L’equo compenso tra profili normativi e giurisprudenziali in attesa del Correttivo del Codice dei contratti pubblici

29 Ottobre 2024

Il recente ed animato dibattito giurisprudenziale e dottrinario sull'equo compenso nei servizi di ingegneria e architettura, all'alba del correttivo al Codice dei Contratti pubblici, impone un'analisi, anche in chiave critica, delle principali tesi che si sono contrapposte nelle diverse pronunce dei Giudici amministrativi e negli interventi dell'ANAC.

Introduzione

Prima di addentrarci nel cuore della questione è opportuno passare in rassegna la normativa di riferimento, così da inquadrare il perimetro di applicazione dell'istituto sull'equo compenso.

Volendo offrire una definizione, l'equo compenso è una misura finalizzata ad assicurare un trattamento economico adeguato e proporzionato ai professionisti che prestano la propria attività intellettuale, principalmente nei rapporti contrattuali con grandi aziende e pubblica amministrazione, di modo che sia loro garantito un compenso congruo alle attività da porre in essere.

Nell'ambito della contrattualistica pubblica, quindi, l'istituto trova prevalente applicazione con riferimento ai servizi di natura intellettuale che il Consiglio di Stato, con la recente sentenza n. 4502 del 21 maggio 2024, ha definito come “quelli che, da un lato, richiedono lo svolgimento di prestazioni professionali, svolte in via eminentemente personale, costituenti ideazione di soluzioni o elaborazione di pareri, prevalenti nel contesto della prestazione erogata rispetto alle attività materiali e all'organizzazione di mezzi e risorse (a prescindere dal luogo in cui tali prestazioni devono essere svolte), dall'altro non si sostanziano nella esecuzione di attività ripetitive e di meri compiti standardizzati, che non richiedono cioè l'elaborazione di soluzioni personalizzate per ciascun utente del servizio”.

Con riferimento all'equo compenso, sul piano normativo, occorre fare riferimento alla legge 21 aprile 2023, n. 49, da coordinarsi, ai fini della sua applicazione “pubblicistica”, con le norme contenute nel d.lgs. n. 36/2023

La Legge n. 49/2023 – recante “Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali” - ha introdotto norme finalizzate a garantire il rispetto dell'equo compenso per i professionisti che intrattengono rapporti “commerciali”, tra le altre, con pubbliche amministrazioni, società partecipate ovvero a controllo pubblico.

Tale norma, all'art. 1, definisce “equo” il compenso “…proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale […]”, nonché conforme ai parametri di cui ai relativi decreti ministeriali per le varie professioni (avvocato, ingegnere, architetto, ecc.).

Il successivo art. 2, invece, individua l'ambito di applicazione della normativa, che – come precedentemente precisato – afferisce anche alle prestazioni rese dai professionisti in favore della pubblica amministrazione.

L'art. 3, comma 1, della citata legge, che rappresenta il “cuore” del dibattito, sanziona invece con la nullità le clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all'opera prestata, ovverosia di quelle clausole che individuano una remunerazione inferiore agli importi stabiliti dai parametri ministeriali.

Tali disposizioni trovano quindi la loro ratio nell'evitare che nei rapporti tra committente e prestatore d'opera si venga a creare uno squilibrio contrattuale, così da garantire – con apposta norma di legge – che la remunerazione sia adeguata alla prestazione svolta.

Nell'ambito degli affidamenti pubblici, le disposizioni della legge n. 49/2023 vanno coordinate con quelle contenute nel Codice dei Contratti di cui al d.lgs. n. 36/2023.

Il legislatore, al suo articolo 8, ha introdotto una clausola “salvaguardia” per i professionisti che intrattengono rapporti con le pubbliche amministrazioni nell'ambito di procedure ad evidenza pubblica.

Il citato art. 8 del d.lgs. n. 36/2023, rubricato “Divieto di prestazioni d'opera intellettuale a titolo gratuito”, al comma n. 2, prevede testualmente che “[…] le prestazioni d'opera intellettuale non possono essere rese dai professionisti gratuitamente, salvo che in casi eccezionali e previa adeguata motivazione. Salvo i predetti casi eccezionali, la pubblica amministrazione garantisce comunque l'applicazione del principio dell'equo compenso […]”.

