Condizioni per l'affermazione di dolo in una disposizione testamentaria

13 Novembre 2024

È sufficiente la mera influenza psicologica per stabilire il dolo? O invece occorrono mezzi fraudolenti effettivi per indurre in inganno il testatore in base a età, salute e condizioni mentali, provocando false rappresentazioni che modificano direzionalmente la sua volontà?

Massima

La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 265 dell’11 ottobre 2024, ha statuito che, al fine di poter affermare che una disposizione testamentaria sia affetta da dolo, non è sufficiente dimostrare una qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testatore, se del caso mediante blandizie, richieste, suggerimenti o sollecitazioni; occorre, invece, la prova dell’avvenuto impiego di veri e proprio mezzi fraudolenti idonei a trarre in inganno il testatore, avuto riguardo alla sue età, allo stato di salute, alle sue condizioni di spirito, così da suscitare in lui false rappresentazioni ed orientare la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata. Inoltre, la prova della captazione, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che consentano di indentificare e ricostruire l’attività di condizionamento e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore.

Il caso

Con atto di citazione due germane convenivano in giudizio il proprio fratello, la madre e lo zio paterno al fine di far dichiarare la nullità, l'inefficacia o l'annullabilità del testamento olografo redatto dal de cuius per incapacità di intendere e di volere dello stesso al momento della redazione ovvero per far annullare detto testamento per dolo perpetrato da parte dello zio paterno, di cui chiedevano la dichiarazione d'indegnità a succedere.

Nel testamento olografo impugnato, causalmente ritrovato dal fratello del de cuius e fatto pubblicare con verbale notarile, il testatore premetteva che tutti i beni mobili e immobili erano gravati da usufrutto in favore del di lui fratello, lasciava un terreno al figlio e la somma di euro 50.000,00 alla ex moglie.

 Si costituiva in giudizio il fratello delle attrici, perpetrando le medesime richieste delle sorelle, ed adducendo a sostegno dell'accusata incapacità d'intendere e di volere il grave stato di salute del padre al tempo della redazione del testamento.

Si costituiva il fratello del de cuius chiedendo che venisse accertata la legittimità del testamento olografo, condannando, per l'effetto, i figli del de cuius ad immetterlo nel possesso dei beni ereditari, nonché a risarcirgli i danni derivanti dalla mancata consegna degli stessi e al pagamento della somma corrispondente al valore dell'usufrutto.

Disposta Ctu medico-legale al fine di accertare l'incapacità d'intendere e di volere del de cuius in rapporto alla patologia di cui soffriva e alle cure in corso alla data della redazione del testamento e alle caratteristiche del testamento olografo stesso, il Tribunale di primo grado respingeva le domande di accertamento della nullità, inefficacia e annullamento del testamento olografo, come pubblicato con verbale notarile, dichiarando la qualità di erede del fratello del defunto e rigettando la domanda di accertamento dell'indegnità di quest'ultimo.

Avverso la suddetta sentenza di primo grado, il figlio del de cuius proponeva appello, a cui resisteva lo zio paterno, mentre rimanevano contumaci le altre litisconsorti. La Corte d'Appello respingeva l'appello, ritenendo che non fosse stata provata dall'appellante l'assoluta incapacità di intendere e di volere del de cuiusalla data del testamento olografo impugnato, consistente in un difetto di coscienza del significato dei propri atti e della capacità di autodeterminarsi, che ove accompagnate dall'abitualità, ne avrebbero potuta legittimare l'interdizione, in tale modo confermando la sentenza di primo grado che, sulla base della Ctu, aveva ritenuto dimostrata solo un'anomalia o un'alterazione della facoltà psichiche o intellettive del de cuius, dipendenti dalla sua malattia e dal trattamento farmacologico in corso, ma non un'assoluta incapacità di intendere e di volere dello stesso al momento della redazione del testamento olografo impugnato, il cui accertamento avrebbe posto a carico di colui che intendeva valersi del testamento che esso fosse stato redatto in un momento di lucido intervallo (Cass. n. 27351/2014; Cass. n. 9081/2010; Cass. n. 9508/2005). Quanto all'asserita captazione della volontà del de cuius da parte del fratello, la Corte d'Appello riteneva gli elementi indiziari addotti insufficienti a dimostrare che la volontà del de cuius fosse stata condizionata dal fratello beneficiario dell'usufrutto dei suoi beni, che, di contro, era stato l'unico parente che gli era rimasto vicino negli ultimi anni della sua vita; inoltre veniva esclusa l'indegnità a succedere dello stesso ex art. 463 n. 5) c.c., dovendo distinguersi l'occultamento del testamento dalla ritardata pubblicazione dello stesso.

