I trasferimenti immobiliari pattuiti dai coniugi in sede di separazione sono soggetti a revocatoria
14 Novembre 2024
Massima L’accordo tra coniugi avente ad oggetto un trasferimento immobiliare, anche nell'ambito di un procedimento di separazione giudiziale, è soggetto alle ordinarie impugnative negoziali a tutela delle parti e dei terzi, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza che lo ha recepito, spiegando quest'ultima efficacia meramente dichiarativa, come tale non incidente sulla natura di atto contrattuale privato del suddetto accordo. Il caso Il caso affrontato dalla Suprema Corte trae origine da un procedimento di separazione giudiziale conclusosi con un accordo recepito con sentenza dal Tribunale con il quale uno dei coniugi ha trasferito la propria quota di comproprietà di un immobile all'altro coniuge. L'Istituto di credito, dopo aver ottenuto un decreto ingiuntivo nei confronti del marito, l'ha convenuto in giudizio unitamente alla moglie chiedendo la declaratoria di inefficacia ai sensi dell'art. 2901 c.c. del verbale di separazione con il quale si era proceduto, in particolare, al trasferimento di una quota dell'immobile in favore della moglie stessa. Il Tribunale ha respinto la domanda dichiarando il difetto di legittimazione processuale dell'attrice. L'istituto Bancario ha quindi proposto appello eccependo che il trasferimento avrebbe avuto natura gratuita e che, pertanto, potesse essere revocato senza necessità di dimostrare la consapevolezza, in capo alla moglie, della lesione della garanzia patrimoniale dovuta dal marito alla creditrice stessa. Il marito, costituendosi, ha evidenziato invece che il trasferimento immobiliare era un atto dovuto in forza di obblighi di mantenimento derivanti dalla sentenza di separazione che aveva chiuso il giudizio (recependo l'accordo raggiunto dai coniugi in ordine alle questioni economiche) eccependo che il diritto di credito vantato non poteva essere fatto valere per contrastare un accordo di separazione. La Corte d'Appello di Genova ha accolto il gravame ritenendo ammissibile l'azione revocatoria e qualificando l'atto dispositivo a titolo gratuito Il marito ha presentato, quindi, ricorso per Cassazione: a) dolendosi della qualificazione errata della natura del trasferimento immobiliare da parte della Corte d'Appello. Per il ricorrente il trasferimento di proprietà avrebbe rappresentato l'adempimento di una statuizione contenuta in una sentenza e quindi non sarebbe stato revocabile ex art. 2901, comma 3, c.c., comma 1 c.p.c., b) sostenendo che il trasferimento immobiliare non sarebbe un atto di liberalità ma rappresenterebbe l'adempimento di un obbligo giuridico di mantenimento nei confronti del coniuge determinato dalla sentenza. La Suprema Corte di cassazione, con la sentenza n. 26127/2024, ha respinto il ricorso ribadendo l'esperibilità dell'actio pauliana in relazione ad atti traslativi riversati negli accordi di separazione consensuale o di divorzio congiunto. La questione La questione affrontata dalla Corte di cassazione concerne l’esperibilità dell’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. per quegli atti dispositivi (trasferimenti immobiliari) effettuati da un coniuge a favore dell’altro attraverso un accordo di separazione e/o divorzio recepito dal Tribunale e altresì l’individuazione della natura (onerosa o gratuita) di detti trasferimenti. Le soluzioni giuridiche 1. I trasferimenti patrimoniali in sede di separazione e divorzio . Nell'ambito delle procedure di separazione consensuale o divorzio congiunto dei coniugi, per giurisprudenza consolidata, è possibile includere nella redazione dell'accordo negoziale clausole che prevedono trasferimenti di proprietà o di altri diritti reali immobiliari da un coniuge all'altro o a favore di terzi (normalmente i figli) al fine di regolamentare i rapporti economici collegati alla crisi del matrimonio. Dette clausole sono considerate espressione tipica dell'autonomia contrattuale delle parti volta a comporre al