Sul piano interpretativo, quindi, si osserva un quadro normativo lacunoso e disorganico e lo sforzo della dottrina e della giurisprudenza è stato quello di tentare, con risultati spesso contraddittori tra di loro, di operare un processo di armonizzazione tra le due norme.

Come meglio verrà precisato nel prosieguo del presente contributo, infatti, i contrasti giurisprudenziali sull'applicazione della normativa sull'equo compenso si sono principalmente registrati sulla parziale “apertura” del Codice appalti alla deroga alla “non–ribassabilità” delle tariffe professionali (come dimostrano le locuzioni “casi eccezionali” e di “adeguata motivazione” contenute nel sopracitato art. 8).

A tale apertura, invece, si contrappone la legge n. 49/2023 la quale, come anticipato, all'art. 3, sancisce chiaramente la nullità delle clausole che “[…] non prevedono un compenso equo e proporzionato all'opera prestata, tenendo conto a tale fine anche dei costi sostenuti dal prestatore d'opera […]”.

Tali brevi - ma necessarie - considerazioni, si sono rese necessarie per meglio comprendere il dibattito (e per certi versi il contrasto) che si è registrato soprattutto in giurisprudenza, in attesa della concreta applicazione delle norme contenute nel Correttivo al Codice dei Contratti pubblici con cui il legislatore ha tentato di coordinare, in modo più chiaro, le norme contenute nella legge n. 49/2023 con quelle del Codice dei Contratti

Nei successivi paragrafi ci si concentrerà quindi sull'analisi delle principali sentenze del Giudice Amministrativo che hanno affrontato, con esiti diversi, il tema della “ribassabilità” delle tariffe professionali poste a base di gara dalle pubbliche amministrazioni.

Sul tema, infatti, come meglio si avrà modo di apprezzare, esistono due distinti orientamenti.

Un primo orientamento, più rigoroso, fatto proprio del TAR Veneto (sentenza del 3 aprile 2024, n. 632) e dal TAR Lazio – Roma (sentenza del 30 aprile 2024, n. 8580).

Un secondo orientamento, che potremmo definire più “liberale” e maggiormente ispirato ai principi di libera concorrenza di matrice euro – comunitaria, fatto proprio dal TAR Campania, Salerno (sentenza del 16 luglio 2024, n. 14949) e dal TAR Calabria (con la recentissima sentenza del 25 settembre 2024, n. 483).

Il tutto senza tralasciare i recenti interventi dell'ANAC che, tuttavia, non sono riusciti a risolvere il dibattito in modo definitivo.

La sentenza “apripista” del TAR Veneto del 3 aprile 2024, n. 632

In ordine strettamente cronologico, la prima pronuncia da segnalare sul tema è quella del TAR Veneto del 3 aprile 2024, n. 632.

Con tale sentenza i Giudici amministrativi hanno per la prima volta affrontato in modo diffuso il rapporto tra equo compenso e affidamento di un contratto pubblico propendendo per un'interpretazione “rigida” della legge n. 49/2023.

Per meglio comprendere le considerazioni svolte in punto di diritto, è opportuno, seppur sinteticamente, inquadrare la fattispecie sulla quale il Tribunale è stato chiamato a pronunciarsi.

Un operatore economico lamentava l'illegittimità del provvedimento con il quale veniva aggiudicato “[…] l'incarico di progettazione definitiva, con opzione della progettazione esecutiva e del coordinamento della sicurezza in fase progettuale…” relativamente ai lavori di “…adeguamento alla normativa di prevenzione incendi e antisismica […]”.

Secondo la prospettazione della ricorrente, la stazione appaltante – pur dando atto di avere tenuto conto della “disciplina di cui alla l. 21 aprile 2023, n. 49 (“Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali”), oltre che della delibera ANAC del 20 luglio 2023, n. 343” – avrebbe disatteso tale disciplina posto che tutti i concorrenti della procedura, ad eccezione della sola ricorrente, avevano formulato offerte economiche proponendo un ribasso anche sui compensi professionali posti a base di gara.

