Il mutuo solutorio alle Sezioni Unite

08 Novembre 2024

Con ordinanza interlocutoria del 10 luglio 2024 n. 18903, la seconda sezione civile della Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la questione riguardante la qualificazione del c.d. mutuo solutorio stipulato per ripianare la pregressa esposizione debitoria del mutuatario verso il mutuante. Il 10 ottobre 2024 la Prima Presidente, a seguito del rinvio pregiudiziale disposto dal Tribunale di Siracusa, ha assegnato alle Sezioni Unite un'altra questione riguardante gli obblighi restitutori in caso di mutuo, collegata con la prima. 

Il Professor Dolmetta, dopo aver riepilogato il contenuto delle pronunce susseguitesi nell'arco di pochi mesi, analizza e approfondisce i vari aspetti del problema, offrendo interessanti spunti di riflessione in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite.

Delle prassi dell'impresa bancaria

Con la formula «mutuo solutorio» gli ambienti degli operatori intendono un fenomeno integrato dalla somma di due elementi:

  • un testo contrattuale di mutuo, opportunamente sottoscritto dal mutuante e dal mutuatario;
  • un doppio e contestuale «transito» della somma rappresentata nel testo contrattuale, insieme nella direzione che dal mutuante va al mutuatario e pure in quella inversa.

Si potrebbe pensare che una struttura del genere sia piuttosto insensata: che non abbia senso, appunto, dare ciò che nello stesso momento si sta pure venendo a riprendere. Tant'è che viene subito da chiedersi se il detto «transito» sia davvero reale o, invece, solo prefigurato in uno o più documenti; se una simile struttura fenomenica, di conseguenza, viva in una dimensione unicamente scritturale o, per contro, solo in parte scritturale.

Nei fatti concreti, comunque, il fenomeno compare in prassi correnti nell'operatività delle imprese bancarie. Che lo impiegano con lo scopo peculiare di ottenere dei «vantaggi particolari». Si tratta, per la verità, di vantaggi variabili, a seconda del contesto in cui la detta struttura di volta in volta viene - quale parte di un tutto - a trovarsi inserita.

Talvolta, può essere utile alla banca ringiovanire un'operazione di mutuo ormai risalente (: l'erogazione è già avvenuta, perciò); principalmente, ciò avviene se l'operazione è soggetta (o si teme sia soggetta) al rischio di revocatorie fallimentari; ma ben può essere utilizzata, ad esempio, per «trasformare» in fondiario un mutuo che nasce altrimenti. In altre occasioni, invece, serve alla banca invecchiare l'operazione (: l'erogazione, cioè, viene rimessa al futuro); in specie segnata (ma non esclusiva), nella confidenza di riuscire, in tal modo, a godere comunque dei vantaggi connessi al conseguimento di un titolo esecutivo notarile ex art. 474 c.p.c.

Com'è evidente, si tratta di un fenomeno che appartiene a quelli che fanno «naturalmente» discutere. Per lunghi periodi, per la verità, esso è sembrato rimanere un po' secondario, un po' defilato rispetto ad altre vicende dell'operatività contrattuale delle imprese bancarie, più ancora eclatanti. Nell'ultimo periodo, tuttavia, la discussione è venuta per così dire a esplodere, ponendo la relativa tematica come centrale nell'ambito dell'attuale diritto vivente. 

L'ordinanza della Seconda Sezione della Cassazione (per mutuo pregresso) con rimessione alle Sezioni Unite (Cass. 10 luglio 2024 n. 18903)