meglio i loro reciproci interessi nella gestione della crisi del rapporto coniugale. Si tratta di veri e propri contratti “consensuali” di natura economica che trovano la propria causa nella necessità di risolvere la crisi coniugale e la cui efficacia è subordinata all'omologazione del Tribunale che dovrà verificarne la compatibilità con le norme cogenti e i principi di ordine pubblico. Le attribuzioni patrimoniali rientrano in quello che viene definito “contenuto eventuale” dell'accordo di separazione o di divorzio. La giurisprudenza tende a qualificare i trasferimenti patrimoniali pattuiti dai coniugi nell'ambito delle condizioni economiche della separazione e divorzio come veri e propri contratti atipici diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico ai sensi dell'art. 1322 c.c. (cfr. Cass. 17 giugno 2004 n. 11342; Cass. civ., 23 marzo 2004 n. 5741; Cass. 11 novembre 1992 n. 12110; Trib. Firenze sez. III sent., 19 giugno 2018; Trib. Varese ord. 23 gennaio 2010; App. Milano decr., 12 gennaio 2010). Tali accordi possono definirsi, quindi, come “contratti atipici della crisi coniugale” aventi come causa quella di definire globalmente ed in modo non contenzioso i rapporti patrimoniali dei coniugi con soluzioni “solutorie-compensatorie” ampie e complessive. La Corte di cassazione nella sentenza in commento rimarca la concezione “privatistica” della separazione consensuale ribadendo espressamente la validità delle clausole prevedenti il trasferimento di beni immobili definendole come clausole dotate di una propria individualità, espressione della libera autonomia contrattuale delle parti. I Giudici di legittimità chiariscono altresì, sulla scorta dei precedenti orientamenti, che le attribuzioni patrimoniali tra coniugi pattuite in sede di separazione godono di loro specifici presupposti e finalità. Non possono qualificarsi come donazioni sfuggendo, in quanto tali, alle connotazioni classiche dell'atto di donazione vero e proprio (tipicamente estraneo di per sé a un contesto, quello della separazione personale, caratterizzato dalla dissoluzione delle ragioni della convivenza materiale e morale). Neppure possono considerarsi tout court atti di compravendita (non essendo necessariamente legate alla presenza di uno specifico corrispettivo). Dette attribuzioni “rispondono piuttosto a un più specifico e più proprio e originario spirito degli accordi di sistemazione dei rapporti tra i coniugi in occasione dell'evento di separazione consensuale ” (Cfr. Cass. sez. I, 23 marzo 2004, n. 5741). Il procedimento consensuale di separazione e divorzio diventa, quindi, lo strumento per porre in essere questa negoziazione globale finalizzata non solo a regolamentare compiutamente gli interessi economici dei coniugi ma anche ad assicurare agli stessi maggiore serenità nei rapporti futuri. Il fondamento di siffatto potere dei coniugi va ricercato nell'autonomia contrattuale ad essi attribuita la quale ben può estrinsecarsi, anche ai fini della definizione della crisi coniugale, sia con riferimento alla scelta fondamentale di interrompere la convivenza e vivere separati, sia con riferimento alle conseguenze economiche di detta scelta. 2. L'efficacia reale o obbligatoria delle pattuizioni dei coniugi. L'evoluzione della giurisprudenza. Un'altra importante questione affrontata dalla Suprema Corte concerne la valenza da attribuire a detti trasferimenti. La giurisprudenza di legittimità si è più volte espressa sulla questione, evidenziando l'indifferenza delle modalità di trasferimento del bene, pur privilegiando quelle soluzioni in cui il trasferimento avvenga in maniera immediata, così da consentire alle parti di chiudere più celermente la situazione di crisi coniugale (Cass., n. 15780/2010; Cass. n. 8516/2006; Cass. n. 11914/2008). Su posizioni contrapposte si è, invece, espressa la giurisprudenza di merito, nel cui ambito si sono formati diversi orientamenti. In alcune pronunce, infatti, alle pattuizioni in esame, qualora inserite nel verbale di