L'operatore economico, in definitiva, lamentava la violazione della normativa in materia di tariffe per le prestazioni d'opera intellettuale rese da professionisti e, quindi, delle disposizioni in tema di “equo compenso”.

Svolta questa (seppure breve) ma doverosa premessa, ci si può ora soffermare sulle argomentazioni spese dal TAR nel dirimere la controversia.

Il Collegio ha precisato che la normativa di cui alla legge n. 49/2023 sull'equo compenso non può ammettere deroghe, in quanto la clausola di salvaguardia ivi prevista, e volta a tutelare gli interessi economico-patrimoniali dei professionisti che prestano la propria attività intellettuale nelle gare ad evidenza pubblica, deve ritenersi inderogabile.

Nello specifico, il TAR ha precisato che “[…] il bando di gara non ha previsto, espressamente, l'applicazione della legge sul c.d. equo compenso; e non ha precluso la formulazione di offerte economiche al ribasso sulla componente compenso del prezzo stabilito; tale lacuna, con riferimento ad un profilo sottratto alla libera disponibilità della Stazione appaltante, deve ritenersi integrata dalle norme imperative previste dalla legge n. 49/2023 che, come visto, ha stabilito la nullità delle clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all'opera prestata […]”.

Sulla scorta di tale premessa, il TAR Veneto ha altresì offerto un interessante spunto di riflessione sul coordinamento - e quindi sulla compatibilità - tra il divieto sancito dalla legge n. 49/2023 e il criterio di aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa previsto dal d.lgs. n. 36/2023.

Il Collegio, su tale profilo, ha ribadito la piena compatibilità tra il criterio di aggiudicazione in questione e la disciplina sancita dalla legge n. 49/2023 precisando che il compenso del professionista è “[…] soltanto una delle componenti del prezzo determinato dall'Amministrazione come importo a base di gara, al quale si affiancano altre voci, relative in particolare alle spese ed oneri accessori. L'Amministrazione è chiamata a quantificare tali voci in applicazione del d.m. 17 giugno 2016 per individuare l'importo complessivo da porre a base di gara […]”.

L'orientamento del TAR Lazio: la sentenza del 30 aprile 2024, n. 8580

Nel solco tracciato dalla sentenza “apripista” del TAR Veneto, si colloca la successiva pronuncia del TAR Lazio n. 8580 del 30 aprile 2024, anch'esso chiamato a pronunciarsi sulla ribassabilità – o meno – dei compensi professionali.

Nel caso di specie, il Collegio è stato chiamato a pronunciarsi sul ricorso proposto da un operatore economico che contestava la sua esclusione, “reo” di aver offerto un ribasso anche sui compensi determinati dagli artt. 2 e ss. del d.m. 17 giugno 2016.

Nel caso di specie, peraltro, l'esclusione veniva disposta anche per la violazione della lex specialis di gara che qualificava tali compensi come “inderogabili e non ribassabili”, ai sensi dell'art. 41 comma 15 del d.lgs. n. 36/2023, dell'All. I.13 del Codice e della l. n. 49/2023 (in linea con la Delibera dell'ANAC del 20 luglio 2023, n. 343).

Il ricorso ha offerto al Collegio lo spunto per offrire alcune interessanti considerazioni sul tema della inderogabilità della L. 49/2023

La citata legge, infatti, a giudizio del Collegio, “[…] oltre a perseguire obiettivi di protezione del professionista, mediante l'imposizione di un'adeguata remunerazione per le prestazioni da questi rese, contribuisce, tra l'altro, analogamente al richiamato giudizio di anomalia dell'offerta, a evitare che il libero confronto competitivo comprometta gli standard professionali e la qualità dei servizi da rendere a favore della pubblica amministrazione […]”.

