Quale mezzo di impugnazione ha a disposizione la parte civile che non abbia chiesto la citazione a giudizio dell’imputato, quando lo stesso, tratto a giudizio per rispondere di un reato punito con pena alternativa, sia stato prosciolto dal giudice di pace? La risposta delle Sezioni Unite.
Questione controversa
La questione controversa attiene all'ambito applicativo dell'art. 593 comma 3, c.p.p., nel testo risultante dalla “riforma Cartabia”, in virtù del quale «Sono in ogni caso inappellabili [..] le sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa»; all'indomani della novella, che ha ampliato l'ambito oggettivo della inappellabilità delle sentenze di proscioglimento, estendendolo a quelle concernenti “reati” (quindi anche delitti, non più solo contravvenzioni) puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa, ci si chiede se, nel processo celebrato innanzi al giudice di pace, la parte civile che non abbia citato in giudizio l'imputato debba impugnare la sentenza con appello o con ricorso per cassazione: ed invero, l'art. 38 d.lgs. n. 274/2000 regolamenta espressamente il solo caso di impugnazione presentata dalla persona offesa che abbia chiesto la citazione a giudizio dell'imputato, mentre nulla dice nel caso che qui rileva, nel quale torna, dunque, applicabile l'art. 2 del medesimo decreto legislativo, che, per quanto non specificamente disciplinato, rimanda alle norme del codice di procedura penale.
Possibili soluzioni
Prima soluzione
Seconda soluzione
Secondo un primo orientamento, il rinvio alle disposizioni generali comporta, per la parte civile, la rilevanza non solo del principio sancito dall'art. 576 c.p.p. ma anche del disposto dell'art. 593 comma 3, c.p.p. come riscritto dalla “riforma Cartabia”, che - in ossequio allo scopo di implementare l'efficienza del sistema delle impugnazioni, avuto di mira dal legislatore della riforma - le impedisce di appellare, agli effetti della responsabilità civile, la sentenza di proscioglimento emessa dal giudice di pace per reati puniti con la pena pecuniaria o con pena alternativa.
Sono, dunque, per un verso, l'art. 593 c.p.p. - che, in difetto di una lex specialis come l'art. 37 d.lgs. n. 274/2000 per l'imputato, assume portata generale - e, per altro verso, una lettura sistematica fondata sul significato dell'art. 38 d.lgs. n. 274/2000, che convincono dell'inappellabilità della sentenza nel caso di specie.
Le sentenze che hanno sostenuto questo orientamento hanno sottolineato che l'inappellabilità non priva la parte civile di uno strumento di controllo della decisione giurisdizionale, alla luce della persistente possibilità di proporre ricorso per cassazione, e che, pertanto, non è ravvisabile alcun vulnus ai principi costituzionali: Cass. pen., sez. IV, 16 aprile 2024, n. 24097, ha, in particolare, affermato che «È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 593, comma 3, cod. proc. pen., come modificato dall'art. 34, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 150/2022, per contrasto con gli artt. 3,25,27,32,97,102,106 e 111 Cost. e 6CEDU, nella parte in cui prevede l'inappellabilità delle sentenze di condanna alla sola pena dell'ammenda o a quella del lavoro di pubblica utilità e delle sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con pena pecuniaria o con pena alternativa, non avendo il doppio grado di merito copertura costituzionale e corrispondendo l'inappellabilità delle sentenze concernenti fatti di modesta rilevanza a una scelta legislativa legittima, in quanto finalizzata a migliorare l'efficienza del sistema delle impugnazioni. (In motivazione, la Corte ha altresì evidenziato che le garanzie della giurisdizione risultano comunque assicurate nell'ambito del giudizio di primo grado e per effetto dello scrutinio di legittimità della sentenza, nonché, per la persona offesa, dalla facoltà di adire la giurisdizione civile a tutela dei propri diritti)» (1).
Secondo l'opposto orientamento, nel caso di specie opererebbe soltanto la regola di cui all'art. 576 c.p.p., che, nella interpretazione della giurisprudenza di legittimità e di quella costituzionale, riconosce alla parte civile la legittimazione ad appellare, senza limiti, agli effetti della responsabilità civile, tutte le sentenze di proscioglimento pronunciate nel giudizio.
