Il termine per la presentazione dell’istanza di assegnazione ha natura perentoria
29 Ottobre 2024
Massima
Il caso Una creditrice intervenuta in un procedimento di espropriazione immobiliare proponeva istanza di assegnazione dell'immobile pignorato, ma il giudice dichiarava l'istanza inammissibile per tardività, in quanto presentata oltre il termine di dieci giorni prima della vendita previsto dall'art. 588 c.p.c. Avverso detto provvedimento veniva proposta opposizione agli atti esecutivi, ma nelle more del giudizio (non essendo stata accolta né dal g.e., né dal collegio in sede di reclamo l'istanza di sospensione del processo esecutivo) non solo il bene pignorato – già nel frattempo venduto per un prezzo pari all'offerta minima – veniva trasferito agli aggiudicatari, ma addirittura la somma ricavata veniva distribuita tra i creditori. Anche il giudizio di opposizione si concludeva negativamente per la opponente, giacché il tribunale riteneva in via preliminare non accoglibile l'opposizione proposta, in quanto, nonostante nelle more della decisione il processo esecutivo si fosse concluso a seguito dell'adozione prima del decreto di trasferimento e poi dell'ordinanza distributiva, l'opponente non aveva impugnato detti provvedimenti, così determinando la «irrevocabilità degli effetti del trasferimento della proprietà». In ogni caso, ad avviso del giudicante, l'opposizione andava respinta a causa della perentorietà del termine per la presentazione dell'istanza di assegnazione, il che impediva di poter prendere in considerazione l'istanza proposta fuori termine; peraltro, anche a voler ritenere il termine di natura ordinatoria, la creditrice non aveva presentato istanza di proroga prima della sua scadenza, con conseguente perdita del potere processuale. Infine, deponeva a favore dell'inammissibilità dell'istanza anche la circostanza che essa non fosse stata accompagnata dal versamento delle somme necessarie ai sensi dell'art. 506 c.p.c. Avverso tale decisione veniva proposto ricorso per cassazione, con il quale il ricorrente censurava ad una ad una tutte le argomentazioni portate dal giudice di merito a base della sua decisione. La questione Venivano così sottoposte alla S.C. le seguenti questioni: in primo luogo, quella relativa agli effetti dell'eventuale accoglimento dell'opposizione ex art. 617 c.p.c. sugli atti successivi dipendenti da quello impugnato; secondariamente, quella riguardante la natura del termine per la presentazione dell'istanza di assegnazione ed infine quella, ad essa correlata, della necessità o meno del versamento, contestualmente all'istanza, della somma necessaria per il soddisfacimento della pretesa dei creditori aventi diritto a prelazione anteriore a quello dell'offerente. Le soluzioni giuridiche La Suprema Corte, così investita del problema, ritiene di dover rigettare il ricorso, previa correzione della motivazione della sentenza impugnata. La S.C. esordisce affermando che, a differenza di quanto ritenuto dal giudice del merito, l'accoglimento dell'opposizione agli atti esecutivi «non può che riverberarsi sugli atti successivi dipendenti - sul piano logico-giuridico - dall'atto invalido, secondo il principio della nullità derivata». Al riguardo, richiama un proprio precedente (Cass. civ., sez. III, 20 novembre 2023, n. 32146), a mente del quale gli effetti dell'accoglimento di un'opposizione agli atti sono tali da determinare la caducazione di tutti gli atti successivi e dipendenti, compresi il decreto di trasferimento, l'ordinanza distributiva del ricavato e, in ultima analisi, la chiusura del processo esecutivo per intervenuta distribuzione. Pertanto, afferma che, ferma restando l'irretrattabilità della distribuzione nel frattempo intervenuta e la «conseguente intangibilità dei pagamenti eseguiti ai creditori concorrenti», permane in capo al ricorrente l'interesse a coltivare il giudizio di opposizione e ad ottenere l'annullamento dell'atto, il quale è in grado, con la sola eccezione dei pagamenti intervenuti in favore dei creditori, di determinare la caducazione degli atti dipendenti da quello opposto, così ottenendo la soddisfazione del proprio bisogno di tutela. Osserva la Cassazione che, d'altronde, «se la procedura esecutiva giungesse a suo compimento, con la distribuzione, e da tanto dovesse derivare, sic et simpliciter, la superfluità delle eventuali opposizioni esecutive frattanto proposte dalle parti (o anche, del reclamo ex art. 630 c.p.c.), ne discenderebbe da un lato la negazione stessa del diritto di azione» e dall'altro l'assurdo risultato