Il TAR Lazio, quindi, sulla scia del precedente del 3 aprile 2024, n. 632 del TAR Veneto, ha ribadito che il compenso per i professionisti non può ritenersi ribassabile in quanto, diversamente ragionando, si determinerebbe un potenziale rischio di creare un insanabile squilibrio nel rapporto contrattuale (proporzione tra quantità e qualità della prestazione dei professionisti), con il rischio peraltro di compromettere la qualità del servizio offerto alla pubblica amministrazione.

Sotto altro e concorrente profilo, a giudizio del TAR, tale interpretazione sarebbe anche avallata anche dall'art. 3 della l. n. 49/2023 che ha previsto un ulteriore clausola di “protezione” a vantaggio e a salvaguardia del professionista.

La citata disposizione, al comma 5, consente infatti al professionista di “di impugnare la convenzione, il contratto, l'esito della gara, l'affidamento, la predisposizione di un elenco di fiduciari o comunque qualsiasi accordo che preveda un compenso iniquo innanzi al Tribunale territorialmente competente in base al luogo in cui ha la residenza, per chiedere la rideterminazione del compenso per l'attività professionale prestata con l'applicazione dei parametri previsti dal decreto ministeriale relativo alla specifica attività svolta”.

Va tuttavia segnalato che le sentenze del TAR Lazio e del TAR Veneto risultano appellate, anche se sui relativi gravami il Consiglio di Stato non si è ancora pronunciato.

La pronuncia del 16 luglio 2024, n. 1494 del TAR Campania - Salerno: prime aperture alla ribassabilità delle tariffe professionali

Alla tesi della non ribassabilità delle tariffe professionali, si oppone invece quella che favorisce la libera concorrenza tra gli operatori economici.

Secondo il TAR campano, infatti, il ribasso sulle tariffe per le prestazioni d'opera intellettuale poste a base di gara sarebbe ammesso poiché un simile divieto rischierebbe di compromettere inevitabilmente la libera concorrenza tra i professionisti.

Il ragionamento del TAR, infatti, conduce a ritenere legittima la previsione di valori tabellari massimi per le prestazioni di ingegneri e architetti (di cui al d.m. 17 giugno 2016), ma non di valori minimi e ciò in quanto si determinerebbe una violazione del principio di libera concorrenza imposto anche dalla normativa euro comunitaria.

Anche in questo caso, prima di procedere oltre, si rende necessaria una sintetica ricostruzione della fattispecie al vaglio del TAR Campania.

Un operatore economico chiedeva l'annullamento dell'aggiudicazione di una procedura per l'affidamento di un appalto integrato relativo a progettazione ed esecuzione di lavori edili lamentando, tra l'latro, che il concorrente primo classificato “…non avrebbe dovuto essere esclusa dalla competizione soltanto all'esito della verifica di anomalia – come, invece, avvenuto nella specie –, ma avrebbe dovuto esserne estromessa già in sede di esame preliminare dell'offerta economica, (poiché)  il ribasso sull'importo a base di gara della progettazione […] (è) stato abnormemente e inammissibilmente praticato, nella misura del 95% […], in violazione delle norme imperative sull'equo compenso di cui agli artt. 1 ss. l. n. 49/2023 […]”.

Su tale rilievo, le conclusioni del Tribunale possono così sintetizzarsi: da un lato il Collegio ha ritenuto che il divieto di ribassare i minimi tariffari indicati dalla legge “[…] rischia di porsi in contrasto con il diritto euro-unitario, che impone di tutelare la concorrenza […]” e, dall'altro, ha ritenuto che tramite il procedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta è comunque garantita la valutazione in ordine alla “remunerabilità” del compenso ribassato per le prestazioni d'opera intellettuale e, quindi, della concreta sostenibilità dell'offerta.

Il TAR, nello specifico, ha ritenuto che nel vigente Codice dei Contratti “è prevista l'applicazione di specifici meccanismi volti a scongiurare la presentazione di offerte eccessivamente basse e, quindi, non sostenibili (la disciplina sull'anomalia dell'offerta, la possibilità di prevedere un'appropriata ponderazione tra punteggio qualitativo ed economico, la possibilità di utilizzare formule per il punteggio economico che disincentivino eccessivi ribassi)” concludendo che “Così interpretato, il quadro normativo [ovverosia quello che risulta dal combinato disposto tra gli artt. 8 co. 2, 41 co. 15 e 108 co. 2 del d.lgs. n. 36/2023] di riferimento appare coerente sia a livello nazionale che a livello europeo”.

