La prevalenza del primato del diritto dell’Unione europea anche in caso di pronunce delle corti costituzionali con esso contrastanti
31 Ottobre 2024
Massima L'articolo 1, paragrafi 1 e 2, nonché l'articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, letti in combinato disposto con il principio di effettività e con l'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, devono essere interpretati nel senso che essi ostano alla normativa di uno Stato membro, come interpretata dalla sua corte costituzionale, in forza della quale la sentenza definitiva di un giudice amministrativo relativa alla qualificazione di un evento come «infortunio sul lavoro» riveste autorità di cosa giudicata dinanzi al giudice penale chiamato a pronunciarsi sulla responsabilità civile in forza dei fatti addebitati all'imputato, nel caso in cui tale normativa non consenta agli aventi causa del lavoratore vittima di tale evento di essere ascoltati nel procedimento in cui si statuisca sull'esistenza di siffatto infortunio sul lavoro. Il caso Il contrasto con il diritto dell'Unione europea della normativa rumena, come interpretata dalla corte costituzionale nazionale, in materia di tutela di sicurezza e salute dei lavoratori. Con la sentenza in commento la Corte di Giustizia dell'Unione europea si pronuncia sulla domanda, proposta ai sensi dell'articolo 267 TFUE, vertente sull'interpretazione dell'articolo 1, paragrafi 1 e 2, nonché dell'articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, e dell'articolo 31, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Tale domanda era stata presentata nell'ambito di un procedimento penale a carico del responsabile della sicurezza sul lavoro della SC Energotehnica SRL Sibiu (d'ora in poi “Energotehnica”), per inosservanza delle misure di legge in materia di sicurezza e salute sul lavoro e per omicidio colposo, a seguito del decesso di un elettricista dipendente dalla stessa società, mentre svolgeva un intervento su un apparecchio di illuminazione esterno in un'azienda agricola. Il processo penale era stato definito in primo grado con una sentenza di assoluzione e contestualmente di rigetto dell'azione civile intentata dagli aventi causa della vittima. Nelle more del processo penale era stato definito anche il giudizio amministrativo instaurato sulla medesima vicenda, su iniziativa della Energotehnica, con la sentenza del giudice di appello che ha disposto l'annullamento del verbale d'indagine dell'Ispettorato del Lavoro, escludendo, quindi, che il decesso fosse qualificabile «infortunio sul lavoro». Nel grado di appello del processo penale, quindi, il giudice ha proposto la domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea, rilevando che, conformemente al diritto rumeno, come interpretato alla luce della giurisprudenza della corte costituzionale rumena, la decisione del giudice amministrativo si impone al giudice penale a causa dell'autorità di cosa giudicata di cui essa è dotata. Il giudice del rinvio ha precisato, infatti, che chiarire se l'evento all'origine del decesso della vittima costituisca un «infortunio sul lavoro», ai sensi della legge sulla sicurezza e la salute sul lavoro, è una questione preliminare, nell'accezione dell'articolo 52 del codice di procedura penale rumeno e che la Corte costituzionale, con decisione del 17 febbraio 2021, ha riconosciuto carattere assoluto all'autorità di cosa giudicata delle sentenze civili, in senso lato, che dirimono siffatte questioni preliminari. Da ciò la richiesta di risoluzione di due questioni pregiudiziali. La prima questione della compatibilità della normativa nazionale, come interpretata dalla corte costituzionale, con i principi della protezione dei lavoratori e della responsabilità del datore di lavoro, sanciti dall'articolo 1, paragrafi 1 e 2, nonché dall'articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE e dall'articolo 31, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea che riconosce ad ogni lavoratore il diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose. La seconda questione - condizionata dalla risposta sulla prima - relativa alla compatibilità con il diritto dell'Unione europea di una normativa o prassi nazionale in base alla quale i giudici nazionali di diritto comune sono vincolati dalle decisioni della corte costituzionale nazionale e non possono, per questo motivo e salvo commettere un illecito disciplinare, disapplicare d'ufficio la