di ammettere che l'esito dello stesso giudizio di merito possa dipendere dalla circostanza che il giudice dell'esecuzione abbia sospeso o meno la procedura nella fase sommaria, così attribuendo al g.e. un potere esorbitante rispetto alle sue funzioni, con conseguente negazione della «stessa funzione della giurisdizione, per di più travisando la nozione della cessazione della materia del contendere e dell'interesse ad agire». Aggiunge la Corte che tale impostazione trova il suo addentellato normativo nell'art. 2929 c.c., a mente del quale la regola dell'irrilevanza della nullità degli atti esecutivi che hanno preceduto la vendita o l'assegnazione riguardo all'acquirente o all'assegnatario non opera ove si discuta della illegittimità degli atti del medesimo sub-procedimento liquidatorio, ossia della vendita o dell'assegnazione. Escluso dunque che l'opposizione agli atti debba essere dichiarata improcedibile laddove, nel frattempo, intervenga il trasferimento del bene pignorato in favore dell'aggiudicatario, la Cassazione prende posizione sulla natura del termine per la presentazione dell'istanza di assegnazione e sul connesso problema della necessità di imporre al creditore istante l'onere di accompagnare all'istanza il versamento della somma pari al valore dell'assegnazione. A tale ultimo riguardo, la Cassazione esclude la sussistenza di tale onere, sia a causa dell'assenza di una previsione legislativa in tal senso, sia per la circostanza dirimente che, diversamente opinando, il creditore assegnatario riceverebbe un trattamento deteriore rispetto ai soggetti istanti l'acquisto in vendita forzata, tenuti al semplice deposito della cauzione. Sennonché, nonostante la fondatezza della censura, la Cassazione esclude che la sentenza possa essere cassata, bastando semplicemente procedere alla correzione della sua motivazione, condividendo la tesi della natura perentoria del termine per la presentazione dell'istanza di assegnazione. Osserva infatti che l'art. 588 c.p.c. «non attribuisce espressamente natura perentoria» al termine di presentazione dell'istanza di assegnazione, ma detto carattere può essere desunto dal sistema nel suo complesso, in quanto, a seguito delle riforme intervenute negli ultimi dieci anni, «l'istanza di assegnazione interferisce direttamente con l'aggiudicazione per offerta “minima” (o, comunque, inferiore al prezzo base)», per cui le due distinte facoltà processuali devono coordinarsi nel senso di impedire al creditore assegnatario di esercitare il suo potere di avanzare l'istanza relativa anche dopo la scadenza del termine di dieci giorni prima dell'udienza, in quanto, opinando il contrario, verrebbe a “disincentivarsi” il ricorso allo strumento dell'offerta “minima”. Conclude affermando che, in ogni caso, anche a voler attribuire a detto termine carattere ordinatorio, l'opposizione agli atti esecutivi non avrebbe potuto essere accolta, giacché la ricorrente non aveva depositato istanza di proroga prima della sua scadenza, «così determinandosi gli stessi effetti preclusivi della scadenza di un termine perentorio». Osservazioni L'istituto dell'assegnazione ha visto modificare il suo volto nel corso del tempo. Nell'assetto normativo introdotto dalla riforma del codice di rito di cui alla l. n. 80/2005 e successive modificazioni, l'istanza di assegnazione del bene subastato poteva essere avanzata dai creditori solo nel caso in cui la vendita con incanto fosse risultata deserta. A seguito della riforma operata dal d.l. n. 83/2015, convertito dalla l. n. 132/2015, l'assegnazione è stata modificata, prevedendosi che l'istanza di assegnazione per il caso in cui la vendita non abbia luogo può essere proposta da ciascun creditore, nel termine di dieci giorni prima della data dell'udienza fissata per la vendita, precisandosi tuttavia che nel procedimento di vendita senza incanto, l'istanza di assegnazione può impedire l'aggiudicazione quando quest'ultima debba essere disposta per un valore inferiore al prezzo base di vendita fissato dal giudice con l'ordinanza emessa ai sensi dell'art. 569 c.p.c. Stabiliscono infatti gli artt. 572 e 573 c.p.c. che il giudice non aggiudica il bene quando il prezzo raggiunto all'esito dell'esperimento espletato senza incanto, tenuto conto dell'unica offerta presentata (art. 572 c.p.c.) ovvero del risultato della gara (art. 573 c.p.c.), è inferiore a quello minimo stabilito nell'ordinanza emanata ai sensi dell'art. 569 c.p.c. L'istanza di assegnazione, dunque, non presuppone più l'esito negativo di almeno due tentativi di vendita (e cioè