La "dipendenza economica" è la situazione in cui un'impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un'altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. Ma quando si può dire che ci sia un abuso di tale dipendenza economica? La Cassazione definisce la portata applicativa dell'art. 9 L. 192/1998 che disciplina tale fattispecie.
Devono essere dichiarati nulli i contratti di fornitura e di affitto d’azienda per abuso di dipendenza economica, ai sensi dell'art. 9 L. 192/1998, nei confronti della società oggetto della fornitura e locataria se vi sono elementi dai quali emerge un chiaro ed evidente squilibrio di diritti ed obblighi nel rapporto commerciale tra concedente e impresa affittuaria d’azienda.
È quanto affermato dalla Cassazione che ha così chiarito l'ambito di applicazione della L. 192/1998.
In particolare, l'art. 9 c. 1 di tale legge:
vieta l'abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice;
definisce, inoltre, dipendenza economica quella situazione in cui un’impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi; tale dipendenza va valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subito l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti;
sancisce, fatta salva la prova contraria, la presunzione di dipendenza economica nel caso in cui un'impresa utilizzi i servizi di intermediazione forniti da una piattaforma digitale che ha un ruolo determinante per raggiungere utenti finali o fornitori, anche in termini di effetti di rete o di disponibilità dei dati.
Ogni patto attraverso il quale si realizzi l'abuso di dipendenza economica è nullo (art. 9 c. 3 L. 192/1998).
Il giudice, stante il principio costituzionale della libertà d’iniziativa economica, per vanificare un’operazione negoziale deve adeguatamente ponderare tutti gli elementi di fatto e di diritto, al fine di una puntuale ricostruzione della causa concreta degli accordi, ed un effettivo accertamento dell’esistenza di una condotta arbitraria ed ingiustificata.
La Cassazione chiarisce, pertanto, che, ai fini dell'applicazione della norma, è necessario:
con riguardo alla sussistenza della situazione di dipendenza economica, indagare non se sussista una situazione di mero squilibrio o “asimmetria” di diritti e di obblighi, ma se lo squilibrio sia “eccessivo” (art. 9 c. 1 L. 192/1998) e, inoltre, se l’altro contraente sia realmente privo di alternative economiche sul mercato (rilevando, ad esempio, la dimensione della società dipendente, che non permetta agevolmente di differenziare la propria attività, o l’avere adeguato l’organizzazione e gli investimenti in vista di quel rapporto);
indagare sulla condotta arbitraria contraria a buona fede, ovvero sull’intenzionalità di una vessazione perpetrata sull’altra impresa, in vista del perseguimento di fini esulanti dalla lecita iniziativa commerciale retta da un apprezzabile interesse economico dell’impresa dominante (come la legittima esigenza di modificare le proprie strategie di espansione, di adattare il tipo o la quantità del prodotto, ma anche di spuntare legittimamente migliori condizioni), in quanto volta, al contrario, essenzialmente a cagionare il pregiudizio altrui.
Non ogni situazione di dipendenza economica può dirsi vietata, ma unicamente quella che sia abusivamente sfruttata dalla parte dominante, al fine di trarne vantaggi ulteriori rispetto a quelli derivanti dal legittimo esercizio della propria autonomia negoziale.
Caso concreto
La società Alfa ha fornito alla società Beta delle merci e affittato parte della sua attività (affitto d'azienda) alla seconda.
Successivamente, la società Beta è fallita.
La società Alfa, credendo di avere diritto ad essere pagata per le merci fornite e per l'affitto, ha chiesto di essere inserita nell'elenco dei creditori della società fallita (stato passivo) per poter recuperare il denaro che le spettava.
Il Tribunale, però, ha deciso di non includere la società Alfa tra i creditori, perché ha ritenuto che i contratti stipulati tra le due aziende fossero nulli. In altre parole, il Tribunale ha considerato questi contratti come se non fossero mai esistiti.
La ragione principale di questa decisione è stata l'abuso di dipendenza economica. In pratica, il Tribunale ha stabilito che la società Alfa, essendo una società più grande e potente della società Beta, aveva approfittato di questa situazione di inferiorità per imporre delle condizioni contrattuali molto svantaggiose alla società più piccola.
Essendo i contratti nulli, i crediti vantati dalla società Alfa sono considerati inesistenti. Di conseguenza, l'azienda non può più pretendere di essere pagata dalla società Beta.
La società Alfa decide così di fare ricorso alla Corte di Cassazione.
Secondo la Cassazione, il Tribunale aveva correttamente applicato tali principi, ritenendo provata l’instaurazione di una situazione in cui una impresa era in grado di determinare, nei rapporti commerciali con la fallita, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi sulla base dei seguenti elementi:
la stipula del contratto di affitto d’azienda per i negozi dell’impresa, con relative autorizzazioni all’uso del marchio e dei relativi prodotti, a pochi mesi dalla costituzione della società;
le modalità della locazione d’azienda senza personale e senza merci;
l’entità del corrispettivo e la previsione della clausola per cui la società locataria che aveva concesso l’utilizzo del marchio sarebbe rimasta sempre “libera di prendere qualsivoglia determinazione per quanto concerne l’esecuzione ovvero lo scioglimento dei propri rapporti”;
le previsioni di condizioni generali di vendita e di fissazione dei prezzi che lasciavano ampia discrezionalità alla società locataria ed attribuivano quest’ultima, oltre che situazioni contrattuali vantaggiose, penetranti poteri sulle modalità di vendita, percentuali della scontistica da applicare, i periodi promozionali, le linee da promuovere lo stile gli allestimenti, circa le autorizzazioni e le condizioni generali di vendita;
la circostanza, risultante dai bilanci e dalla documentazione contabile della società in fallimento, che l’unico cliente e fornitore della fallita è stata la locataria, per tutta la sua “esistenza commerciale” e che in ciascun anno di esercizio la società in fallimento ha appostato al passivo milioni di euro verso la società locataria per forniture e locazione;
le condizioni e qualità dei contraenti (una società di capitali di modeste dimensioni il cui “business” era rappresentato esclusivamente dai rapporti con un grande gruppo industriale).
Tali accertamenti in fatto – che peraltro non sono neppure suscettibili di essere messi in discussione in sede di giudizio di legittimità – danno conto:
dell’evidente situazione di squilibrio, quale conseguenza della chiara ed abusiva posizione dominante della società a fronte della dipendenza economica della contraente più debole, costretta a sottostare a qualsiasi pretesa;
dell’impossibilità o della difficoltà della società fallita di reperire sul mercato adeguate alternative.
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