In conclusione, rigettando il ricorso, il TAR Campania ha offerto un'interpretazione del quadro normativo di riferimento maggiormente “liberale”, affermando quindi la piena legittimità del ribasso offerto sui compensi previsti a favore dei professionisti con il solo limite dell'anomalia dell'offerta la cui verifica è demandata, caso per caso, alla stazione appaltante.

TAR Calabria, sentenza del 25 settembre 2024, n. 483

Con tale sentenza - la più recente registrata sul tema – il TAR Calabria ha aderito all'orientamento, già tracciato dal TAR Campania – Salerno, secondo cui la normativa dettata dalla Legge n. 49 del 2023, pur rivestendo una importante funzione di salvaguardia dei prestatori d'opera professionale, non può essere interpretata (ed applicata) in contrasto con i principi di libera concorrenza sanciti a livello europeo.

Nell'ambito di una procedura per l'affidamento “[…] del servizio di ingegneria e architettura relativo alla redazione del Progetto di fattibilità tecnica ed economica e CSP […]” un operatore economico lamentava la violazione della l. 49/2023 “nella misura in cui l'Amministrazione procedente, pur avendo previsto nella lex specialis l'applicazione della legge sul c.d. “equo compenso”, sostenendo che la stazione appaltante avrebbe illegittimamente ammesso alla procedura le offerte economiche nelle quali i concorrenti avevano previsto un ribasso anche del corrispettivo per le prestazioni d'opera intellettuale determinato ai sensi del d.m. 17 giugno 2016.

In sintesi, la ricorrente si doleva della mancata esclusione di tutte quelle offerte che avevano operato una riduzione sui compensi per i professionisti.

Il TAR adito, pur riconoscendo la “validità” dei due distinti orientamenti, ha aderito a quello maggiormente “liberale” sulla scia sia della pronuncia del TAR Campania – Salerno, appena richiamata, che della delibera ANAC n. 343 del 2023 (sulla quale si tornerà diffusamente nel successivo paragrafo).

Nello specifico, il TAR ha affermato che “in ordine alle due tesi in campo, il Collegio ritiene di condividere la seconda delle riferite ricostruzioni teoriche, apparendo la propugnata eterointegrazione dei bandi di gara che – come quello rilevante nella presente vicenda – consentano il ribasso anche della componente del compenso; con le norme dettate dalla l. n. 49/2023, sul presupposto della loro natura imperativa, difficilmente sostenibile”.

La posizione dell'ANAC

Con la delibera n. 343/2023 l'ANAC ha espresso parere negativo circa la possibilità di sottoporre al ribasso i compensi dovuti ai professionisti per l'affidamento di prestazioni d'opera intellettuale nell'ambito di una procedura ad evidenza pubblica.

L'ANAC, aderendo ad un'interpretazione “rigida” della normativa di settore, nella citata delibera ha testualmente affermato che “[…] in base alla nuova disciplina dell'equo compenso recata dalla legge 49/2023, nei servizi di ingegneria e architettura non è consentita la fissazione di un corrispettivo inferiore rispetto a quello risultante dall'applicazione delle tabelle ministeriali […]”.

Tale interpretazione si pone quindi in linea con le pronunce del TAR Veneto e del TAR Lazio.

L'Autorità ha ritenuto che la presenza di clausole di salvaguardia nel quadro normativo di riferimento rappresenti una precisa volontà del legislatore di voler salvaguardare i professionisti che prestano la propria attività nell'ambito di procedura ad evidenza pubblica, garantendogli un adeguato e proporzionato compenso relativamente alla quantità ed alla qualità del lavoro svolto.

In aggiunta alla delibera n. 343 del 2023, vanno altresì segnalate due ulteriori pronunce dell'Autorità con le quali si sono offerti interessanti spunti di riflessione sul tema.