I sostenitori di questo orientamento evidenziano che, dopo la riforma di cui alla l. n. 46/2006, Cass. pen., sez. un., 29 marzo 2007, n. 27614 fondò sull'art. 576 c.p.p. la generale legittimazione della parte civile a proporre appello: la norma non limita il potere di impugnazione della parte civile al solo ricorso per cassazione, né esclude, espressamente o per implicito, la possibilità dell'appello, sicché può essere letta anche nel senso che è consentita ogni forma di impugnazione ordinaria. Tale lettura è compatibile con un'interpretazione meno rigida e restrittiva del principio di tassatività di cui all'art. 568 comma 1, c.p.p.: l'art. 576 c.p.p., infatti, prevede che la parte civile possa impugnare la sentenza che le è sfavorevole e non pone alcuna restrizione all'utilizzo degli ordinari mezzi previsti, la cui individuazione, in un quadro invariato dei rapporti tra processo penale e azione civile, non può che essere affidata ad una ermeneutica sistematica e costituzionalmente orientata del complessivo quadro normativo in tema di impugnazioni, evitando epiloghi che determinino asimmetrie e irragionevoli posizioni processuali differenziate.
Siffatta impostazione ha, successivamente, ricevuto ampio avallo da parte della Corte costituzionale che, nel riconoscere la legittimità della illustrata interpretazione di "riequilibrio", ha osservato che «nell'aderire a tale soluzione interpretativa, le Sezioni Unite hanno fatto leva, in particolare, sull'interpretazione logico-sistematica dell'art. 576 c.p.p. - attribuendo "a mero difetto di tecnica legislativa la formulazione letterale" della norma in questione - e, soprattutto, sulla volontà legislativa, quale desumibile dai lavori parlamentari»; «la Corte di cassazione ha evidenziato come le modifiche apportate al testo normativo originariamente approvato dal Parlamento, dopo il rinvio alle Camere da parte del Presidente della Repubblica ai sensi dell'art. 74 Cost. - e segnatamente la soppressione, nell'art. 576 c.p.p., dell'inciso "con il mezzo previsto dal pubblico ministero" - risultassero finalizzate, in realtà, a rimodulare, accrescendoli, i poteri di impugnazione della parte civile, sganciandone la posizione da quella del pubblico ministero; nonché, conseguentemente, a ripristinare il potere di appello della parte privata: con il chiaro intento di recepire il rilievo formulato nel messaggio presidenziale, circa l'eccessiva compressione della tutela delle vittime del reato, quale si delineava nelle soluzioni legislative inizialmente adottate» (C. cost. 9 luglio 2008, n. 302).
Ad avviso di questo orientamento, le recenti modifiche normative non paiono idonee ad incidere sulle regole che governano il processo davanti al giudice di pace, che - come sottolineato da Cass. pen., sez. un., 27 settembre 2018, n. 28908 e da C. cost. 24 febbraio 2016, n. 50 - ha carattere autonomo e tendenzialmente separato rispetto a quello ordinario.
Ed invero, nei procedimenti del giudice di pace l'art. 593 c.p.p., nella sua interezza, non trova applicazione né per l'imputato né per il pubblico ministero, in ragione dello specifico regime delle impugnazioni dettato dal d.lgs. n. 274/2000: la norma, allora, non può applicarsi neppure alla parte civile che - anche al fine di evitare ingiustificabili asimmetrie tra le parti del processo - deve ritenersi legittimata, in forza dell'art. 576 c.p.p., a proporre appello, ai soli effetti della responsabilità civile, avverso la sentenza di proscioglimento pronunciata dal giudice di pace.
Peraltro, considerando che, in virtù dell'art. 37 d.lgs. n. 274/2000, l'imputato condannato anche al risarcimento dei danni può appellare tutte le sentenze del giudice di pace, comprese quelle che infliggono la sola pena pecuniaria, altrimenti inappellabili, non può non considerarsi che, applicando alla parte civile l'art. 593 comma 3, c.p.p. si otterrebbe che solo questa parte, in caso di soccombenza, verrebbe privata del secondo grado di giudizio di merito; se, invece, a soccombere fosse l'imputato, controparte nella lite “civile”, questi non incorrerebbe in alcun limite, potendo investire sempre il giudice di appello (2).