giurisprudenza risultante da tali decisioni, anche se la ritengono contraria alla normativa eurounitaria. La Corte di giustizia UE, superati i profili di ricevibilità, ai fini della soluzione nel merito alle questioni sollevate, evidenzia la pertinenza dell'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali UE sul diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, sebbene non considerato quale parametro normativo dal giudice del rinvio. In relazione alla direttiva 89/391 e all'articolo 31 della Carta dei diritti fondamentali, la Corte chiarisce che pur facendo riferimento al principio della responsabilità del datore di lavoro, e pur stabilendo obblighi generali relativi alla protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori in tutti gli aspetti connessi al lavoro, non contengono alcuna disposizione specifica relativa alle modalità procedurali dei ricorsi diretti a far sorgere la responsabilità del datore di lavoro che non abbia rispettato tali obblighi, in quanto la loro concreta attuazione è rimessa all'autonomia procedurale degli Stati membri, purché siano rispettati i principi di equivalenza e di effettività. Parimenti rimesse all'autonomia procedurale degli Stati membri sono le modalità di attuazione del principio dell'intangibilità del giudicato, purché siano sempre rispettati i principi di equivalenza e di effettività. A questo punto, la Corte evidenzia che, quando, in particolare, gli Stati membri definiscono le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali destinati ad assicurare la salvaguardia dei diritti conferiti dalla direttiva 89/391, essi devono garantire il rispetto del diritto ad un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, sancito dall'articolo 47 della Carta, che costituisce una riaffermazione del principio della tutela giurisdizionale effettiva, specificando che tale diritto è composito e comprende il diritto di essere ascoltato. Applicando tali principi al caso di specie, la Corte conclude, quindi, nel senso che spetta al giudice nazionale verificare se gli aventi causa della vittima, parti civili nel procedimento dinanzi al giudice penale, abbiano disposto del diritto di essere ascoltati dinanzi al giudice amministrativo per quanto riguarda, in particolare, la qualificazione in via definitiva dell'evento in questione nel procedimento principale come “infortunio sul lavoro”. In caso di risposta negativa, il giudice nazionale sarà tenuto a disapplicare anche l'eventuale normativa, come interpretata dalla corte costituzionale, in forza della quale la sentenza definitiva di un giudice amministrativo relativa alla qualificazione di un evento come “infortunio sul lavoro” riveste autorità di cosa giudicata dinanzi al giudice penale. Quanto, invece, alla seconda questione, la Corte, richiama la giurisprudenza che prevede sia il dovere per il giudice nazionale di disapplicare all'occorrenza la norma nazionale che gli impone di rispettare le decisioni di tale organo giurisdizionale di grado superiore, qualora contrastanti con il diritto unionale, sia il dovere per gli Stati membri di prevedere una normativa che consenta di contestare un illecito disciplinare a un giudice nazionale per qualsiasi inosservanza delle decisioni di una corte costituzionale nazionale. La questione viene, quindi, risolta nel senso che il principio del primato del diritto dell'Unione deve essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa di uno Stato membro in base alla quale gli organi giurisdizionali nazionali di diritto comune non possono, a pena di procedimenti disciplinari a carico dei loro membri, disapplicare d'ufficio decisioni della corte costituzionale di tale Stato membro, sebbene ritengano, alla luce dell'interpretazione fornita dalla Corte, che tali decisioni violino i diritti che i singoli traggono dalla direttiva 89/391. La questione Con la sentenza in commento, la Corte di giustizia UE ha affrontato la questione della prevalenza del primato della disciplina dell'Unione europea, anche se priva di efficacia diretta, in caso di pronunce delle corti costituzionali sulla normativa interna di attuazione contrastanti il principio dell'effettività della tutela giurisdizionale. Innanzitutto la questione è stata sollevata dal giudice del rinvio limitatamente al primato della normativa eurounitaria in materia di tutela dei lavoratori rispetto alla normativa nazionale rumena, come interpretata dalla corte costituzionale. In