Con la delibera n. 101 del 28 febbraio 2024, l'ANAC si è soffermata sulla possibilità di integrare i bandi di gara “viziati” dalla presenza di clausole in contrasto con le norme che impongono la inderogabilità del compenso professionale per architetti e ingegneri.

Sul punto l'Autorità ha affermato che “[…] le procedure di gara dirette all'affidamento di servizi di ingegneria e architettura impedisce che possa operare il meccanismo dell'eterointegrazione del bando di gara e che, per tale via, possa essere disposta l'esclusione di operatori economici che abbiano formulato un ribasso tale da ridurre la quota parte del compenso professionale […]”.

Con un secondo intervento (parere n. 40 del 30 luglio 2024) l'ANAC ha ribadito la necessità di un coordinamento tra la legge n. 49/2023 e il d.lgs. n. 36/2023 così da rendere il quadro normativo sull'equo compenso meno impreciso e lacunoso”.

Con tale parere l'Autorità concluso precisando che, nelle more di un intervento legislativo chiarificatore, le stazioni appaltanti sono libere di prevedere – o meno – la ribassabilità dei compensi professionali.

Secondo l'Autorità i due riferimenti normativi vanno infatti letti “[…] in attuazione dell'articolo 8, comma 2, il quale prevede che la pubblica amministrazione garantisca l'applicazione del principio dell'equo compenso; l'articolo 41, comma 15, fissa la modalità per l'individuazione dei corrispettivi da porre a base di gara facendo riferimento alle tabelle contenute nell'allegato I.13. L'articolo 108, comma 2, individua, quale criterio di aggiudicazione per i servizi tecnici di importo pari o superiore a 140.000,00 euro quello del miglior rapporto qualità-prezzo, garantendo un'adeguata valutazione dell'elemento qualitativo. È prevista l'applicazione di specifici meccanismi volti a scongiurare la presentazione di offerte eccessivamente basse e, quindi, non sostenibili (la disciplina sull'anomalia dell'offerta, la possibilità di prevedere un'appropriata ponderazione tra punteggio qualitativo ed economico, la possibilità di utilizzare formule per il punteggio economico che disincentivino eccessivi ribassi) […]”.

L'intervento della Corte di Giustizia dell'Unione Europea

Per completezza, va anche segnalata l'autorevole pronuncia della CGUE del 25 maggio 2024 n. C-438/22 con la quale la Corte ha affrontato la questione della (in)derogabilità dei minimi tariffari professionali.

Un Tribunale distrettuale di Sofia ha sollevato la questione ritenendo che il Giudice nazionale, nel liquidare i compensi professionali (nello specifico, riguardanti avvocati) aveva previsto, in contrasto il Codice di Procedura “interno”, un compenso inferiore rispetto a quello previsto dalla legge professionale bulgara.

Il Giudice del rinvio, lamentando tale violazione, ha sollevato la questione riguardante quindi la derogabilità (o meno) dei compensi minimi, la cui finalità è quella di garantire un corrispettivo “dignitoso” in favore degli avvocati.

La CGUE, richiamando numerosi precedenti (cfr. Wouters e a., C-309/99, EU:C:2002:98, CHEZ Elektro Bulgaria e FrontEx International, C-427/16 e C-428/16, EU:C:2017:890), si è pronunciata affermando che l'inderogabilità di compensi minimi previsti dalle normative nazionali si porrebbe in contrasto con il principio, sancito a livello europeo, di libera concorrenza.

A giudizio del Giudice europeo, infatti, i valori minimi tabellari sarebbero nulli e dunque inopponibili ai terzi.

Tale orientamento è stato di ispirazione per i Giudici italiani che ne hanno fatto proprio tale principio nelle pronunce, già analizzate, del TAR Campania (Salerno) e del TAR Calabria.

Pur riconoscendo che la fattispecie al vaglio della CGUE è caratterizzata da peculiarità difficilmente estendibili in tutti gli ordinamenti comunitari (le disposizioni bulgare in materia sono molto diverse da quelle italiane e di conseguenza risulta difficile trovare punti di raccordo tra le due discipline), la pronuncia risulta particolarmente interessante in quanto i principi ivi affermati potrebbero aver influito nelle scelte del legislatore in sede di correttivo al Codice dei Contratti pubblici (di cui si parlerà diffusamente nel successivo paragrafo).