udienza redatto da un ausiliario del giudice, è stata attribuita la forma di atto pubblico, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2699 c.c., e, ove implichino il trasferimento di diritti reali immobiliari, a seguito dell'omologa, anche titolo per la trascrizione a norma dell'art. 2657 c.c. (Trib. Roma, 31 ottobre 2011; Trib. Salerno 4 luglio 2006). A tali decisioni se ne contrappongono altre in cui ne è stata riconosciuta mera efficacia obbligatoria, con conseguente necessità di provvedere, con successivo atto pubblico, all'attuazione del trasferimento ivi previsto (Trib. Milano, 21 maggio 2013; Trib. Milano 6 dicembre 2009); da qui la necessità per le parti di ricorrere, nella redazione di tale tipo di accordi, alla tecnica obbligatoria e non a quella dell'efficacia reale, pena la possibile vanificazione dello strumento di tutela prescelto e, comunque, ferma restando la possibilità di ricorrere all'azione prevista dall'art. 2932 c.c. A dirimere il contrasto sul punto è stata la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, che con sentenza n. 21761/2021 richiamata anche dalla pronuncia in commento, ha chiarito che “le clausole dell'accordo di divorzio a domanda congiunta, o di separazione consensuale, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, o di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi, o dei figli, al fine di assicurarne il mantenimento, sono valide in quanto il predetto accordo, inserito nel verbale di udienza redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è stato attestato, assume forma di atto pubblicoex art. 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo la sentenza di divorzio (che, rispetto alle pattuizioni relative alla prole e ai rapporti economici, ha valore di pronuncia dichiarativa) ovvero dopo l'omologazione, valido titolo per la trascrizione ex art. 2657 c.c., presupponendo la validità dei trasferimenti l'attestazione del cancelliere che le parti abbiamo prodotto gli atti e rese le dichiarazioni di cui all'art. 29, comma 1-bis, l. n. 52/1985, mentre non produce la nullità del trasferimento il mancato compimento, da parte dell'ausiliario, dell'ulteriore verifica soggettiva circa l'intestatario catastale dei beni e la sua conformità con le risultanze dei registri immobiliari”. La Cassazione a Sezioni Unite ha chiarito in sostanza che, nell'ambito del divorzio congiunto o della separazione consensuale, l'accordo con il quale i coniugi operano trasferimenti immobiliari l'uno in favore dell'altro ha la medesima validità ed efficacia di un atto pubblico redatto da un notaio ed è titolo per la trascrizione nei pubblici registri, purché detto trasferimento immobiliare sia inserito nel verbale di separazione consensuale o nella sentenza che recepisce gli accordi del divorzio raggiunti fra le parti. La Suprema Corte nella sentenza chiarisce il principio già evidenziato dalle Sezioni Unite, secondo cui “la pacifica natura negoziale degli accordi dei coniugi, equiparabili a pattuizioni atipiche ex art. 1322 c.c., comma 2, comporta che al di fuori delle specifiche ipotesi succitate – nessun sindacato può esercitare il giudice del divorzio sulle pattuizioni stipulate dalle parti, come del resto, sul piano generale, il giudice non può sindacare qualsiasi accordo di natura contrattuale privato, che corrisponda ad una fattispecie tipica, libere essendo le parti di determinarne il contenuto (art. 1322 c.c., comma 1), fermo esclusivamente il rispetto dei limiti imposti dalla legge a presidio della liceità delle contrattazioni private e, se si tratta di pattuizioni atipiche, sempre che l'accordo sia anche meritevole di tutela secondo i principi dettati dal nostro ordinamento (art. 1322 c.c., comma 2)”. Alla sentenza di divorzio o separazione su domanda congiunta (o su conclusioni concordi) viene attribuito effetto dichiarativo con riferimento agli accordi patrimoniali. Ciò significa che l'accordo vive nel mondo del diritto solo quale atto di autonomia negoziale del quale la sentenza si limita a prendere atto in quanto non ostativo al fine della nuova configurazione dello status e della disciplina dei rapporti degli ex coniugi. 