L'appellante soccombente proponeva ricorso in Cassazione, cui resisteva lo zio paterno, rimanendo contumaci le altre parti, affidato a cinque motivi, tutti incentrati sulla corretta applicazione ed interpretazione dell'art. 591 c.c. in tema di capacità di testare, nonché sull'individuazione del concetto di dolo testamentario ai sensi dell'art. 624 c.c.

La questione

La questione posta all'attenzione del Suprema Corte nella fattispecie in oggetto riguarda la capacità di testare sotto un duplice profilo: in primo luogo, la corretta individuazione ed interpretazione dei limiti di applicabilità dell'art. 591 c.c., ossia della nozione di capacità d'intendere e di volere del testatore al momento della redazione del testamento; in secondo luogo, la delimitazione dell'ipotesi dolo testamentario (o captazione) quale causa di annullamento del testamento olografo (art. 624 c.c.).

Le soluzioni giuridiche

Relativamente al primo profilo, la Corte di Cassazione ritiene, in base ad un'interpretazione di legittimità condivisa, che l'incapacità di intendere e di volere non vada rinvenuta in una semplice alterazione o anomalia delle facoltà psichiche ed intellettive del soggetto, bensì come mancanza assoluta, al momento della redazione dell'atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti, o della capacità di autodeterminarsi, siano esse causate da un'infermità transitoria, o permanente, o da altra causa perturbatrice; ricordando, inoltre, il principio secondo cui lo stato di capacità costituisce la regola, mentre quello d'incapacità l'eccezione, di guisa che, sul piano processuale, spetta a chi impugna il testamento la prova della dedotta incapacità del testatore (Cass. n. 31325/2023; Cass. n. 3934/2018; Cass. n. 27351/2014).

Quanto al secondo profilo, la Suprema Corte, nel disattendere la sussistenza, nel caso di specie, del dolo, quale vizio del consenso della volontà del testatore, si conforma all'insegnamento tradizionale secondo cui, al fine di poter affermare che una disposizione testamentaria sia affetta da dolo, non è sufficiente dimostrare una qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testatore, occorrendo, invece, la prova dell'avvenuto impiego di veri e propri mezzi fraudolenti idonei a trarre in inganno il testatore (c.d. raggiro), avuto riguardo alla sua età, allo stato di salute, alle sue condizioni di spirito, così da suscitare in lui false rappresentazioni ed orientare la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata (Cass. n. 25521/2023; Cass. n. 4653/2018). Sul piano processuale, la prova della captazione, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che consentano di ricostruire l'attività di condizionamento e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore.

Osservazioni

La sentenza in commento consente di richiamare tre differenti istituti testamentari: la capacità di testare (art. 591 c.c.); il dolo testamentario (art. 624 c.c.); la disposizione di usufrutto generale.

Al fine di meglio comprendere la fattispecie all'esame della Suprema Corte, occorre preliminarmente qualificare la disposizione testamentaria avente ad oggetto l'usufrutto generale di tutti i beni del de cuius, avendo, nel caso di specie, il testatore disposto un diritto di usufrutto generale sui propri beni in favore del fratello. La dottrina che si è occupata dell'argomento ha concluso che, ove la costituzione di usufrutto abbia ad oggetto la totalità dei beni del de cuius, trattasi di disposizione a titolo di erede e non di legato, di guisa che l'usufruttuario è da considerarsi, al momento dell'apertura della successione, erede testamentario e non mero legatario.

Tanto precisato in tema di interpretazione giuridica della volontà testamentaria, occorre verificare l'integrità di tale volizione, quanto a corretta formazione ed esplicazione della stessa, nonché all'assenza di ogni causa perturbatrice o deviatrice della sua diretta intenzione.

Fuori dei casi conclamati d'incapacità di agire, il singolo atto giuridico, nella specie il testamento, va considerato sotto il profilo dell'incapacità d'intendere e di volere del suo autore, che, per la giurisprudenza di legittimità, postula l'esistenza, non già di una semplice alterazione o anomalia delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius, bensì la prova che, a cagione di un'infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privato, in modo assoluto, al momento della redazione dell'atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti o della capacità di autodeterminarsi. Inoltre, poiché lo stato di capacità costituisce la regola e quello d'incapacità l'eccezione, spetta a chi impugni il testamento dimostrare la dedotta incapacità, salvo il caso in cui il testatore risulti affetto da incapacità totale, nel qual caso grava su chi voglia avvalersi del testamento provarne la redazione in un momento di lucido intervallo (Cass. n. 36873/2019; Cass. n. 25053/2018; Cass. n. 9309/2017).

