Azione risarcitoria e azione di arricchimento senza causa in materia di procedure di gara per l’affidamento di appalti
06 Novembre 2024
Massima
Il caso Il risarcimento del danno da mancata aggiudicazione dell'appalto: presupposti e limiti. Con la sentenza in commento il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana ha respinto l'appello proposto avverso la sentenza del TAR Sicilia che aveva rigettato la domanda di risarcimento danni da mancata aggiudicazione di una gara di appalto indetta dal Comune di Caltanissetta, ritenendo condivisibile il percorso logico-argomentativo utilizzato dal primo giudice. Il caso, oggetto di una complessa e lunga vicenda giudiziaria ricostruita in sede di appello, trae origine da una gara di appalto indetta per l'affidamento del servizio di raccolta, trasporto dei rifiuti solidi urbani, spazzamento e servizi di igiene ambientale, conclusasi con l'aggiudicazione alla odierna appellante, annullata in sede giurisdizionale dal TAR Sicilia, con la sentenza n. 1210 del 2017, successivamente riformata dal Consiglio di Giustizia Amministrativa con la decisione n. 575 del 28 dicembre 2017. Quando ancora l'appello non era stato formalmente proposto, la stazione appaltante aveva, però, in esecuzione della sentenza di primo grado, aggiudicato la gara alla società risultata vincitrice nel contenzioso dinanzi al TAR, con la determina dirigenziale n. 640 del 29 maggio 2017. In seguito alla proposizione dell'appello, non essendo stata richiesta in via interinale la sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, l'Amministrazione ha provveduto anche alla consegna dell'appalto alla nuova aggiudicataria. Tuttavia, dopo la pubblicazione della sentenza n. 575 del 2017, in esito alle verifiche ex art. 32, comma 7, del d. lgs. n. 50 del 2016 finalizzate all'affidamento del contratto alla originaria aggiudicataria, la stazione appaltante ha avviato il procedimento di revoca dell'aggiudicazione a suo tempo disposta con la prima determina dirigenziale, avendo acquisito informative antimafie ostative alla aggiudicazione. Prima della conclusione del procedimento avviato per la revoca della originaria aggiudicazione l'odierna appellante ha proposto dinanzi al TAR Sicilia la domanda di risarcimento del danno da mancata aggiudicazione, respinta, infine, con la sentenza confermata in appello con la sentenza in commento. Il giudice di appello richiama, quindi, i punti salienti della sentenza del giudice di primo grado, relativi all'onere della prova sussistente in capo al danneggiato che agisca dinanzi al giudice amministrativo e alla mancanza di prova, nella fattispecie in esame, del nesso di causalità tra l'attività posta in essere dall'Amministrazione e il danno asseritamente subito. Nel condividerli, il C.G.A.R.S. ribadisce l'indirizzo giurisprudenziale, risalente alla pronuncia dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 23 aprile 2021, n. 7, secondo cui il paradigma cui è improntato il sistema della responsabilità dell'amministrazione per l'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa o per il mancato esercizio di quella doverosa, devoluto alla giurisdizione amministrativa, è quello della responsabilità da fatto illecito, con conseguente applicazione della disciplina dettata dall'art. 2043 cod. civ. In particolare, il Collegio ribadisce l'esclusione di automatismi tra l'accertamento dell'illegittimità dell'atto e le sue conseguenze risarcitorie ed evidenzia che, nella fattispecie in esame, oltre all'assenza del nesso di causalità, già individuato dal giudice di primo grado, non ricorrerebbe né l'elemento soggettivo della colpa, né l'elemento oggettivo della cd. ingiustizia del danno. Con riguardo a tale elemento strutturale della fattispecie aquiliana, l'assenza del quale esclude a monte lo scrutinio del profilo soggettivo, la sentenza chiarisce che il danno asseritamente subito dall'appellante non discende da una condotta illecita o da un provvedimento illegittimo della stazione appaltante, bensì risulta conseguenza immediata e diretta dell'avvenuta esecuzione, imposta da una decisione giurisdizionale di primo grado, la cui efficacia non è stata interinalmente sospesa, per scelta dello stesso appellante. Nel ripercorrere la vicenda, così come si è sviluppata in senso cronologico, il Collegio evidenzia la piena buona fede della stazione appaltante, non potendole essere imputata la circostanza che