Diritti politici: l’imposizione del requisito della cittadinanza in uno Stato membro per la partecipazione ad un partito politico nazionale viola il diritto UE

La Redazione
22 Novembre 2024

La CGUE, con sentenza del 19 novembre 2024 (C-808/21) chiarisce che la negazione ai residenti, privi di cittadinanza UE, in uno Stato membro, del diritto di divenire membri di un partito politico viola il diritto eurounitario. In particolare, la Repubblica Ceca e la Polonia, imponendo il requisito della cittadinanza, non tutelano la parità di trattamento dei loro cittadini nell'esercizio effettivo del diritto di eleggibilità alle elezioni comunali ed europee.

Il diritto dell'Unione conferisce il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni locali ed europee ai cittadini dell'Unione che risiedono in uno Stato membro senza averne la cittadinanza. L'esercizio effettivo di tale diritto richiede che tali cittadini possano avere pari accesso ai mezzi di cui dispongono i cittadini di tale Stato membro per esercitare questo stesso diritto. Considerato che l'appartenenza a un partito politico contribuisce sostanzialmente all'esercizio dei diritti elettorali conferiti dal diritto dell'Unione, la Corte di giustizia ritiene che la Repubblica ceca e la Polonia abbiano violato tale diritto negando ai cittadini dell'Unione che risiedono in tali Stati membri senza esserne cittadini il diritto di divenire membri di un partito politico. La loro adesione ad un partito politico non è tale da pregiudicare l'identità nazionale della Repubblica ceca o della Polonia.

Le normative ceca e polacca conferiscono il diritto di divenire membri di un partito politico soltanto ai cittadini nazionali. Di conseguenza, secondo la Commissione europea, i cittadini dell'Unione che risiedono in tali Stati membri senza averne la cittadinanza non possono esercitare il loro diritto di eleggibilità alle elezioni comunali ed europee, sancito dal diritto dell'Unione, alle stesse condizioni dei cittadini cechi e polacchi.

Ritenendo che tale rifiuto costituisca una disparità di trattamento in base alla cittadinanza, vietata dal diritto dell'Unione, la Commissione ha adito la Corte di giustizia proponendo due ricorsi per inadempimento rispettivamente contro la Repubblica ceca e la Polonia.

La Corte accoglie tali ricorsi e constata l'inadempimento da parte di questi due Stati membri degli obblighi loro incombenti in forza dei Trattati.

Essa rileva che l'esercizio effettivo dei diritti elettorali alle elezioni comunali ed europee, garantiti dal diritto dell'Unione, esige che i cittadini dell'Unione che risiedono in uno Stato membro senza averne la cittadinanza abbiano pari accesso ai mezzi di cui dispongono i cittadini di tale Stato membro per esercitare in maniera effettiva questi stessi diritti.

I partiti politici svolgono infatti un ruolo fondamentale nel sistema di democrazia rappresentativa, il quale concretizza il valore della democrazia su cui l'Unione segnatamente si fonda. Di conseguenza, il divieto di appartenere a un partito politico pone tali cittadini dell'Unione in una situazione sfavorevole rispetto a quella dei cittadini cechi e polacchi in materia di eleggibilità alle elezioni comunali ed europee. Infatti, l'elezione di questi ultimi è favorita in particolare dal fatto che essi possono essere membri di un partito politico che dispone di strutture organizzative e di risorse umane, amministrative e finanziarie per sostenere la loro candidatura. Inoltre, il fatto di appartenere a un partito politico costituisce uno dei criteri che orientano la scelta degli elettori.

Tale disparità di trattamento, vietata dal diritto dell'Unione, non può essere giustificata da motivi attinenti al rispetto dell'identità nazionale. Infatti, il diritto dell'Unione non impone agli Stati membri di riconoscere ai cittadini dell'Unione interessati il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni nazionali né vieta loro di limitare il ruolo di tali cittadini all'interno di un partito politico nel contesto di tali elezioni.