(1) Cass. pen., sez. IV, 16 aprile 2024, n. 24097; Cass. pen., sez. V, 22 marzo 2024, n. 14370.
(2) Cass. pen., sez. V, 10 luglio 2024, n. 36932.
Rimessione alle Sezioni Unite
Cass. pen., sez. V, 24 ottobre 2024, n. 39591
I giudici rimettenti erano chiamati a scrutinare l'appello presentato dalla parte civile avverso la sentenza di assoluzione dell'imputato tratto a giudizio per rispondere del reato di diffamazione: il gravame, presentato ai soli fini della responsabilità civile, veniva riqualificato come ricorso per cassazione dai giudici di appello.
La Corte ha ricostruito il quadro normativo, ricordando che «nel procedimento del giudice di pace il regime delle impugnazioni soggiace alla disciplina speciale dettata dagli artt. 36 e ss. del citato d.lgs. n. 274/2000. All'art. 36, sotto la rubrica "impugnazione del pubblico ministero" è stabilito che: "il pubblico ministero può proporre appello contro le sentenze di condanna del giudice di pace che applicano una pena diversa da quella pecuniaria" (comma 1); "il pubblico ministero può proporre ricorso per cassazione contro le sentenze del giudice di pace" (comma 2). Deriva che unico mezzo di impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di proscioglimento del giudice di pace è il ricorso per cassazione (Cass. pen., sez. IV, n. 47995/2009, Di Loreto, Rv. 245741; Cass. pen., sez. V, n. 30224/2017, Balli, non massimata sul punto; Cass. pen., sez. V, n. 57716/2017 non massimata sul punto), disciplina, questa, ritenuta costituzionalmente legittima dal Giudice delle leggi, che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., dell'art. 9, comma 2, della legge 20 febbraio 2006, n. 46 nella parte in cui, modificando l'art. 36, comma 1, del d.lgs. n. 274 del 2000, non consente al pubblico ministero di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento del giudice di pace (C. cost., n. 298/2008). L'art. 37 regolamenta, invece, l'appello dell'imputato, sancendo che «l'imputato può proporre appello contro le sentenze di condanna del giudice di pace che applicano una pena diversa da quella pecuniaria; può proporre appello anche contro le sentenze che applicano la pena pecuniaria se impugna il capo relativo alla condanna, anche generica, al risarcimento del danno» (comma 1); «l'imputato può proporre ricorso per cassazione contro le sentenze di condanna del giudice di pace che applicano la sola pena pecuniaria e contro le sentenze di proscioglimento» (comma 2). L'art. 38 contiene poi una specifica disciplina per il caso (che qui non interessa) della «impugnazione del ricorrente che ha chiesto la citazione a giudizio dell'imputato», stabilendo che, quando la parte civile assume il ruolo di accusatore privato (v., infatti, di recente, Sez. 4, n. 43463 del 27/10/2022, Catalano, Rv. 283748 - 01), l'impugnazione contro la sentenza di proscioglimento è ammessa negli stessi casi in cui è ammessa l'impugnazione del pubblico ministero. Nulla è espressamente previsto per la parte civile che non abbia chiesto la citazione a giudizio dell'imputato. Ergo torna applicabile il disposto dell'art. 2 d.lgs. n. 274 del 2000 che rimanda alla disciplina del codice di rito per quanto non previsto dal citato decreto».
Ha, poi, illustrato i termini del contrasto, insorto nella giurisprudenza di legittimità proprio in relazione alla individuazione delle norme interessate da tale rinvio.
Ha, dunque, rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, per la risoluzione del quesito che è stato così formulato: «Se, dopo le modifiche dell'art. 593 c.p.p. ad opera dell'art. 34, comma 1, lett. a), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, la sentenza di proscioglimento pronunciata dal giudice di pace per un reato punito con pena alternativa sia, agli effetti civili, appellabile dalla parte civile che non ha chiesto la citazione a giudizio dell'imputato, ovvero solo ricorribile per cassazione».
Informazione provvisoria
Le Sezioni Unite, all’esito della camera di consiglio del 30 gennaio 2025, hanno statuito che «La sentenza di proscioglimento è appellabile dalla parte civile che non ha chiesto la citazione a giudizio dell'imputato».
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