La questione affrontata dalla Corte di Giustizia UE riguarda le pratiche commerciali scorrette e, in particolare, se la vendita abbinata di un finanziamento personale e di una polizza assicurativa non collegata a tale prestito rientri automaticamente nell'ambito delle pratiche commerciali scorrette.
La pratica commerciale in cui viene proposto simultaneamente a un consumatore un finanziamento personale e un prodotto assicurativo non collegato al prestito non costituisce automaticamente una pratica commerciale aggressiva e sleale.
È quanto affermato dalla Corte di Giustizia nell'ambito di una causa portata alla sua attenzione e qui di seguito riportata.
Caso
Un istituto bancario, con sede in Italia, aveva proposto ai suoi clienti, tra il 2015 e il 2018, di sottoscrivere diversi finanziamenti personali e prodotti assicurativi che prevedevano la copertura di determinati rischi senza un necessario collegamento con tali finanziamenti. La sottoscrizione di una polizza assicurativa non era una precondizione per la concessione del finanziamento, ma veniva offerta in abbinamento, con sottoscrizione contemporanea di entrambi i contratti.
L'AGCM nel 2018 avviava un procedimento al fine di accertare se detta pratica commerciale fosse «sleale» ai sensi della Dir. 2005/29/CE.
Nel corso di tale procedimento, l'istituto bancario presentava una proposta di impegni con una serie di misure specifiche volte a rendere più chiara al consumatore la non obbligatorietà della sottoscrizione di un'assicurazione non collegata a un finanziamento personale.
L'AGCM respingeva la proposta di impegni e contestava che tale società aveva adottato una pratica commerciale «aggressiva», e quindi «sleale», ai sensi della suddetta Direttiva, consistente nell'«abbinamento forzoso, al momento della stipula di contratti di finanziamento personale, di prodotti assicurativi non collegati al credito».
L'istituto bancario proponeva così ricorso prima dinanzi al TAR e poi al Consiglio di Stato, giudice del rinvio.
Il Consiglio di Stato sottoponeva, così, alla Corte di Giustizia alcune questioni pregiudiziali relative all'interpretazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori: tra queste, quella relativa alla nozione di «consumatore medio» e quella inerente l'inclusione o meno della pratica di vendita abbinata di un finanziamento e di un prodotto assicurativo scollegato nell'ambito delle pratiche commerciale «aggressive» e, quindi, «sleali».
La Corte ha ritenuto che tale pratica commerciale non costituisca automaticamente né una pratica commerciale aggressiva né una pratica commerciale sleale, proprio perché non è inclusa nell'allegato alla direttiva in cui vengono elencate in modo tassativo tutte le pratiche commerciali considerate in ogni caso sleali. Tale elenco può essere modificato solo mediante revisione della direttiva, e la circostanza in esame (cioè la vendita di un finanziamento personale abbinata a quella di un prodotto assicurativo non collegato) non rientra in questo elenco.
Ricorda anche che l'art. 8 Dir. 2005/29/CE prevede che è «considerata aggressiva una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, limiti o sia idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induca o sia idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso».
In merito alla possibilità che una siffatta pratica commerciale possa comportare un «indebito condizionamento» (definito dall'art. 2 lett. j Dir. 2005/29/UEcome «lo sfruttamento di una posizione di potere nei confronti del consumatore per esercitare una pressione, anche senza il ricorso alla forza fisica o la minaccia di tale ricorso, in modo da limitare notevolmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole»), la Corte ribadisce che:
un indebito condizionamento non è necessariamente un condizionamento illecito, bensì un condizionamento che, fatta salva la sua liceità, comporta in modo attivo, attraverso una certa pressione, il condizionamento forzato della volontà del consumatore (in tal senso anche la giurisprudenza della stessa Corte di Giustizia: C.Giust. UE 12 giugno 2019 C ‑ 628/17);
per «consumatore medio» deve intendersi un consumatore normalmente informato nonché ragionevolmente attento ed avveduto. Tale definizione non esclude tuttavia che la capacità decisionale di un individuo possa essere falsata da limitazioni, quali distorsioni cognitive.
Di seguito le conclusioni della Corte di Giustizia.
Conclusioni
1) «La direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali»), deve essere interpretata nel senso che: la nozione di «consumatore medio», ai sensi di tale direttiva, deve essere definita con riferimento a un consumatore normalmente informato nonché ragionevolmente attento ed avveduto. Una siffatta definizione non esclude tuttavia che la capacità decisionale di un individuo possa essere falsata da limitazioni, quali distorsioni cognitive.»
2) «L'articolo 2, lettera j), l'articolo 5, paragrafi 2 e 5, nonché gli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29 devono essere interpretati nel senso che: la pratica commerciale consistente nel proporre simultaneamente al consumatore un'offerta di finanziamento personale e un'offerta di un prodotto assicurativo non collegato a tale prestito non costituisce né una pratica commerciale in ogni caso aggressiva né una pratica commerciale considerata in ogni caso sleale, ai sensi di tale direttiva.»
3) «La direttiva 2005/29 deve essere interpretata nel senso che: essa non osta a una misura nazionale che consente a un'autorità nazionale, una volta accertato il carattere «aggressivo» o, più in generale, il carattere «sleale» di una pratica commerciale adottata da un determinato professionista, di imporre a tale professionista di concedere a detto consumatore un periodo di riflessione ragionevole tra le date della sottoscrizione del contratto di assicurazione e del contratto di finanziamento, a meno che non esistano altri mezzi meno lesivi della libertà d'impresa che siano altrettanto efficaci per porre fine al carattere «aggressivo» o, più in generale, «sleale» di detta pratica.»
4) «L'articolo 24, paragrafo 3, della direttiva (UE) 2016/97 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 gennaio 2016, sulla distribuzione assicurativa, deve essere interpretato nel senso che: esso non osta a che un'autorità nazionale esiga dal professionista, la cui pratica commerciale di incorniciamento è considerata «aggressiva», ai sensi degli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29, o, più in generale, «sleale», ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 2, di tale direttiva, che, per porre fine a tale pratica, conceda al consumatore un periodo di riflessione ragionevole tra le date di sottoscrizione dei contratti di cui trattasi.»
Vuoi leggere tutti i contenuti?
Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter continuare a
leggere questo e tanti altri articoli.