il contratto già stipulato nelle more fosse venuto a scadenza naturale, non essendo più praticabile nei fatti la sostituzione dell'appaltatore. Sebbene l'appellante non avesse proposto domande in tal senso, il Collegio decide di affrontare il tema dei rimedi approntati dall'ordinamento a fronte di spostamenti patrimoniali non connotati da illiceità, ma solo privi di giustificazione causale, richiamando la sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa n. 600 del 21 luglio 2008 che aveva indicato i rimedi della ripetizione dell'indebito da parte dell'amministrazione o dell'arricchimento senza causa da parte dell'operatore economico che, in esito al giudicato definitivo, sia risultato quello legittimato a conseguire l'aggiudicazione, sebbene l'appalto sia stato nei fatti eseguito da un altro soggetto. Nella sentenza, infine, viene affrontata la questione, su di un piano generale e di sistema, della sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo in caso di proposizione dell'azione generale di arricchimento senza causa, nonché della esistenza delle norme del codice che ne legittimano e disciplinano l'ingresso nel processo amministrativo. La questione I rimedi previsti dall'ordinamento nei casi di spostamenti patrimoniali ingiustificati non connotati da illiceità in materia di procedure di gara per l'affidamento di appalti. Con la sentenza in commento, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana ha affrontato la questione, effettivamente “non particolarmente arata” dalla giurisprudenza amministrativa, di quali siano gli strumenti di tutela apprestati dall'ordinamento a fronte di spostamenti patrimoniali ingiustificati non causati da un fatto illecito e che, quindi, non possono essere reintegrati attraverso il rimedio del risarcimento del danno aquiliano in materia di procedure di gara per l'affidamento di appalti. Innanzitutto la questione presuppone quella processuale della spettanza della giurisdizione al giudice amministrativo delle domande volte a rimediare a spostamenti patrimoniali ingiustificati, con le quali il ricorrente intende esercitare un vero e proprio diritto soggettivo nei confronti di un altro privato. La sentenza in commento risolve tale questione facendo rientrare tali controversie in quelle "particolari materie" devolute per legge alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in ossequio all'art. 103 della Costituzione. La disciplina processuale di riferimento sarebbe, poi, costituita dall'art. 30, comma 1, cod. proc. amm., che fa riferimento all'azione di condanna genericamente intesa, che può essere proposta contestualmente ad altra azione o, nei soli casi di giurisdizione esclusiva, anche in via autonoma, nonché dall'art. 41, comma 2, ultimo periodo, cod. proc. amm. che impone al ricorrente che proponga dinanzi al giudice amministrativo l'azione di condanna, genericamente intesa, di evocare tutti gli “eventuali beneficiari dell'atto illegittimo”. Quanto alla questione principale di merito, la sentenza in commento riprende e sviluppa gli argomenti, già utilizzati in precedenza nella sentenza n. 600 del 2008, relativi ai rimedi restitutori previsti dall'ordinamento in favore di un operatore economico che, sulla base di un affidamento contrattuale, all'epoca dell'esecuzione pienamente efficace, abbia eseguito il contratto, percependo il relativo corrispettivo, quando si accerti, all'esito di un contenzioso giurisdizionale, che l'affidamento sarebbe invece spettato ad altra impresa, la quale, pertanto, risulti essere l'unica legittimata a stipulare il contratto e a eseguire il lavoro o il servizio. In tal caso, l'impresa esecutrice del contratto sulla base di un titolo pro tempore pienamente efficace, ma successivamente caducato retroattivamente da un provvedimento giurisdizionale, risulterà avere eseguito il lavoro o il servizio sine titulo, sicchè l'impresa risultata vittoriosa nel contenzioso giurisdizionale, alla quale sarebbero spettati tutti i vantaggi derivanti dal contratto, potrà agire ex art. 2041 cod. civ. nei confronti della prima. La questione è, quindi, legata al principio generale di causalità di ogni spostamento patrimoniale - positivamente espresso negli articoli 2033 e ss. e 2041 e ss. cod. civ.