Il primo dato da segnalare, per questo proposito, va all'ordinanza della Seconda Sezione della Corte di Cassazione (pres. Di Virgilio; est. Cavallino), n. 18903/2024. Che è relativa (secondo quanto si intende) a una fattispecie concreta in cui: (i) nel corso del tempo si sono susseguiti cinque contratti di mutuo, come via via intesi a «pagare il debito già maturato per capitale e interessi»; (ii) sulla base (unicamente) dell'ultimo di questi mutui la banca ha chiesto e ottenuto decreto ingiuntivo; (iii) i clienti hanno lamentato che «unilateralmente e contestualmente la banca [ha] accreditato e stornato la somma mediante un mero giroconto» e che la «traditio [è] stata assente», «non essendo mai [le somme] uscite dalle casse dell'asserita mutuante»; (iv) e chiesto al giudice di accertare che tale (ultimo) mutuo è nullo, per difetto di causa concreta, e comunque inesistente, trattandosi di una semplice «operazione contabile» posta in essere dalla banca «in assenza di alcuna istruzione in tal senso»; (v) tanto il Tribunale di Ferrara, quanto la Corte di Appello di Bologna hanno respinto la ricostruzione e le domande formulate dai clienti. 

Di fronte a una fattispecie così organizzata, la Seconda Sezione della Corte ha riscontrato che sulla «qualificazione del mutuo solutorio si sono registrate soluzioni non uniformi nella giurisprudenza di questa Corte e che hanno indubbio rilievo concettuale e pratico, tali da costituire anche questioni di particolare importanza, rendendosi perciò opportuno l'intervento nomofilattico delle Sezioni Unite».

A svolgimento di questi rilievi, poi, la pronuncia è andata a focalizzarsi sul punto della «consegna» del danaro, quale fatto dalla legge prescritto come necessario per l'effettiva esistenza di un mutuo. Ritenuto che questa consiste nell'attribuzione della «disponibilità giuridica autonoma» delle somme alla persona del mutuatario - il quale, allora, «ne può disporre non solo senza l'intermediazione del mutuante, ma anche invito mutuante» -, essa pure ha riscontrato che, a ben vedere, la divergenza interpretativa tra i precedenti della Corte non riguarda questo profilo, da stimare appunto come acquisito.

La divergenza si pone piuttosto a valle di tale livello. È, dunque, da chiedersi – così, in definitiva, ha assunto questa pronuncia - se «il ripianamento delle precedenti passività eseguito dalla banca autonomamente e immediatamente con operazione di giroconto» soddisfi, o meno, «il requisito della disponibilità giuridica a favore del mutuatario».

L'ordinanza del Tribunale di Siracusa (per mutuo in divenire) con connesso rinvio alla Corte di Cassazione (Trib. Siracusa 31 luglio 2024 n. 10207)

Il secondo dato da evidenziare in materia è il rinvio pregiudiziale ex art. 363 bis c.p.c. disposto dal Tribunale di Siracusa con ordinanza depositata il 31 luglio 2024 n. 10207, di pochissimi giorni successiva, come si vede, all'ordinanza interlocutoria emessa dalla Seconda Sezione.

In questo caso, la fattispecie concreta risulta rappresentata da: (i) un (unico) mutuo fondiario stipulato per atto notarile, che (ii) è stato utilizzato dalla banca in via di titolo esecutivo. Dal canto loro, i clienti hanno contestato quest'azione della banca, constatando (iii) che «l'originaria erogazione operata dalla banca [è] stata seguita dall'immediata restituzione delle somme a quest'ultima e dalla costituzione di esse in deposito infruttifero» e che alcuno svincolo delle relative somme è stato «attestato a mezzo di atto pubblico o scrittura privata autenticata»; e (iv) affermando, a mo' di conseguenza, l'inesistenza nella specie di un idoneo e valido titolo esecutivo, secondo i termini prescritti dall'art. 474 c. 2 n. 3 c.p.c.

Nel disporre il rinvio pregiudiziale, il Tribunale – è adesso da osservare – ha privilegiato un angolo visuale propriamente diverso da quello adottato dalla Seconda Sezione. Esso, infatti, ha come dato per scontato, ovvero assodato, che, nella specie esaminata, si sia verificata l'erogazione della somma da parte della banca, centralizzando per contro la propria attenzione sull'eventuale configurabilità di un'obbligazione attuale di restituzione a carico del mutuatario e ivi pure ravvisando la sussistenza di un contrasto nei precedenti del Supremo Collegio.