particolare, la corte costituzionale rumena aveva riconosciuto carattere assoluto all'autorità di cosa giudicata delle sentenze civili o amministrative che dirimono questioni preliminari rispetto ad elementi costitutivi di una fattispecie di reato, nell'accezione dell'articolo 52 del codice di procedura penale rumeno. La questione si era, quindi, concretamente posta nel giudizio penale per reati derivanti dall'inosservanza delle misure di legge in materia di sicurezza e salute sul lavoro e per omicidio colposo, in quanto rispetto alla medesima vicenda si era già formato un giudicato amministrativo che aveva escluso che l'evento costituisse un “infortunio sul lavoro” ai sensi del diritto rumeno, vincolando, così, in thesi, il giudice penale nell'accertamento di un elemento costitutivo del reato sul quale era chiamato a pronunciarsi. Il giudice del rinvio ha, quindi, prospettato la contrarietà di una tale interpretazione del diritto nazionale tale da minare direttamente il principio della responsabilità del datore di lavoro e quello della tutela dei lavoratori, sanciti dall'articolo 1, paragrafi 1 e 2, e dall'articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 89/391, letti alla luce dell'articolo 31, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentale, in quanto impedisce al giudice di statuire sul sorgere della responsabilità penale o civile, laddove le parti ascoltate nei due procedimenti non sono le stesse. Tuttavia, la Corte di giustizia UE affronta la questione sotto l'angolo prospettico della violazione del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, garantito dall'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali UE, ritenendo maggiormente pertinente quest'ultimo riferimento normativo. Ciò perché la Corte di giustizia UE può anche essere condotta a prendere in considerazione norme di tale diritto alle quali il giudice nazionale non ha fatto riferimento nella formulazione della sua questione. La Corte, infatti, evidenzia che la normativa contenuta nella direttiva 89/391- così come l'invocato articolo 31 della Carta - non contiene alcuna disposizione specifica relativa alle modalità procedurali dei ricorsi diretti a far sorgere la responsabilità del datore di lavoro che non abbia rispettato tali obblighi, in virtù del principio dell'autonomia procedurale riconosciuta agli Stati membri che restano liberi di stabilire le modalità di attuazione della relativa disciplina, fatto solo salvo il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività della tutela. La stessa autonomia procedurale è riconosciuta agli stati membri quando stabiliscono le modalità di attuazione del principio dell'intangibilità del giudicato. Nondimeno, nell'esercizio di tale autonomia procedurale devono essere rispettati il principio di equivalenza e soprattutto il principio di effettività che trova la sua affermazione nel riconoscimento del diritto ad un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, sancito dall'articolo 47 della Carta. Il problema posto in concreto dal giudice del rinvio attiene, quindi, al rispetto di tale diritto, composto da vari elementi, tra cui in particolare il diritto di essere ascoltato, nel caso in le parti che richiedono l'accertamento della responsabilità di un infortunio sul lavoro non sono messe in grado di prendere posizione in merito alla qualificazione di tale evento, quale condizione necessaria per il sorgere di detta responsabilità, prima che l'esistenza di tale condizione sia decisa in modo definitivo dal giudice adito. La questione è, quindi, direttamente collegata alla necessità che il giudice nazionale verifichi se gli aventi causa della vittima, parti civili nel procedimento dinanzi al giudice penale, abbiano disposto del diritto di essere ascoltati dinanzi al giudice amministrativo per quanto riguarda, in particolare, la qualificazione in via definitiva dell'evento in questione nel procedimento principale come “infortunio sul lavoro”. Nel caso in cui l'accertamento dia esito negativo, si pone l'ulteriore questione che il giudice nazionale possa - o debba - disapplicare anche una pronuncia della corte costituzionale che non consenta il pieno rispetto del diritto ad un ricorso effettivo, sub specie del diritto ad essere ascoltati, senza incorrere in un illecito disciplinare. La soluzione giuridica Il potere del giudice nazionale di disapplicazione delle sentenze della corte costituzionale. La Corte