3. L'ammissibilità dell'azione revocatoria ordinaria per i trasferimenti immobiliari pattuiti in sede di separazione. La natura gratuita/onerosa. L'azione revocatoria ordinaria è strumento che la legge offre ai creditori per annullare, ("revocare" appunto) gli effetti degli atti di trasferimento dei beni compiuti dai loro debitori. Si tratta di un'azione giudiziaria che rientra tra i "mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale", che consentono a chi deve far valere un proprio diritto di credito, di vedere tutelata la possibilità di espropriare i beni del debitore presenti al momento del sorgere del credito stesso. Per poter esercitare l'azione revocatoria, disciplinata agli articoli 2901 ss. del codice civile, occorre la presenza di alcuni requisiti, diversi a seconda che si tratti di revocare gli effetti di un atto a titolo oneroso, come la compravendita, o di un atto a titolo gratuito, come la donazione. Nel caso di atti a titolo oneroso la legge prevede che il creditore debba dimostrare il pregiudizio subito, il dolo del debitore, se l'atto posto in essere è anteriore al sorgere del credito, e la consapevolezza, da parte del terzo avente causa, del danno provocato al creditore che ha agito in revocatoria. Per la revocatoria degli atti a titolo gratuito, tipica la donazione, non è invece necessario provare che il terzo fosse a conoscenza del pregiudizio arrecato al creditore, in quanto la legge considera la gratuità come fattore di per sé idoneo a rappresentare la volontà di disfarsi dei beni per sottrarli ai creditori. La giurisprudenza consolidata riconosce la possibilità di esperire azione revocatoria ordinaria anche nei riguardi di negozi traslativi di beni immobili o costitutivi di diritti reali minori sui medesimi compiuti in esecuzione di accordi omologati in sede di separazione consensuale (v. ad es. Cass. civ. 7178/2022; Cass. civ., n. 17908/2019; Cass. civ., n. 10443/2019; Cass. civ., n. 1404/2016, Cass. civ., n. 8678/2013). Ciò sulla base dell'argomentazione per cui tali atti traggono origine dalla libera determinazione del coniuge nello stipulare l'accordo economico, che costituisce parte dell'operazione revocabile, e non fonte di un obbligo idoneo a giustificare l'applicazione dell'art. 2901, comma 3, c.c. La Corte di cassazione con la pronuncia in commento richiama questi principi evidenziando che la volontà di un coniuge di trasferire un bene all'altro va visto come “l'atto stesso di disposizione del patrimonio” e non l'adempimento dell'obbligo assunto con l'accordo di separazione. La revocatoria non ha, quindi, ad oggetto gli accordi patrimoniali convenuti genericamente in sede di separazione, ma il singolo atto patrimoniale lesivo delle ragioni creditorie, che legittima dunque l'esperimento dell'azione. Un altro aspetto fondamentale per comprendere la revocabilità di tali atti riguarda la loro natura: un trasferimento immobiliare tra coniugi può essere considerato come atto a titolo gratuito o oneroso. La distinzione è cruciale, poiché gli atti a titolo gratuito sono generalmente più suscettibili di revoca rispetto a quelli onerosi. Un atto gratuito non prevede un corrispettivo adeguato e può quindi rappresentare una penalizzazione indebita per i creditori. Le attribuzioni patrimoniali dall'uno all'altro coniuge concernenti beni mobili o immobili, in quanto attuate nello spirito degli accordi di sistemazione dei rapporti fra i coniugi in occasione dell'evento di separazione consensuale, sfuggono sia alle connotazioni classiche dell'atto di «donazione» vero e proprio e, dall'altro, a quello di un atto di vendita (Cass., sez. 1, 23 marzo 2004 n. 5741; Cass., sez. II, 25 ottobre 2019, n. 27409; Cass., sez. III, 30 dicembre 2023, n. 36562). La giurisprudenza ha altresì chiarito che l'attribuzione patrimoniale effettuata da un coniuge a favore dell'altro coniuge in