Nel senso - è da precisare - che, per alcune pronunce, il contratto notarile può fungere da titolo esecutivo solo se integrato da opportuna indicazione notarile attestativa dell'avvenuto svincolo delle somme; per altre, invece, è sufficiente che «il regolamento contrattuale sia idoneo a determinare l'insorgenza di un obbligo restitutorio caratterizzato da attualità anche prima del detto svincolo». Altrimenti detto, scendendo al piano sostanziale della relativa tematica: per un orientamento, «allorché la somma di denaro inizialmente erogata dalla banca rientri alla stessa, mediante deposito irregolare, l'obbligazione restitutoria [deve] considerarsi estinta»; per l'altro, invece, tale obbligazione permane, potendosi ravvisare «la sussistenza di due obbligazioni» coesistenti, «una gravante sul mutuatario, da ritenersi attuale», l'altra «gravante sull'istituto di credito». 

Ciò posto, quasi in via di appendice il Tribunale ha ancora affermato come non possa escludersi che pure sia «percorribile una opzione interpretativa intermedia», a seconda «delle peculiarità del caso concreto». Peculiarità che sono state individuate in ciò che, in certe ipotesi, la «ripresa» delle somme avvenga a titolo di pegno irregolare, in altre invece per quello di deposito cauzionale. Nel primo caso (del pegno irregolare), si verificherebbe un «indubbio ritrasferimento della proprietà alla banca», suscettibile di definitivo incameramento parte della banca («che così soddisfa da sé la propria pretesa creditoria in modo irretrattabile»); nel secondo (del deposito cauzionale) invece, l'«obbligazione di svincolo gravante sulla banca» sarebbe «tipica del contratto di deposito». 

L'ordinanza della Prima Presidente, con connessa assegnazione alle Sezioni Unite (Ordinanza PP 10 ottobre 2024 n. 17439)

Il terzo – e per ora ultimo - tassello della vicenda in discorso è rappresentato dalla ordinanza emessa dalla Prima Presidente della Corte di Cassazione lo scorso 10 di ottobre. Questa, una volta ritenuto ammissibile il rinvio disposto dal Tribunale siciliano, ha anche stabilito di assegnare la questione, e la relativa controversia, all'esame (non di una sezione semplice, ma) delle Sezioni Unite.

Sotto il primo profilo (dell'ammissibilità del rinvio ex art. 363 bis c.p.c.) è da rilevare, seppure solo en passant, come la ordinanza presidenziale assuma una concezione larga dello strumento del rinvio pregiudiziale: così considerando «questione non risolta dalla Corte di Cassazione» - e quindi ammissibile – non sono quella non ancora affrontata, ma pure quella (com'è nel caso) che non risulta allo stato risolta in modo uniforme dalla  giurisprudenza della medesima; come pure accontentandosi, per il nodo della riproducibilità della questione «in numerosi giudizi», della mera annotazione che «il dubbio ermeneutico investe la disposizione codicistica … che individua i requisiti del titolo esecutivo». Nel merito, l'ordinanza - seguendo l'indicazione svolta dal Tribunale di Siracusa - considera sicuramente «prevalente» l'orientamento favorevole alla posizione della banca, mentre questo punto potrebbe, a ben vedere, anche apparire opinabile (cfr., se non altro, Cass. 27 febbraio 2023 n. 5921; per un attento esame dei precedenti della Corte v. Naticchioni, Mutuo con contestuale costituzione della somma in deposito cauzionale: è titolo esecutivo?, in Riv. dir. risp., 2023, p. 1 ss.). Centrata - e degna di nota, anzi - si manifesta, per contro, la definizione di «traditio soltanto apparente» che la ordinanza lega alla tesi contraria alla posizione della banca.

Quanto al secondo aspetto, dell'assegnazione della questione all'esame delle Sezioni Unite, l'ordinanza dichiara in modo espresso che la stessa avviene «in ragione del fatto che dinanzi ad esse già pende la questione, oggetto di contrasto giurisprudenziale o comunque di massima di particolare importanza, rimessale dalla Seconda Sezione con la ordinanza interlocutoria n. 18903/2024», pur se – si aggiunge in coda – «solo in parte sovrapponibile con quella oggetto del presente rinvio ex art. 363 bis c.p.c.».   

