Pochi Paesi al mondo possono vantare un novero di confische pari a quelle esistenti nel nostro.
Con la pronuncia in esame la Suprema Corte di cassazione conferma un indirizzo interpretativo ormai consolidato in tema di confisca ex art. 240-bis c.p.
Le diverse tipologie di confisca
In Italia è prevista la confisca ordinaria ex art. 240 c.p., che esige la stretta correlazione tra un determinato bene e il reato per cui si procede (“confisca stretta”).
È pure prevista la confisca di cui all'art. 240-bis c.p. (“confisca allargata”), che prende in considerazione il diverso nesso che si stabilisce tra un patrimonio ingiustificato e una persona condannata o cui è stata applicata la pena su richiesta per uno dei reati-presupposto di cui allo stesso art. 240-bis c.p.
Differente è la “confisca di prevenzione” prevista dall'art. 24 d.lgs. n. 159/2011 (cosiddetto codice antimafia e delle misure di prevenzione”. Il presupposto soggettivo della confisca “allargata” è diverso da quello della confisca di prevenzione: i soggetti proposti per l'applicazione della confisca di prevenzione sono indiziatidi aver commesso un reato e quindi non vi è ancora alcun accertamento di responsabilità, mentre i destinatari della confisca exart. 240-bis c.p. sono già condannati o hanno “patteggiato” per i reati-spia previsti dalla stessa disposizione, per cui è da tale accertamento processuale di responsabilità che la legge presume che i beni posseduti in valore sproporzionato al reddito o all'attività economica siano frutto di attività illecite. Inoltre, i reati-spia indicati dall'art. 240-bis c.p.sono specifici e di solito provocano illeciti arricchimenti, mentre i reati presupposto della confisca di prevenzione, in alcuni casi (come nell'art. 1 d.lgs. n. 159/2011) consistono in generiche attività illegali per le quali non può valere alcuna presunzione di illecito arricchimento. La confisca exart. 240-bisc.p.ha indubbiamente natura sanzionatoria perché è una misura post delictum, che seguealla commissione di un reato. Invece, la confisca di prevenzione è indiscutibilmente una misura ante delictum, cioè ha una funzione preventiva che mira a prevenire la futuracommissione di delitti. Dal confronto tra le due misure emerge il paradosso di una irragionevole disparità di trattamento, per cui colui che ipoteticamente, in futuro, potrebbe commettere un delitto subisce la confisca dei suoi beni patrimoniali in misura maggioredi chi un delitto lo ha già commesso, mentre sarebbe ragionevole la soluzione opposta. L'illogica conseguenza è che nel nostro ordinamento è più favorevole essere condannati per un grave reato tra quelli previsti dall'art. 240-bis c.p. piuttosto che essere “proposti” per la sua commissione in un procedimento di prevenzione, tra l'altro privo delle più elementari garanzie
Diversa ancora è la “confisca per equivalente”, prevista dall'art. 322-ter c.p. e da diverse disposizioni di legge (ad es. in materia tributaria). Essa è una misura di sicurezza regolata dalla legge vigente al momento della sua applicazione perché postula la valutazione in termini di attualità della pericolosità sociale, da ricostruire in base alla legislazione in quel momento vigente, pur se entrata in vigore in epoca successiva al sorgere della pericolosità, o all'acquisizione dei cespiti patrimoniali oggetto di ablazione (Cass. pen., 23 febbraio 2022, n. 6587, inedita). Ma le Sezioni unite hanno precisato che la disposizione di cui all'art. 578-bis c.p.p. ha con riguardo alla confisca per equivalente e alle forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria, natura anche sostanziale e, pertanto, è inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere prima della sua entrata in vigore (Cass. pen., sez. un., 29 settembre 2022, n. 4145). In riferimento alla confisca per equivalente ed al sequestro ad essa finalizzato, le S.U., hanno riconosciuto l'applicabilità dei limiti di impignorabilità delle somme spettanti a titolo di stipendio, salario o altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a titolo di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo della pensione o dell'assegno di quiescenza (Cass. pen., sez. un., 24 febbraio 2022, n. 26252).
La confisca allargata
Con la sentenza in commento la Corte di cassazione conferma un indirizzo interpretativo ormai consolidato in tema di confisca ex art. 240-bis c.p. Com'è noto, la disposizione, rubricata “Confisca in casi particolari”, prevede che «Nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale», per taluno dei numerosi “reati-spia” ivi previsti, il cui elenco peraltro si allunga in continuazione, «è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica. In ogni caso il condannato non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale, salvo che l'obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge».