vista della loro separazione, va qualificata come atto a titolo gratuito ove non abbia la funzione di integrare o sostituire quanto dovuto per il mantenimento suo o dei figli (cfr. Cass. 13087/2015). Nella sentenza in commento si evidenzia che l'onerosità dell'attribuzione patrimoniale non può, farsi discendere tout court dall'astratta sussistenza di un obbligo legale di mantenimento, ma può emergere dall'esigenza di riequilibrare o ristorare il contributo apportato da un coniuge al ménage familiare e non adeguatamente rappresentato dalla situazione patrimoniale formalmente in essere fino al momento della separazione. La qualificazione dell'atto dispositivo come atto a titolo oneroso o come atto a titolo gratuito dipende, cioè, dalla possibilità di ricondurlo, in concreto, ad una causa che, trovando titolo nei pregressi rapporti anche di natura economica delle parti e nella necessità di darvi sistemazione nel momento della dissoluzione del vincolo, giustificasse lo spostamento patrimoniale fra i coniugi. Nel caso di specie i Giudici di Legittimità hanno interpretato il trasferimento come gratuito, mettendolo in conflitto con i diritti dei creditori, non risultando dall'istruttoria svolta che il trasferimento fosse stato effettuato in adempimento dell'obbligo di mantenimento della moglie. È stata quindi esclusa l'onerosità dell'atto dispositivo in sede di separazione e ritenuto legittimo il diritto del creditore di esperire l'azione revocatoria, in quanto arrecava appunto un pregiudizio alle sue ragioni. Osservazioni La sentenza della Suprema Corte n. 26127/2024 è particolarmente importante perché consolida ulteriormente quei filoni giurisprudenziali favorevoli alla tutela dei creditori, mettendo in risalto che anche i trasferimenti patrimoniali derivanti da accordi raggiunti dai coniugi in sede di separazione (omologati o recepiti in sentenza passata in giudicato a seguito di eventuale accordo patrimoniale raggiunto nel corso del giudizio pendente) possono essere revocati (qualora pregiudichino le ragioni creditorie). La sentenza della Suprema Corte si inserisce nel solco giurisprudenziale da tempo tracciato sul tema, offrendo valida tutela al creditore pregiudicato dagli effetti “spoliativi” di attribuzioni patrimoniali concordate dai coniugi in sede di separazione. Con la sentenza n. 26127/2024 la Cassazione ha peraltro esteso il principio dell'azione revocatoria anche agli accordi conclusi nell'ambito di separazioni giudiziali. Il ragionamento dei Giudici di legittimità è pienamente condivisibile rimarcandosi l'importanza e preminenza della tutela del creditore che può certamente primeggiare sugli interessi sottesi agli accordi patrimoniali tra coniugi nell'ambito delle procedure di separazione e divorzio. La revocabilità degli atti aventi ad oggetto trasferimenti immobiliari è infatti uno strumento a disposizione dei creditori per salvaguardare i loro diritti. La responsabilità patrimoniale, quale mezzo di tutela del credito ed intesa con la soggezione del patrimonio del debitore al soddisfacimento del creditore (art. 2740 c.c.) rappresenta del resto anche principio di ordine pubblico, sul presupposto che la sua funzione sia quella di garantire la giuridicità del vincolo obbligatorio e, in tal modo, di soddisfare un'esigenza di tutela del credito e (più in generale) dell'economia (Cfr., su questo punto, ad esempio, V. Roppo, La responsabilità patrimoniale del debitore, in P. Rescigno (diretto da), Trattato di diritto privato, vol. XIX, tomo 1, Torino, 1997, pp. 485 ss. e 508 ss). La sentenza della Corte ha senz'altro importanti implicazioni per i coniugi che intendono regolare i propri rapporti patrimoniali negoziando in sede di separazione eventuali trasferimenti immobiliari. È importante che essi, nell'ambito della propria libertà negoziale, considerino attentamente la natura dell'atto e le eventuali implicazioni per i creditori i cui diritti devono essere tutelati, indipendentemente dalle dinamiche interne ai rapporti coniugali. |