- che postula una iusta causa per ogni pagamento effettuato e perciò, in assenza di essa, un'obbligazione restitutoria dell'accipiens per tutto ciò che abbia indebitamente ricevuto. La sentenza in commento rammenta, in particolare, i caratteri di generalità e sussidiarietà dell'azione di arricchimento senza causa, previsti dall'art. 2041 cod. civ., e, quindi, gli elementi costitutivi della fattispecie dell'arricchimento ingiustificato, individuati pacificamente dalla giurisprudenza ordinaria: nell'arricchimento a favore di un soggetto; nell'impoverimento subito da un altro soggetto; nel nesso di correlazione tra i predetti due requisiti; nell'assenza di una giusta causa dell'arricchimento; nella mancanza di qualsiasi altra azione in favore dell'impoverito per ottenere la reintegrazione patrimoniale. Ulteriore questione affrontata è, quindi, quella dei rapporti tra l'azione di arricchimento senza causa e quella risarcitoria, definiti dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (cfr. Cass. S.U. 10 settembre 2009, n. 19448), in termini di ontologica diversità sia sotto il profilo del petitum, sia della causa petendi. La soluzione giuridica Le proponibilità della domanda di arricchimento senza causa nell'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana risolve la questione delle azioni giurisdizionali proponibili dall'operatore economico che in esito al giudicato di annullamento, sia risultata quello legittimato a conseguire l'aggiudicazione e, come tale, l'unico avente titolo a svolgere il lavoro o il servizio, di fatto svolto, nelle more del giudizio, da un altro soggetto che ha, quindi, conseguito un guadagno divenutosine titulo, a seguito della caducazione retroattiva della gara. La soluzione adottata richiama e sviluppa quella già proposta dallo stesso Consiglio di giustizia amministrativa nel 2008, con sentenza n. 600, che aveva indicato la strada per la ripetibilità dell'utile di impresa percepito dall'esecutore del contratto, ex art. 2041 cod. civ., direttamente dalla parte che, in esito al giudicato definitivo, sia risultata quella legittimata a conseguire l'aggiudicazione. Si tratterebbe di un'azione proponibile anche dinanzi al giudice amministrativo, nell'ambito della sua giurisdizione esclusiva in materia di appalti, disciplinata sul piano processuale dall'art. 30, comma 1, cod. proc. amm., che si riferisce all'azione di condanna genericamente intesa e che, quindi, non coincide solo con l'azione di condanna al risarcimento danni. Ulteriore norma processuale di riferimento sarebbe l'art. 41, comma 2, ultimo periodo, cod. proc. amm., che impone la notifica del ricorso agli eventuali beneficiari dell'atto illegittimo, ai sensi dell'articolo 102 del cod. proc. civ. (altrimenti il giudice provvede ai sensi dell'articolo 49 cod. proc. amm.), garantendo, così, la partecipazione al giudizio amministrativo dei controinteressati che abbiano beneficiato dell'atto illegittimo. La soluzione adottata si imporrebbe tutte le volte in cui l'operatore economico illegittimamente pretermesso, così come accertato in via definitiva da una pronuncia giurisdizionale, non possa trovare ristoro economico mediante l'azione di risarcimento danni aquiliana nei confronti della stazione appaltante. In particolare, ciò può accadere ogniqualvolta non viene fornita in giudizio la rigorosa prova di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie aquiliana, ad esclusione dell'elemento soggettivo, dal quale si prescinde del tutto ai fini dell'accertamento della responsabilità della pubblica amministrazione in materia di appalti, in ossequio alla giurisprudenza di matrice europea. La sentenza in commento, richiamando il principio di diritto enunciato dall'Adunanza Plenaria, 23 aprile 2021, n. 7, evidenzia, infatti, la natura extracontrattuale della responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi, sia da illegittimità provvedimentale, sia da inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, dalla quale discende l'onere per il danneggiato di provare, quanto ai profili oggettivi: l'atto illecito, il danno ingiusto (non iure e contra ius) e il nesso causale tra essi. Tuttavia, mentre il giudice di primo grado aveva ritenuto non raggiunta solo la prova nesso di causalità tra l'attività posta in essere dall'Amministrazione e il danno asseritamente subito dalla ricorrente che è risultata l'unica legittimata a ricevere l'affidamento dell'appalto, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana ha ritenuto non provato lo stesso elemento oggettivo della cd. ingiustizia del danno, in quanto non discendente da una condotta illecita o da un provvedimento illegittimo della stazione appaltante, ma dall'avvenuta esecuzione di una decisione giurisdizionale di primo grado, la cui efficacia non è stata interinalmente sospesa, anche a causa della scelta processuale della stessa parte poi risultata vittoriosa in appello. Osservazioni I confini della cd. ingiustizia del danno in materia di appalti e la “strada alternativa” dell'azione di arricchimento senza causa nel processo amministrativo. Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, con la pronuncia in commento, nel rigettare l'appello proposto avverso la sentenza del TAR Sicilia che aveva dichiarato l'infondatezza della domanda risarcitoria da mancata aggiudicazione, ritiene di non doversi esimere dall'affrontare il tema sotteso dei rimedi approntati dall'ordinamento a fronte di spostamenti patrimoniali non connotati da illiceità - in quanto non verificatisi in conseguenza di fatti illeciti lesivi di posizioni giuridiche soggettive altrui - bensì esclusivamente da assenza di causa. Tale approfondimento tematico è stato svolto dal Collegio consapevolmente fuori dai confini del thema decidendum, in quanto non erano state proposte domande specifiche sul punto, discendendo direttamente dall'esigenza di individuare - sia pur in astratto - gli strumenti di tutela a disposizione di un operatore economico, che non può ottenere né tutela in forma specifica, ossia il subentro nel contratto, né tutela per equivalente monetario. La strada alternativa dei rimedi restitutori è, quindi, proposta come del tutto residuale per riparare ad uno squilibrio economico venutosi a creare a causa dell'aggiudicazione e dell'esecuzione di un appalto da parte di un'impresa non legittimata, così come accertato in sede giurisdizionale. Ciò perché la “strada principale” in materia di appalti, rappresentata dalla tutela in forma specifica potrebbe essere divenuta inaccessibile per motivi di fatto, quali la definitiva conclusione del servizio o dei lavori, così, alla stessa stregua, la tutela per equivalente monetario - invero, già concepita dal legislatore come secondaria dall'art. 124 cod. proc. amm. - potrebbe essere ostacolata dall'assenza di una responsabilità, sia pure oggettiva, in capo alla stazione appaltante. In questa prospettiva, l'esecuzione di una sentenza, anche non ancora passata in giudicato, ma comunque non sospesa dal giudice di appello nelle more di quel giudizio, può recare un pregiudizio alla parte controinteressata, ma non dovrebbe costituire danno risarcibile, imputabile, secondo il modello della responsabilità civile, all'Amministrazione che abbia esattamente ottemperato all'ordine del giudice. Si tratta, questa, di una prospettiva pienamente conforme alla storica pronuncia della Corte di Cassazione n. 500/1999, secondo la quale il danno ingiusto presuppone un comportamento non solo contra ius, cioè lesivo di una situazione soggettiva protetta, ma altresì non iure, cioè non “altrimenti giustificato” dall'ordinamento giuridico. In altri termini, non può sussistere danno e responsabilità risarcitoria per un fatto iure. Tuttavia, la definizione dei caratteri della responsabilità risarcitoria in materia di appalti, proprio per la influenza del diritto di matrice europea, si è poi sviluppata in maniera non sempre coerente con i tipici connotati della responsabilità civile, a cominciare dalla irrilevanza dell'elemento soggettivo della colpa, nonché dalla considerazione che non possa costituire causa di giustificazione per la stazione appaltante l'esecuzione di una decisione di primo grado, che in appello venga ribaltata con conferma della legittimità dell'originario operato. Ed invero, l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la pronuncia n. 2/2017, sia pur riferita all'azione risarcitoria “speciale” proponibile in sede di ottemperanza nel caso in cui il giudicato di annullamento non possa essere ottemperato in forma specifica, ai sensi dell'art. 112, comma 3, cod. proc. amm., ha ritenuto di escludere che l'esistenza di un provvedimento giurisdizionale esecutivo (come la sentenza di primo grado) possa valere a giustificare l'operato della Pubblica Amministrazione, recidendo il nesso di causalità tra il comportamento dell'Amministrazione e l'impossibilità di eseguire il giudicato. L'impostazione seguita dalla sentenza in commento è, quindi, maggiormente rispettosa del paradigma aquiliano della