di Giustizia UE risolve la specifica questione della compatibilità con il diritto eurounitario della normativa rumena di attuazione della direttiva 89/391/CEE, in materia di miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori, così come interpretata dalla corte costituzionale, adottando una soluzione, di portata generale, che attribuisce sempre prevalenza al principio del primato del diritto dell'Unione europea, dal quale deriva il principio di interpretazione conforme. Tale principio esige che i giudici nazionali si adoperino al meglio nei limiti del loro potere, prendendo in considerazione il diritto interno nel suo insieme e applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest'ultimo, al fine di garantire la piena efficacia del diritto eurounitario e di pervenire a una soluzione conforme allo scopo perseguito da quest'ultimo. La soluzione adottata richiama e sviluppa ulteriormente il principio secondo cui il giudice nazionale che abbia esercitato la facoltà ad esso attribuita dall'articolo 267, secondo comma, TFUE deve eventualmente discostarsi dalle valutazioni di un organo giurisdizionale nazionale di grado superiore qualora esso ritenga, in considerazione dell'interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia UE, che queste ultime non siano conformi al diritto dell'Unione, disapplicando all'occorrenza la norma nazionale che gli impone di rispettare le decisioni di tale organo giurisdizionale di grado superiore. La Corte di Giustizia, infatti, estende il principio in questione alle ipotesi nelle quali il giudice nazionale, in base alla normativa dello Stato membro di attuazione di una direttiva non self-executing, sia vincolato da una decisione della corte costituzionale, anche qualora la ritenga in contrasto con il diritto dell'Unione. A tal proposito, la Corte ribadisce, quindi, come corollario che il diritto dell'Unione osta a una normativa o a una prassi nazionale che consente di contestare un illecito disciplinare a un giudice nazionale per qualsiasi inosservanza delle decisioni di una corte costituzionale nazionale. La soluzione mira, quindi, a preservare l'indipendenza dei giudici di diritto comune e a garantire l'effettività della loro facoltà di adire la Corte di Giustizia UE ai sensi dell'articolo 267 TFUE, intesa come competenza esclusiva. Osservazioni L'attuazione del principio dell'effettività della tutela giurisdizionale garantita dall'indipendenza dei giudici. La Corte di Giustizia dell'Unione europea, con la pronuncia in commento, risolve in via pregiudiziale le questioni poste dal giudice del rinvio ricorrendo ad un parametro normativo non preso in considerazione nell'ordinanza exarticolo 267 TFUE, ossia all'articolo 47 della Carta, che sancisce il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva. Ciò perché, in primo luogo, la normativa invocata dal giudice del rinvio non contiene disposizioni specifiche relative alle modalità procedurali dirette ad attuare i diritti da essa riconosciuti e, in secondo luogo, perché, a differenza del giudizio di legittimità costituzionale che ha la caratteristica- sebbene solo relativa e tendenziale - di essere vincolato al thema decidendum posto dall'atto introduttivo, in ordine all'oggetto, al parametro e ai motivi di censura, il giudizio che si svolge dinanzi alla Corte di Giustizia UE, ai sensi dell'articolo 267 TFUE, mira a fornire al giudice nazionale una soluzione utile che gli consenta di dirimere la controversia, sicché possono essere valorizzati anche ulteriori elementi di diritto dell'Unione che richiedono un'interpretazione, tenuto conto dell'oggetto della controversia principale. L'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea viene, infatti, ritenuto pertinente ai fini della risposta da dare alle questioni sollevate e idoneo a risolverle, in quanto rappresenta un limite e criterio di legittimità della disciplina attuativa della direttiva in materia di sicurezza e salute dei lavoratori, nonché in grado di imporsi, anche qualora la normativa nazionale di attuazione sia stata interpretata autorevolmente dalla corte costituzionale nazionale in chiave di dubbia compatibilità con il diritto dell'Unione. Si tratta, quindi, delle ipotesi in cui non è stato possibile prevenire eventuali conflitti tra le due Corti, in quanto non è stato attivato preventivamente quel “dialogo” che, ormai, la nostra Corte Costituzionale ha avviato con la Corte di Giustizia