Conclusioni e considerazioni finali alla luce del primo correttivo al Codice dei Contratti approvato il 21 ottobre 2024

Il quadro normativo e giurisprudenziale sopra delineato impone alcune brevi considerazioni conclusive.

L'analisi dei due orientamenti contrapposti, unitamente ad una normativa che difetta di un necessario coordinamento, determina l'incertezza, soprattutto per le stazioni appaltanti che pongono a base di gara servizi di architettura e di ingegneria, di operare senza il rischio di porre in essere atti e provvedimenti potenzialmente illegittimi.

Analogamente, in assenza di regole chiare ed universalmente applicate, anche gli operatori economici si trovano nell'impossibilità di proporre offerte consapevoli ed adeguate sulla base di parametri applicati da tutti i concorrenti.

Su tale rilievo, merita di essere nuovamente richiamata la sentenza del TAR Veneto ( del 3 aprile 2024, n. 632) relativo ad una procedura nella quale, al netto del ricorrente, tutti i concorrenti avevano “pacificamente” formulato un ribasso anche sulle tariffe professionali.

Il tema è evidentemente complesso proprio perché contrappone due distinti interessi che, per loro natura, appaiono difficilmente conciliabili: da una parte l'interesse generale a riconoscere la “dignità” delle prestazioni d'opera intellettuali garantendo l'applicazione di tariffe minime e, dall'altro, quello della libera concorrenza nella partecipazione ad una procedura ad evidenza pubblica.

Su tale ultimo aspetto, si pensi, ad esempio, all'ipotesi di un giovane professionista che accetti di eseguire una determinata attività a titolo gratuito ovvero ad un prezzo di tariffa sensibilmente più basso rispetto a quello indicato dalla legge a fini strettamente curriculari.

L'animato dibattito sintetizzato nel presente contributo, peraltro, può solo parzialmente ritenersi superato dal recente intervento del Consiglio dei Ministri che, in data 21 ottobre 2024, ha approvato il primo correttivo al Codice dei Contratti pubblici.

Con tale intervento, il legislatore ha parzialmente abrogato il comma 15 dell'art. 41 d.lgs. n. 36/2023 introducendo il comma 15-bis con il quale si è stabilito che, in tema di equo compenso, nelle procedure per l'affidamento dei contratti relativi ai servizi di natura tecnica e intellettuale, prestati da ingegneri e architetti d'importo pari o superiore a € 140.000, è ammesso il ribasso solo nella misura massima del 35% dell'importo posto a base di gara.

Viceversa, per le procedure ad affidamento diretto d'importo inferiore a .140.000, i compensi possono essere soggetti al ribasso in misura non superiore al 20%.

Fermo, in entrambi i casi, la possibilità di sottoporre l'offerta alla verifica di anomalia secondo le disposizioni del d.lgs. n. 36/2023.

In attesa che tali norme trovino concreta applicazioni, può certamente affermarsi che il correttivo ha superato le problematiche di coordinamento tra la l. n. 49/2023 e il d.lgs. n. 36/2023 stabilendo dei parametri quantitativi che le stazioni appaltanti (e, di conseguenza, gli o.e.) non potranno disattendere delle procedure di gara.

Tuttavia, a giudizio di chi scrive, la novella non ha risolto la delicata questione del bilanciamento degli interessi alla base del contrasto giurisprudenziale di cui si è appena detto.

Se, da un lato, la previsione dei parametri quantitativi introdotti dall'art. 41 comma 15-bis d.lgs. n. 36/2023 comporterà maggiore uniformità nella predisposizione dei bandi di gara, dall'altro la scelta del legislatore non ha superato l'antinomia del bilanciamento tra gli interessi contrapposti, risultando come un intervento, potrebbe dirsi, garantista (ma non troppo) e, allo stesso tempo, liberale (ma non troppo).

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