Migranti: l’Italia chiede che si pronunci la Corte di Giustizia UE, dopo il d.l. 158/2024

La Redazione
13 Novembre 2024

Il Tribunale di Bologna ha rinviato alla Corte di Giustizia UE per il caso di un richiedente asilo bangladese dopo il Decreto-legge n. 158/2024. Come si affrontano contrasti interpretativi riguardo alla lista dei Paesi sicuri e alla Direttiva n. 2013/32/UE sul riconoscimento della protezione internazionale?

Il Tribunale di Bologna ha rinviato alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 TFUE, il caso di un richiedente asilo, originario del Bangladesh, a seguito della approvazione del Decreto-legge n. 158 del 23 ottobre 2024 (“Disposizioni urgenti in materia di procedure per il riconoscimento della protezione internazionale”) che ha previsto una riformulazione della lista dei Paesi ritenuti sicuri, al fine di risolvere alcuni contrasti interpretativi che si sono manifestati nell’Ordinamento italiano e che attengono alla disciplina contenuto nella Direttiva n. 2013/32/UE recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale e, più in generale, alla regolazione dei rapporti tra il diritto dell’Unione Europea e il diritto nazionale.

Il Bangladesh rimane un Paese sicuro, ai sensi del Decreto-legge 158/2024, tuttavia la decisione della Corte di giustizia del 4 ottobre 2024 (Causa C-604/22) ha confermato il principio secondo il quale spetta al giudice nazionale il dovere giuridico di non applicare il provvedimento di designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro, ove vi siano evidenze tali da mettere in pericolo alcune categorie di persone, che possono essere esposte al rischio concreto di persecuzioni generalizzate e sistematiche o di danno grave, in carenza di adeguata protezione interna

A parere del giudice remittente, l’interpretazione di cui al Decreto-legge 158/2024 è restrittiva e non prevede eccezioni; sono stati inoltre sollevati dubbi sullo strumento normativo utilizzato (la decretazione d’urgenza, in luogo di una fonte di normazione secondaria, quale il decreto interministeriale); infine la lista dei Paesi sicuri non prevede eccezioni. Da qui i dubbi interpretativi sorti per il giudice interno che ha posto le seguenti questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia:

  1. il primo quesito riguarda la corretta interpretazione del diritto europeo e, in particolare, se “ai sensi degli articoli 36, 37 e 46 della Direttiva 2013/32/UE e del suo Allegato I, il parametro sulla cui base debbono essere individuate le condizioni di sicurezza che sottendono alla designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro debba essere inderogabilmente individuato nella carenza di persecuzioni dirette in modo sistematico e generalizzato nei confronti degli appartenenti a specifici gruppi sociali e di rischi reali di danno grave come definito nell’Allegato I uno della direttiva 2013/32/UE, in particolare se la presenza di forme persecutorie o di esposizione a danno grave concernenti un unico gruppo sociale di difficile identificazione - quali ad esempio le persone lgbtiqa+, le minoranze etniche o religiose, le donne esposte a violenza di genere o a tratta ecc. - escluda detta designazione”.
  2. il secondo quesito riguarda la sussistenza o meno del dovere del giudice nazionale di non applicare l’atto di designazione e, quindi, si chiede di pronunciarsi sulla seguente questione: “se il principio del primato del diritto europeo ai sensi della consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea imponga di assumere che, in caso di contrasto fra le disposizioni della direttiva 2013/32/UE in materia di presupposti dell’atto di designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro e le disposizioni nazionali, sussista sempre l’obbligo per il giudice nazionale di non applicare queste ultime, in particolare se tale dovere per il giudice di disapplicare l’atto di designazione permanga anche nel caso in cui detta designazione venga operata con disposizioni di rango primario, quale la legge ordinaria”.

Come noto, il rinvio pregiudiziale attribuisce alla Corte di Lussemburgo la competenza a pronunciarsi, in seguito a richiesta di un organo giurisdizionale di uno stato membro, “a) sull'interpretazione dei trattati” e “b) sulla validità e l'interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell'Unione.” L’istituto in questione è fondamentale per assicurare l’omogeneità dell’applicazione del dritto europeo su tutto il territorio e per favorire il colloquio tra i giudici nazionali e quelli europei al fine di chiarire il significato e la validità di particolari disposizioni normative. Il rinvio pregiudiziale può essere sollevato solo qualora la questione sia indispensabile per la risoluzione della controversia pendente avanti gli organi interni, non invece nei casi in cui nulla aggiungerebbe alla questione interna l’interpretazione o la validità della norma europea. La Corte di giustizia “opera in collaborazione con tutti gli organi giurisdizionali degli Stati membri, che sono i giudici di diritto comune in materia di diritto dell’Unione”, al fine di “garantire un’applicazione effettiva ed omogenea della normativa dell’Unione ed evitare interpretazioni divergenti”( Si veda: https://curia.europa.eu/jcms/jcms/Jo2_7024/it/) .

La Corte di giustizia è sempre competente per quanto riguarda le domande di pronuncia pregiudiziale che sollevano questioni indipendenti di interpretazione del diritto primario, inclusa la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; del diritto internazionale pubblico, o dei principi generali del diritto dell’Unione. Già un anno fa - in tema migranti e respingimenti - si era pronunciata su cinque domande di pronuncia pregiudiziale sollevate dalla Corte suprema di cassazione, dal Tribunale di Roma, dal Tribunale di Firenze, dal Tribunale di Milano e dal Tribunale di Trieste, in ipotesi di rischio di refoulement indiretto e in caso di domande di protezione internazionale presentate dal richiedente in più Stati (Sentenza CGUE, Seconda sezione, 30 novembre 2023, Cause riunite C-228/21, C-254/21, C-297/21, C-315/21 e C-328/21).

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