L'art. 240-bis c.p. si caratterizza pertanto per una presunzionedi illecita accumulazione di beni, per cui, in presenza di una sproporzione patrimoniale ingiustificata, si presume che il condannato abbia commesso non solo il delitto che ha dato luogo alla sua condanna (o applicazione di pena), ma anche altri reati, non accertati giudizialmente, dai quali deriverebbero i beni sproporzionati di cui egli dispone L'art. 240-bis c.p. indica perciò due presupposti per l'operatività della presunzione che il bene derivi da attività criminose che non è stato possibile accertare: 1) la qualità di condannato (o con applicazione della pena su richiesta) per determinati “reati-spia”; 2) l'accertamento della sproporzione tra il patrimonio di cui il condannato dispone, anche indirettamente, e il reddito dichiarato o le attività economiche del condannato stesso (con onere probatorio a carico della pubblica accusa).
L'art. 240-bis c.p. stabilisce che nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta per i “reati-spia” tassativamente indicati è «sempre disposta la confisca», per cui si tratta di confisca speciale obbligatoria in qualsiasi stato e grado del procedimento, compresa la fase esecutiva.
Esistono diverse tipologie di confisca: la c.d. confisca “allargata” è una confisca dei beni di sospetta origine illecita, fondata su una presunzione di provenienza criminosa dei beni posseduti dai soggetti condannati per taluni reati.
Davvero una “misura di sicurezza patrimoniale atipica” o un'ablazione sine titulo?
La sentenza in commento ribadisce che l'istituto della confisca “allargata” o "per sproporzione" è stato delineato dal legislatore quale “misura di sicurezza patrimoniale atipica”, replicante i caratteri della misura di prevenzione “antimafia” ed avente la medesima finalità preventiva (Cass. pen., sez. un., 30 maggio 2001, n. 29022, Derouach, Rv. 219221).
Secondo questo orientamento giurisprudenziale il fondamento della confisca ex art. 240-bis c.p. è costituito dalla «presunzione relativa di accumulo di ricchezza illecita nei confronti di coloro che sono condannati per reati di particolare gravità ed allarme sociale».
Il presupposto applicativo della misura è la sproporzione tra il valore del bene ed i redditi denunciati e l'attività̀ economica svolta dal condannato.
Si ritiene, perciò, che a fronte dell'onere probatorio assolto dalla pubblica accusa, anche sulla base di presunzioni o massime di esperienza, «grava sull'imputato, titolare o detentore dei beni da confiscare, l'onere di giustificarne la provenienza mediante specifica allegazione di elementi in grado di superare la presunzione e di elidere l'efficacia dimostrativa dei dati probatori offerti dall'accusa».
Mentre l'accusa può giovarsi di presunzioni, grava, invece, sul condannato «l'onere di allegare il contrario sulla base di concreti ed oggettivi elementi fattuali, poiché è l'imputato che, in considerazione del principio della c.d. «vicinanza della prova», può acquisire o quanto meno fornire, tramite l'allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tesi difensiva» (così Cass. pen., sez. II, 30 gennaio 2020, n. 6734, Bruzzese, Rv. 278373 - 01).
La Corte di cassazione (Cass. pen., sez. II, 8 ottobre 2019, n. 43387, Novizio, Rv. 277997 - 04; Cass. pen., sez. IV, 13 settembre 2018, n. 51331, S., Rv. 274052 - 01) ritiene che all'imputato non si chiede all'imputato di allegare o provare un fatto negativo, bensì di indicare specifiche «circostanze positive e concrete, contrarie a quelle provate dalla pubblica accusa ("i miei averi e le operazioni che ho posto in essere sono proporzionati ai miei redditi ed alla attività lecita che ho anche esercitato"), con indicazione, quindi, dei dati fattuali che contraddicono le conclusioni alle quali sono pervenuti i giudici, dalle quali possa desumersi che detta sproporzione non esiste».
In ogni caso, la sentenza conclude che non è censurabile in sede di legittimità la valutazione relativa alla sproporzione tra il valore di acquisto dei beni nella disponibilità del condannato e i redditi del suo nucleo familiare, ove la stessa sia congruamente motivata dal giudice di merito con il ricorso a parametri suscettibili di verifica e sia preceduta da un adeguato e razionale confronto con le avverse deduzioni difensive (Cass. pen., sez. III, 21 settembre 2021, n. 1555/2022, Rv. 282407 - 02; Cass. pen., sez. I, 20 febbraio 2024, n. 21604, Gualtieri, n.m.).
Conclusioni
È davvero difficile, se non impossibile, per un condannato fornire la “prova diabolica” che dimostri e giustifichi la provenienza del bene «mediante specifica allegazione di elementi in grado di superare la presunzione e di elidere l'efficacia dimostrativa dei dati probatori offerti dall'accusa». Spesso tale dimostrazione è richiesta a distanza di anni dal momento dell'acquisizione del bene, quando non si è nemmeno più tenuti per legge a conservare la relativa documentazione. In ogni caso, la confisca “allargata” elude un principio generale del “giusto processo” e cioè che l'onere della prova a carico compete all'accusa e non è l'accusato a dover dimostrare il contrario.
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Sommario
Davvero una “misura di sicurezza patrimoniale atipica” o un'ablazione sine titulo?