Pure questo – va sottolineato - è un punto importante. Esso viene, nella sostanza delle cose, a ricondurre l'impostazione accolta dal Tribunale di Siracusa - che (si è visto) dà per scontata la sussistenza della consegna delle somme e si interroga solo sulla permanenza o meno di un obbligo di restituzione a carico del mutuatario - al primigenio suo alveo problematico, come attinente all'effettività o mera apparenza della consegna delle somme, su cui appunto si interroga la Seconda Sezione. Non pare dubbio, nei fatti, che, se si ritiene che le somme non siano state effettivamente consegnate, nessun problema potrebbe mai sorgere circa l'attuale inesistenza di un obbligo di restituzione. Come pure non è dubbio - per altro verso, bisogna altresì sottolineare - che è proprio l'immediato rientro delle somme nel patrimonio della banca a porre il tema dell'effettiva esistenza, o meno, di un fatto di consegna.

A guardare il fondo delle cose, dunque, parrebbe sicuro che, nella specie, a venire realmente in discussione sono le prassi bancarie che sul nesso di contestualità tra il dare le somme e il riprenderle vengono a basare la loro struttura di fondo.

Qualche considerazione a margine

Alla tematica del mutuo solutorio mi è capitato di destinare un lavoro (intitolato «Sulle prassi bancarie dei mutui con “dazione” e contestuale “controdazione” di somme: consegna, distantia temporis e causa concreta»), che ho licenziato appena qualche giorno prima che venisse pubblicata l'ordinanza della Seconda Sezione (Cass. 10 luglio 2024 n. 18903) e che oggi è in uscita nella Rivista «Banca, borsa e titoli di credito (2024, n. 5, parte I; ivi pure primi riferimenti di letteratura). Il taglio di questo scritto è quello del confronto con il formante giurisprudenziale, in questa prospettiva prendendo spunto in particolare dalla sentenza - commentata su questo portale - Cass. 3 maggio 2024 n. 12007 (direttamente attinente allo specifico aspetto del titolo esecutivo di natura notarile e centrata sulla tesi della «doppia effettività», tanto della consegna dalla banca al cliente, quanto della contestuale restituzione a parti invertite) e che, per la verità, ha costituito pure l'input degli interventi giurisprudenziali che sopra sono stati riferiti: diretto per l'ordinanza del Tribunale di Siracusa e indiretto per l'ordinanza della Seconda Sezione (a sua volta, l'ordinanza presidenziale considera la tale pronuncia sia sul versante del mutuo pregresso, sia sul versante del mutuo in divenire).

Nelle pagine di questo articolo ho sostenuto, in particolare, che nel mutuo solutorio non si verifica un fatto di consegna, perché la dinamica che compone questa operazione non determina, nel suo svolgimento fattuale ovvero pure nelle clausole che la reggono (c.d. accordo di non utilizzo), un'acquisizione proprietaria (art. 832 c.c.: «disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo») delle somme da parte del cliente: il vettore che dalla banca va al cliente è bloccato dal contro-vettore che dal cliente va alla banca. L'operazione, dunque, ha natura propriamente contabile: con una coppia di poste nel conto corrente – una in «dare», l'altra in «avere» - per l'appunto intesa a dare corpo ed espressione a una simile dimensione. Ho altresì sostenuto che, ove per contro si ritenesse sussistente una vera consegna delle somme, comunque non sarebbe corretto qualificare l'operazione nei termini di un mutuo, la (programmata) contestualità della «restituzione» escludendo in radice la stessa possibilità che – tra consegna e restituzione - si verifichi una qualche distantia temporis, secondo quanto, per contro, è consentaneo alla natura del mutuo. Ho infine avanzato perplessità, per il caso si ritenga in ogni caso integrata la fattispecie del mutuo, sulla stessa validità dell'operazione – specie in quanto espressiva di una prassi di impresa e integrante, quindi, un prodotto che, nei fatti reali, viene immesso nel mercato – perché intesa a procurare alla banca vantaggi particolari, come in sé stessi non consentiti dalla legge (per difetto, così, di un'idonea causa concreta).

