Favoreggiamento a scopo umanitario dell’ingresso illegale: per l’Avv. Gen. spetta al giudice nazionale la determinazione delle sanzioni per condotta disinteressata

La Redazione
14 Novembre 2024

Nelle sue conclusioni nella causa C-460/23, l'Avv. Gen. della CGUE Jean Richard de la Tour si è espresso in merito alla direttiva 2002/90/CE riguardante il favoreggiamento dell'ingresso illegale di cittadini stranieri. La direttiva richiede sanzioni appropriate per coloro che aiutano intenzionalmente l'ingresso illegale – a scopo di lucro – , ma consente esenzioni per coloro che agiscono per prestare assistenza umanitaria. Secondo l'Avv. Gen. la direttiva 2002/90 è conforme al principio di legalità e di proporzionalità dei reati e delle pene. Spetta al giudice nazionale assicurare che le sanzioni applicabili alle persone che hanno agito in modo disinteressato siano proporzionate, qualora non venga esclusa la loro responsabilità penale.

La direttiva 2002/90/CE del Consiglio, del 28 novembre 2002, volta a definire il favoreggiamento dell'ingresso, del transito e del soggiorno illegali  impone agli Stati membri di adottare sanzioni appropriate nei confronti di chiunque intenzionalmente aiuti un cittadino di un paese terzo a entrare in modo illegale nel territorio di uno Stato membro. Tale direttiva prevede, tuttavia, che gli Stati membri possono non applicare sanzioni nei casi in cui il favoreggiamento è messo in atto allo scopo di prestare assistenza umanitaria.

In applicazione della direttiva in parola, il diritto italiano incrimina il favoreggiamento dell'ingresso irregolare, indipendentemente dalla sussistenza di uno scopo di lucro. È prevista una pena detentiva da due a sei anni e una multa di 15.000 euro per ogni persona coinvolta, e sembra essere consentito il cumulo di tali sanzioni.

Il Tribunale di Bologna deve pronunciarsi sulla responsabilità penale di una cittadina di un paese terzo che ha contribuito all'ingresso illegale nel territorio italiano di sua figlia e di sua nipote, utilizzando falsi documenti di identificazione. Esso ha espresso dubbi quanto alla validità della direttiva 2002/9/CE per il motivo che recherebbe un pregiudizio sproporzionato ai diritti fondamentali delle persone interessate. In particolare, tale giudice ritiene la direttiva non conforme al principio di proporzionalità in quanto il legislatore dell'Unione configura come reato il favoreggiamento dell'ingresso illegale indipendentemente dalla sussistenza di uno scopo di lucro, senza imporre agli Stati membri di escludere la responsabilità penale di quanti agiscono per scopi umanitari o per vincoli familiari.

Nelle sue conclusioni presentate in data odierna, l'Avvocato Generale Jean Richard de la Tour puntualizza, in primo luogo, che la fattispecie incriminatrice del favoreggiamento dell'ingresso illegale comprende l'insieme degli atti con i quali una persona favorisce, in modo ponderato e deliberato, l'attraversamento illegale della frontiera di uno Stato membro, indipendentemente dalle motivazioni di tale persona.

In secondo luogo, egli rileva che non sussiste alcun elemento di natura tale da inficiare la validità di detta direttiva dal punto di vista del principio di legalità dei reati e delle pene, sancito all'articolo 49, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. La fattispecie incriminatrice in esame rientra nell'ambito di una competenza penale concorrente dell'Unione e degli Stati membri e si inserisce nel contesto di un ravvicinamento delle legislazioni nazionali esistenti. Nella misura in cui tale direttiva non può, da sola, far sorgere una responsabilità penale a carico di persone, spetta agli Stati membri integrare la fattispecie incriminatrice in esame attraverso una normativa nazionale che sia proporzionata e dotata della specificità, precisione e chiarezza richieste per soddisfare il requisito di certezza del diritto. Spetta parimenti agli Stati membri definire, a seconda dei rispettivi criteri relativi al sorgere della responsabilità, in che misura una persona possa beneficiare, alla luce delle circostanze del caso di specie, di un esonero da responsabilità penale o di un motivo di esenzione o di riduzione della pena.

In terzo luogo, l'Avvocato Generale Richard de la Tour espone che l'incriminazione del favoreggiamento dell'immigrazione irregolare non è contraria al principio di proporzionalità sancito all'articolo 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali. Da un lato, è essenziale tener conto non soltanto della minaccia rappresentata da questo fenomeno per la preservazione dell'ordine pubblico e la gestione delle frontiere, ma anche dei rischi a cui possono essere esposte le persone interessate a causa delle attività illegali che vi sono collegate e della situazione di grande precarietà e dipendenza in cui possono trovarsi. D'altro lato, se l'assistenza prestata non rappresenta necessariamente un'attività svolta a scopo di lucro o criminale e non determina sistematicamente un rischio grave per la vita di tali persone, è importante ricondurre il complesso degli atti che contribuiscono all'ingresso illegale di cittadini di paesi terzi nell'ambito di azione delle autorità penali, in modo da garantire una maggiore sorveglianza degli atti che, dissimulati come atti compiuti per solidarietà o in ragione di legami familiari, potrebbero in realtà perseguire altri scopi. In tale contesto, spetta al giudice nazionale accertare le motivazioni dell'autore dell'atto e valutare in che misura un simile atto sia richiesto per la salvaguardia di un interesse superiore e giustifichi, tenuto conto delle disposizioni di diritto nazionale, l'esonero dell'interessato dalla responsabilità penale o la concessione di un'esenzione o di una riduzione della pena.

Infine, l'Avvocato Generale sottolinea che la Corte non dispone di elementi sufficienti riguardanti la portata precisa delle cause di esonero dalla responsabilità penale o di esenzione o riduzione della pena previste dal diritto italiano. Nondimeno, egli ritiene che il principio di proporzionalità osti a un regime nazionale che non consenta al giudice di bilanciare gli interessi in causa e di effettuare un'individualizzazione della pena. In particolare, il giudice nazionale deve poter differenziare l'incriminazione di una persona che ha agito per scopi umanitari o per necessità da quella di una persona mossa esclusivamente dall'intenzione dolosa di commettere l'atto precisamente vietato dalla legge a scopo di lucro.