Occorre tuttavia segnalare che la giurisprudenza, in risposta al diffondersi di malattie senili che, pur non determinando una situazione di totale incapacità della persona, causano abitualmente menomazioni psichiche o riduzioni di capacità, con conseguenti debolezza decisionali ed affievolimenti della “consapevolezza affettiva”, ha sostenuto, di recente, che l'incapacità di testare non possa più essere contenuta sic et simpliciter nei rigidi parametri dell'art. 591 c.c., di guisa che, ai fini dell'annullamento del testamento, non sarebbe più necessario provare l'assoluta incapacità del testatore, bastando, ai fini della compromissione della capacità di testare, anche una seria riduzione della capacità di comprendere appieno il significato delle disposizioni testamentarie e della capacità di autodeterminarsi del testatore (Cass. n. 30424/2022).

La disposizione testamentaria può dirsi viziata da dolo, ai sensi dell'art. 624 comma 1 c.c., quando vi sia prova dell'uso di mezzi fraudolenti che, avuto riguardo alle condizioni del testatore, siano stati idonei a trarlo in inganno, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso verso il quale non si sarebbe spontaneamente indirizza. L'idoneità dei mezzi usati deve essere valutata, per la giurisprudenza, con criteri di larghezza nei casi in cui il testatore, per l'età avanzata o per la malattia, sia più facilmente predisposto a subire l'influenza dei soggetti che lo accudiscono o con cui trascorre la maggior parte delle sue giornate (Cass. n. 30424/2022). Come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, quindi, il rispetto assoluto della volontà del testatore impone che, al fine di poter affermare che una disposizione testamentaria sia affetta da dolo, non è sufficiente dimostrare una qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testatore - se del caso mediante blandizie, richieste, suggerimenti o sollecitazioni - occorrendo la prova dell'avvenuto impiego di veri e propri mezzi fraudolenti idonei a trarre in inganno il testatore, avuto riguardo alla sua età, al suo stato di salute, alle sue condizioni di spirito, così da suscitare in lui false rappresentazioni ed orientare la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata (Cass. n. 25521/2023). La prova presuntiva di un'attività captatoria della volontà del testatore, dispiegata per trarlo in inganno, deve, comunque, essere fondata su fatti certi, che consentano, nel loro complesso, di identificare l'attività di condizionamento e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del de cuius.

Sempre in ottica evolutiva di tutela dei soggetti “fragili e vulnerabili”, la giurisprudenza ha, di recente, ampliato la nozione di dolo testamentario sino a farlo divenire sinonimo di captazione, ritenendo che, per guidare la formazione della volontà indebolita di una persona anziana o fragile non appare necessario il c.d. raggiro, come richiesto dalla giurisprudenza più risalente, essendo a tal fine sufficiente una influenza (esternata magari tramite non sincere manifestazioni di affetto o con menzogne sul conto altrui) finalizzata a trarre vantaggi e tale da incidere sulla formazione della volontà di una persona non più in grado di compiere autonome valutazioni.

Con la sentenza in commento la Suprema Corte, allo scopo di privilegiare la conservazione della validità del testamento, per sua natura irripetibile, richiamando la presunzione di capacità di disporre per testamento dei propri beni, propende per le nozioni tradizionali d'incapacità d'intendere e di volere e di dolo testamentario. La necessità di protezione della vulnerabilità della persona impone, tuttavia, di considerare che nella persona anziana o malata la presunzione di capacità d'intendere e di volere deve confrontarsi con nuove patologie degenerative determinanti capacità decisamente attenuate, anche se non in modo totale, tali da causare situazioni di fragilità emotiva e cognitiva, in forza delle quali la persona può decidere di attribuire i beni in modo diverso da come avrebbe fatto in assenza di malattia ovvero apparire influenzabile e tendente ad agire sotto la suggestione altrui.

Per quanto detto, non esiste una soluzione sicura per tutelare la volontà dei soggetti “fragili e vulnerabili” in sede testamentaria, essendo a tal fine inadeguati i concetti astratti e tradizionali di capacità d'intendere e di volere e di dolo testamentario, dovendosi tenere conto della condizione concreta del testatore al momento della redazione del testamento, della sua età, della sua malattia e delle situazioni di fragilità emotiva e cognitiva che da esse possono derivare.

Riferimenti

A. Ferrucci – C. Ferrentino, Successioni e donazioni, Milano, 2023.

G. Musolino,Dolo testamentario (captazione). La prova ai fini dell’impugnazione del testamento, Rivista del Notariato, 2/2024;

C. Cicero, Il testamento della persona vulnerabile, in Giurisprudenza Italiana – Dicembre 2023.

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