Caporalato e locus commissi delicti: il concorso del datore di lavoro con il caporale radica la competenza per territorio nel luogo del reclutamento
28 Novembre 2024
Massima La condotta di reclutamento di manodopera, tipicamente riferita al c.d. caporale, può essere integrata dallo stesso datore di lavoro, al quale sia imputata la conseguente attività di assunzione, utilizzazione e impiego dei lavoratori, se a lui riferibile oggettivamente e soggettivamente. [...] Ne deriva che la competenza per territorio è correttamente radicata nel luogo dove tale condotta ha avuto inizio, pur essendo i lavoratori successivamente impiegati in altra sede in condizioni di sfruttamento e con approfittamento dello stato di bisogno. Il caso Datore di lavoro gravemente indiziato del reato di cui all'art. 603-bis c.p. e sequestro preventivo di somme di denaro. La vicenda in esame trae origine dall'ordinanza del Tribunale del Riesame, con la quale veniva confermato il sequestro preventivo di una somma di denaro disposto dal Giudice per le indagini preliminari ex art. 321, comma 2, c.p.p. In particolare, l'indagato, in qualità di datore di lavoro, era ritenuto gravemente indiziato del reato di cui all'art. 603-bis c.p., per aver impiegato presso la propria azienda 18 lavoratori di nazionalità pakistana e bengalese, sottoponendoli a condizioni di sfruttamento e approfittando del loro stato di bisogno. La questione Tra competenza territoriale e motivazione del periculum in mora. Le censure difensive investono la questione della competenza territoriale del Tribunale del Riesame e la carenza motivazionale del periculum in mora in relazione al sequestro preventivo ex art. 321, comma 2, c.p.p. Il ricorrente lamenta che la determinazione della competenza del Tribunale di Livorno sia stata erroneamente ancorata al luogo in cui si è realizzata la condotta di reclutamento, attività non riconducibile al datore di lavoro, bensì al c.d caporale. Si rileva, altresì, che i contratti di lavoro stabilivano come sede di assunzione il comune di Campagnatico (GR), e che i lavoratori erano stati successivamente impiegati nella medesima provincia. La motivazione del periculum in mora è invece ritenuta priva di fondamento concreto, ovvero ridotta a mera clausola di stile. Le soluzioni giuridiche Il concorso del datore di lavoro radica la competenza per territorio nel luogo del reclutamento. Con la pronuncia in epigrafe, la Suprema Corte ribadisce che il ricorso per cassazione avverso le ordinanze del Tribunale del Riesame è consentito, ai sensi dell'art. 325, comma 1, c. p.p., esclusivamente per violazione di legge; nozione che, secondo l'interpretazione ormai costante della giurisprudenza di legittimità, (Cass. pen., S.U., 29 maggio 2008, n. 2593; Cass. pen., 14 marzo 2017, n. 18951; Cass. pen., 10 ottobre 2023, n. 49739), ricomprende non soltanto gli errores in iudicando o in procedendo , ma altresì quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo del provvedimento del tutto mancante o meramente apparente. Senonché, tali vizi non sono stati riscontrati nel discorso giustificativo posto a fondamento del decisum dell'ordinanza impugnata e il ricorso de quo è stato dichiarato inammissibile. Con riferimento alla competenza per territorio, la Suprema Corte individua il locus commissi delicti nel luogo in cui si è consumata la condotta di reclutamento dei lavoratori, ossia presso il Centro di accoglienza di Piombino, confermando così la competenza del Tribunale di Livorno. Dalla motivazione dei provvedimenti cautelari emerge, infatti, che tale condotta era oggettivamente e soggettivamente riferibile al datore di lavoro, il quale aveva quindi assunto un ruolo attivo e consapevole nella fase di reperimento della manodopera, posta in essere in concorso con il c.d. caporale. Tale partecipazione ha comportato, pertanto, uno spostamento del momento consumativo del reato al luogo del reclutamento, sebbene il successivo impiego della manodopera sia avvenuto in altra sede. Quanto alla motivazione del sequestro preventivo ex art. 321, comma 2, c.p.p., la sentenza richiama i principi sul punto enunciati dalle Sezioni Unite, secondo cui il giudice non può limitarsi a constatare la mera confiscabilità del bene, ma è tenuto ad indicare, anche in modo conciso, le ragioni che rendono necessaria l'anticipazione degli effetti ablativi, attraverso una valutazione concreta del rischio di dispersione del patrimonio o della inattuabilità della confisca a seguito del giudizio (Cfr. Cass. pen., S.U., 26 giugno, 2021, n. 36959). Il Tribunale del riesame aveva infatti adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza del periculum in mora, evidenziando gli elementi fattuali da cui inferire la necessità dell'adprehensio. Benché non direttamente evidenziato, la