UE, quale espressione della “costruttiva e leale cooperazione fra i diversi sistemi di garanzia”, ricorrendo direttamente allo strumento previsto dall'articolo 267 TFUE. Nella fattispecie in esame sottoposta al vaglio della Corte di Giustizia, infatti, la sentenza della corte costituzionale rumena che ha riconosciuto carattere assoluto all'autorità di cosa giudicata delle sentenze civili e amministrative, che dirimono le questioni preliminari che si pongono in un giudizio penale, viene considerata senz'altro ostativa all'attuazione dell'effettività della tutela giurisdizionale in materia di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori. In definitiva, l'unico rimedio a questa situazione di conflitto tra ordinamenti è costituito dal riconoscimento del potere dei giudici nazionali di disapplicare d'ufficio le pronunce della corte costituzionale nazionale in contrasto con il diritto dell'Unione. Per far ciò, però, i giudici nazionali devono essere garantiti nella loro indipendenza dal proprio Stato di appartenenza al quale deve, quindi, essere inibita l'adozione di una normativa o di una prassi che contesti quale illecito disciplinare qualsiasi inosservanza delle decisioni di una corte costituzionale nazionale. In altri termini, la necessità di conformarsi alle pronunce del giudice costituzionale o dell'organo giurisdizionale supremo dello Stato non può essere di ostacolo all'adozione, da parte dei giudici nazionali, di tutte le misure occorrenti al fine di assicurare l'applicazione delle norme dell'Unione, a prescindere dalla loro efficacia diretta o meno. La Corte di Giustizia UE riconosce e ribadisce, quindi, ancora una volta, la centralità del giudice comune nell'attività di corretta interpretazione e piena applicazione del diritto dell'Unione, specie quando è chiamato a verificare la conformità delle discipline nazionali che definiscono le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali destinati ad assicurare la salvaguardia dei diritti conferiti dalle direttive. Costituisce, infatti, orientamento giurisprudenziale consolidato della Corte quello secondo cui l'esercizio del potere del giudice comune di fare, all'atto stesso dell'applicazione del diritto dell'Unione, tutto quanto è necessario per disapplicare una normativa o una prassi nazionale costituisce una garanzia inerente all'indipendenza dei giudici derivante dall'articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE. La Corte di Giustizia UE ha, invero, già affermato tale principio con riguardo a disposizioni del diritto dell'Unione dotate di efficacia diretta, specificando, altresì, che tale potere non può essere limitato neppure se su una questione implicante un'interpretazione o una valutazione della validità delle norme giuridiche dell'Unione si sia pronunciata già la corte costituzionale nazionale. Con la sentenza in commento, quindi, viene affermata nuovamente l'autonomia e l'esclusività della competenza del giudice comune nel garantire la piena attuazione delle norme del diritto dell'Unione, estendendola anche alle norme sprovviste di efficacia diretta, come le direttive, dovendo svolgere il compito, ancora più delicato, di verificare che il legislatore nazionale garantisca, nell'esercizio della propria autonomia procedurale, l'effettività della tutela giurisdizionale dei diritti conferiti dal diritto dell'Unione. Guida all'approfondimento A titolo esemplificativo: Brambilla, P rescrizione, tutela dei diritti fondamentali e salvaguardia degli interessi dell'unione: una nuova pronuncia della Corte di Giustizia, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, fasc. 4, 1° dicembre 2023, p. 1675 Catalano, La sentenza n. 84/2021 della Corte Costituzionale: un esempio di dialogo ‘armonico' con la Corte di Giustizia dell'unione Europea, in Diritto di Difesa, fasc. 2, 1° giugno 2021, p. 281. Recchia, Il rinvio pregiudiziale alla corte di giustizia in materia penale ovvero della doppia pregiudizialità in action, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, fasc. 4, 1° dicembre 2023, p. 1437. Sandulli, Impervi sentieri dell'interlegalità: dal conflitto tra giurisdizioni allo scontro tra ordinamenti, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, fasc. 1, 1° febbraio 2021, p. 57. Vismara, Rapporti tra Corte Costituzionale italiana e giudice ordinario nella dinamica del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, in Dir. Un. Eur., fasc. 2, 2012, p. 309. |