responsabilità civile, nonché del recente insegnamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione sul carattere residuale dell'azione ex art. 2041 cod. civ. a seconda delle ragioni del rigetto della domanda risarcitoria (Cassazione civile sez. un., 5 dicembre 2023, n. 33954), ma apre una “strada alternativa” di tutela per l'operatore economico illegittimamente pretermesso non pacificamente percorribile dinanzi al giudice amministrativo. La domanda dell'originario aggiudicatario nei confronti del soggetto che ha effettuato i lavori dovrebbe, infatti, essere proposta davanti al giudice ordinario, tenuto conto che è stato escluso che il giudice amministrativo possa conoscere di controversie di cui non sia parte una pubblica amministrazione, o soggetti ad essa equiparati, in presenza di azioni tra privati, che non possono essere attribuite alla giurisdizione del giudice amministrativo per mere ragioni di connessione salvo deroghe normative espresse, in quanto nell'ordinamento processuale vige il principio generale della inderogabilità della giurisdizione per motivi di connessione (Cass., sez. un., 19 aprile 2013 n. 9534; Id., 7 giugno 2012 n. 9185; Id., 3 ottobre 2016 n. 19677). Nel caso specifico affrontato, invero, non solo non sussiste la responsabilità della stazione appaltante, nei suoi elementi costitutivi oggettivi, ma addirittura si potrebbe sostenere la sussistenza di una “anomala” forma di responsabilità in capo al ricorrente vittorioso di primo grado e l'azione restitutoria consisterebbe in una lite meramente privatistica da proporsi dinanzi al giudice ordinario, in quanto avente ad oggetto un diritto soggettivo a contenuto patrimoniale. D'altronde, anche nella sentenza richiamata da quella in commento, la n. 600 del 2008, si legge che non «può escludersi a priori che tale giudice possa essere quello ordinario, in coerenza con il rilievo che si tratterebbe di domande proponibili tra due soggetti privati e aventi il loro esclusivo fondamento nel diritto civile (ex artt. 2033 e 2041 cod. civ.)». La carenza del presupposto processuale della giurisdizione del giudice amministrativo escluderebbe, quindi, di poter fondare la proponibilità della domanda di arricchimento ingiustificato nei confronti dell'operatore economico beneficiario dell'atto illegittimo sull'art. 41, comma 2, ultimo periodo, cod. proc. amm., che pur sempre individua l'amministrazione come unica legittimata passiva della domanda proposta dal ricorrente e prevede la notificazione della domanda al terzo solo al fine di rendere possibile l'opponibilità del giudicato (cd. denutiatio litis). Ne discende, quindi, l'importanza dell'individuazione del giudice munito di giurisdizione per l'erogazione di una tutela residuale e sussidiaria, qual è quella offerta dall'azione di arricchimento ingiustificato, disciplinata dall'art. 2041 cod. civ. e che vede solo sullo sfondo la vicenda provvedimentale di affidamento di un appalto da parte della pubblica amministrazione, accertata, peraltro, in sede giurisdizionale come pienamente legittima. A titolo esemplificativo: Achille, Responsabilità, vantaggi e adeguatezza del risarcimento al danno, in Resp. civ. e prev., fasc. 6, 1° giugno 2023, pag. 1881. Chiarella, Arricchimento sine causa e sussidiarietà. Riflessioni a partire da un recente caso giudiziario, in Giustizia Civile, fasc. 2, 1° febbraio 2024, pag. 229. Commandatore, L 'ottemperanza per equivalente e la responsabilità indiretta della pubblica amministrazione, in Resp. civ. e prev., fasc. 2, 2018, pag. 572. De Nictolis, Il risarcimento del danno: modalità e tecniche di liquidazione nel settore delle pubbliche gare, Relazione svolta al Convegno organizzato dall'Ufficio studi e massimario della Giustizia amministrativa “A 20 anni dalla sentenza n. 500/1999: attività amministrativa e risarcimento del danno”, tenutosi a Roma, 16 dicembre 2019, in giustizia-amministrativa.it. Magri, La sussidiarietà dell'azione di arricchimento senza causa: un'occasione mancata per superare la tradizione, garantendo maggiore equità all'ordinamento, in Resp. civ. e prev., fasc.6, 1° giugno 2023, pag. 1907. Quaglia, R isarcimento per equivalente e appalti pubblici, in Riv. giur. edilizia, fasc. 1, 2017, pag. 31. Sala, Dal dogma dell'irrisarcibilità dell'interesse legittimo al risarcimento, nei pubblici appalti, anche per fatto lecito?, in Resp. civ. e prev., fasc. 3, 1° marzo 2022, pag. 702. |