la mancanza di offerte efficaci nella vendita senza incanto e in quella successiva con incanto) e va proposta nel termine di dieci giorni anteriori alla data fissata per il primo esperimento di vendita, a norma dell'art. 588 c.p.c. Per incentivare l'assegnazione, l'art. 589 c.p.c. stabilisce che l'istanza deve contenere un'offerta di pagamento non inferiore a quella prevista nell'art. 506 c.p.c. ed al prezzo base stabilito per l'esperimento di vendita per cui è presentata. Dunque, l'assegnazione consiste in una vera e propria offerta, priva di cauzione, perché la serietà dell'istanza è già garantita dal credito dell'assegnatario. Deve pertanto escludersi la necessità del versamento dell'intera somma ad opera del creditore assegnatario, come d'altronde confermato anche dalla sentenza che qui si commenta. Controversa è invece la natura del termine per la presentazione dell'istanza; nel silenzio della legge, deve osservarsi che, stando ad orientamento più risalente (Cass. civ., sez. III, 18 aprile 2011, n. 8857), esso non avrebbe natura perentoria, ma ordinatoria a causa della mancanza di una esplicita disposizione in tal senso. Al contrario, secondo un altro indirizzo, fatto proprio anche dalla decisione in epigrafe, detto termine ha natura perentoria in quanto, sebbene manchi una statuizione esplicita in tal senso, è possibile desumere siffatto carattere dalla funzione svolta dal termine e dalle conseguenze che la legge commina nel caso esso non venga rispettato in seguito alle riforme del 2015-2016: difatti, se «l'istanza di assegnazione interferisce direttamente con l'aggiudicazione per offerta “minima” (o, comunque, inferiore al prezzo base), ai sensi degli artt. 572 e 573 c.p.c., ne deriva che la facoltà processuale attribuita al creditore deve necessariamente esercitarsi in conformità allo schema procedurale delineato dal legislatore, stante l'interesse contrapposto e concorrente di chi abbia avanzato l'offerta, che resterebbe vulnerato nel caso in cui essa dovesse subire gli effetti di una domanda proposta dal creditore oltre il termine assegnatogli e, quindi, in violazione dello schema normativo» (così la decisione in commento al § 3.6.4; in termini, tra gli altri, Trib. Palermo sez. VI, 18 gennaio 2019, in questa Rivista, con nota di Farina: La perentorietà del termine per la proposizione dell'istanza di assegnazione). Ora, anche a voler interpretare in senso estensivo il secondo comma dell'art. 152 c.p.c. secondo cui «i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori», ammettendo, in linea con la giurisprudenza attualmente prevalente, che tanto sia possibile desumere «dalla funzione svolta dal termine e dalle conseguenze che la legge commina nel caso esso non venga rispettato» (Cass. civ., sez. un., 12 gennaio 2010, n. 262; Cass. civ., sez. un., 12 febbraio 2024, n. 3760), a parere di chi scrive da ciò non è possibile desumere quale conseguenza che il termine di presentazione dell'istanza di assegnazione abbia carattere perentorio. Invero, come affermato da autorevole dottrina (FARINA P., La perentorietà del termine per la proposizione dell'istanza di assegnazione, in questa Rivista), lo scopo della possibile concorrenza dell'istanza di assegnazione con le offerte di acquisto sin dal primo tentativo di vendita è quello di scongiurare il rischio di un'aggiudicazione a prezzo vile in favore dell'offerente minimo, la quale è in grado non solo e non tanto di danneggiare il debitore, quanto e soprattutto gli stessi creditori e in ultima istanza la stessa procedura esecutiva, essendo finalità del legislatore quello di assicurare che il bene staggito possa essere liquidato per un importo che sia il più elevato possibile, purché nel rispetto delle regole stabilite dal c.p.c. (Cass. civ., sez. III, 21 settembre 2015, n. 18451). Peraltro, a ben vedere, l'offerente non subisce alcun pregiudizio dalla proposizione di eventuali istanze di assegnazione: egli infatti è consapevole, stante le previsioni di cui agli artt. 571 ss. c.p.c. «di sopportare un'alea ex lege prevista – e consistente nella possibilità per il creditore, ove le condizioni lo prevedano, di proporre istanza di assegnazione – con la conseguenza che, ove intenda porsi al riparo da un'eventuale assegnazione, deve formulare un'offerta di acquisto per un importo almeno pari al prezzo base» (così Trib. Varese, 13 luglio 2019, in questa Rivista, con nota di Farina: Il termine per la proposizione dell'istanza di assegnazione non ha natura perentoria). Riferimenti
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