Nell'ordinamento italiano sono un chiaro esempio di quanto precede le disposizioni relative alle varie forme di processo telematico (civile, penale, amministrativo, contabile) che prevedono l'obbligo di utilizzo della firma digitale, ovvero di una determinata tipologia di firma elettronica qualificata, e la previsione dell'art. 21, comma 2-bis, CAD secondo la quale le scritture private di cui all'art. 1350, comma 1, nn. da 1 a 12 c.c., se fatte con documento informatico, sono sottoscritte, a pena di nullità, con firma elettronica qualificata o con firma digitale. L'orientamento della Corte è chiaro: il Regolamento, pur mirando a garantire che una firma elettronica non sia privata dei suoi effetti giuridici per il solo motivo della sua forma, non pregiudica in alcun modo la libertà degli Stati membri di dettare norme specifiche che obblighino all'utilizzo di determinate tipologie di sottoscrizione digitale. La valutazione della normativa nazionale Sulla base di tali considerazioni la Corte di Giustizia esamina la compatibilità della normativa polacca con il diritto dell'Unione e giunge alle seguenti conclusioni:
La normativa nazionale, dunque, non discrimina le firme elettroniche in quanto tali, ma regola le modalità tecniche del loro utilizzo nel processo. Tale impostazione normativa è certamente corretta, visto che il Regolamento non osta a una normativa nazionale che subordini il deposito telematico di atti processuali alla disponibilità di sistemi informatici adeguati, e non è certamente un unicum nel quadro europeo. Basti pensare che, in Italia, la fase di avvio del processo civile telematico è stata subordinata all'emissione di decreti di accertamento delle funzionalità «telematiche-digitali» nei singoli uffici giudiziari e che, in assenza di tali provvedimenti, la giurisprudenza ha ritenuto inesistenti i depositi di atti elettronici, pur se muniti di firma digitale. Osservazioni conclusive La sentenza emessa dalla Corte di Giustizia Europea è certamente condivisibile e si pone nel solco dell'interpretazione già delineata nelle sentenze precedenti circa la portata del principio di non discriminazione delle firme elettroniche, che non assurge a diritto assoluto e che deve invece essere contemperato:
(tratto da: dirittoegiustizia.it) |