pronuncia in esame conferma quindi l'applicazione rigorosa di tali principi anche con riferimento alle ipotesi di sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria (Come già in Cass. pen., Sez. 6, 5 luglio 2022, n. 32582; Cass. pen., Sez. 6, 15 febbraio 2023, n. 20649), tra le quali, per effetto della previsione di cui all'art. 603-bis.2 c.p., senz'altro vi rientra il caso di specie. L'unica deroga a tale onere motivazionale è pertanto rappresentata dai beni intrinsecamente pericolosi rispetto ai quali il periculum in mora è presunto in re ipsa ai sensi dell'art. 240, comma 2, n. 2 c.p., che ammette la confisca anche in assenza di una pronuncia di condanna. Osservazioni finali Concorso del datore di lavoro e consumazione del reato di caporalato. La sentenza in commento si rivela di notevole interesse nell'analisi della fattispecie di cui all'art. 603-bis c.p., offrendo importanti spunti di riflessione in tema di consumazione del reato e di responsabilità del datore di lavoro. L'art. 603-bis c.p., così come modificato dalla L. 199/2016, contempla due condotte delittuose in un rapporto di progressione offensiva non necessaria. Sebbene, sul piano empirico-fattale, l'attività di intermediazione illecita preceda normalmente l'impiego di manodopera, ai fini della configurabilità del reato di caporalato, non è necessario che la condotta di reclutamento sfoci nello sfruttamento da parte del datore di lavoro. Infatti, la destinazione del lavoro presso terzi costituisce solo l'oggetto del dolo specifico sotteso alla condotta del caporale (Cfr. Cass. pen., 4 marzo 2024, n. 09189). Analogamente, l'intermediazione non è un elemento essenziale per l'integrazione della condotta di utilizzazione, assunzione o impiego di manodopera - tipica del datore di lavoro - la quale può realizzarsi “anche”, ma non esclusivamente, mediante l'intermediazione illecita. Nondimeno, nei casi in cui tale progressione criminosa si realizzi, l'accertamento del ruolo del datore di lavoro risulta dirimente ai fini della configurabilità della fattispecie in esame.Alla luce della pronuncia de quo, infatti, il datore di lavoro potrebbe essere chiamato a rispondere del reato di cui all'art. 603-bis c.p., non soltanto quale mero utilizzatore delle prestazioni lavorative, bensì anche per l'attività di reclutamento posta in essere dal c.d. caporale, laddove tra i due soggetti sia intercorso un accordo preventivo e consapevole. La punibilità del datore di lavoro, in forza del combinato disposto degli artt. 603-bis c.p. e 110 c.p. era stata già prospettata dall'autorevole dottrina, anche prima della riforma del 2016 (A. Di Martino, “C aporalato” e repressione penale: appunti su una correlazione (troppo) scontata, in Dir. pen. cont., 2/2015, 106; D. Piva, I limiti dell'intervento penale sul caporalato come sistema (e non condotta) di produzione: brevi note a margine della L. n. 199/2016, in Arch. pen., 2017, 186; A. Merlo, I l contrasto allo sfruttamento del lavoro e il c.d. “caporalato” dai braccianti ai riders. La fattispecie dell'art. 603-bis c.p. e il ruolo del diritto penale, Torino, 2020), a fronte di una fattispecie che ancora non contemplava il datore di lavoro quale soggetto attivo del reato. Sebbene introdotta in via incidentale e in prospettiva limitata alla valutazione della doglianza cautelare relativa alla competenza per territorio, tale impostazione sembra costituire, tuttavia, un novum a livello giurisprudenziale. In tale contesto, la configurabilità del concorso del datore di lavoro nell'attività di reclutamento incide significativamente sulla determinazione del locus commissi delicti. Se il reato di sfruttamento di manodopera – qualificato ora reato abituale (Cass. pen., 12 maggio 2021, n. 25756) ora come reato istantaneo ad effetti permanenti (Cass. pen.,24 giugno 2022, n. 24388) -, si intende perfezionato nel luogo in cui i lavoratori siano effettivamente impiegati in condizioni di sfruttamento (Da ultimo Cass. pen. 24 maggio 2024, n. 21021), la consapevole partecipazione del datore di lavoro alla fase di reclutamento determina invece uno spostamento del momento di consumazione del reato al luogo in cui tale condotta si è concretizzata. La decisione della Corte di Cassazione sembra infatti suggerire che, in presenza di un concorso con il c.d. caporale, la successiva utilizzazione dei lavoratori costituisca la naturale prosecuzione di un fatto illecito già perfezionatosi ex ante. Ad ogni modo, si tratterebbe di un mutamento di prospettiva da valutare con cautela, considerando i limiti strutturali del giudizio cautelare nel quale siffatta ricostruzione si inserisce, caratterizzato da una contestazione non ancora cristallizzata e da una motivazione della Corte di Cassazione che, pur rilevante, appare sul punto piuttosto succinta. |