Nel ribadire anche in questa sede detti convincimenti (e nel rimandare allo scritto richiamato per la compiuta esposizione delle relative tesi), non è forse inopportuno svolgere qui qualche piccola riflessione aggiuntiva, a margine dagli interventi giurisprudenziali passati in rassegna.

La prima di queste si lega all'osservazione, più volte affacciata nel corso del presente scritto, per cui il mutuo solutorio è fenomeno che risponde, propriamente se non esclusivamente, a date prassi di impresa. Una simile angolazione, per la verità, non pare ancor oggi penetrata nel contesto del formante giurisprudenziale. In effetti, i recenti interventi giurisprudenziali, qui sopra riportati, giungono al più a considerare quello in discorso come fenomeno diffuso e, quindi, suscettibile di essere riscontrato più e più volte: quale semplice somma, di conseguenza, di casi comunque singoli e (tra loro) isolati. Manca, in altri termini, una lettura di taglio verticale, che consideri le singole fattispecie per quello che sono: frutto seriale di una scelta e disegno unitari che viene effettuata dall'«imprenditore». In tal modo sfugge, a me sembra, la percezione reale del fenomeno indagato e «falsata» appare, di conseguenza, la valutazione che ne viene fatta.  

Non deve trarre in inganno – è pure da aggiungere – la sollecitazione del Tribunale di Siracusa a non trascurare le «peculiarità del caso concreto» (sopra, nel terzo paragrafo, ultimo capoverso). In realtà, il contenuto sostanziale di tale sollecitazione si risolve senza residui nell'enunciazione che, talvolta, la banca mette a pegno irregolare le somme (solo apparentemente) erogate e talaltra, invece, a deposito irregolare. Come si vede, si tratta pur sempre di un profilo meramente strutturale, di veste formale della «riappropriazione» delle somme da parte della banca e, dunque, di minime varianti della prassi che viene applicata.

Variante che, a ben vedere, è davvero minima, ad onta della enfasi che vorrebbe riscontrarvi il Tribunale siciliano. Irregolare resta il deposito quanto lo è il pegno: in entrambi casi la proprietà passa e così l'incameramento delle somme. Sul punto, in effetti, non si può non convenire con l‘avviso dalla sentenza Cass. 3 maggio 2024 n. 12007 (cfr. sopra, nel primo capoverso, di questo paragrafo): nel deposito irregolare (cauzionale, in conto corrente o a libretto che sia) il depositario acquista la proprietà delle somme e ha l'obbligo di restituirle; non diversamente da quanto avviene nel pegno irregolare (in cui, non si dimentichi, il debitore conserva propriamente il diritto di adempiere, come sottolineava la dottrina di Arturo Dalmartello), nel deposito irregolare, è «la banca che risulta obbligata … a trasferire [la somma] alla mutuataria».

Nei resoconti forniti dalle tre ordinanze sopra richiamate, tra le altre sembra trasparire, pur se un po' tra le righe, l'idea che, entrando le somme nel patrimonio del mutuatario a mezzo dell'«erogazione» compiuta dalla banca, quelle che tornano a quest'ultima sono a ben vedere «altre» somme, per via della naturale fungibilità del danaro. A mio avviso, una simile idea si avvicina alquanto allo zenit del finzionismo: nella realtà delle cose, le somme di cui all'apparente traditio non riescono a confondersi con quelle presenti nel patrimonio del preteso mutuatario, perché il loro transito viene fermato prima. Del resto, l'affermazione per cui la realtà della consegna sarebbe provata dal fatto che il cliente «ne aveva potuto ulteriormente disporre, versandola sul conto vincolato presso la stessa banca mutuante» (così, tra i più, Cass. 3 maggio 2024 n. 12007) all'evidenza dà per già dimostrato che per contro avrebbe l'onere di venire a dimostrare.   

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