La “sostenibile insostenibilità” del S.S.N: liste d’attesa e appropriatezza delle prescrizioni. È già negoziabilità delle cure mediche?
27 Novembre 2024
Premessa L'approfondimento si interroga sulla situazione del S.S.N. e su come (non) vengano sempre assicurati i diritti alla cura della salute. Non si tratta solo del caso delle c.d. “lista d'attesa”, per le quali è intervenuto il d.l. n. 73/2024, convertito in l. n. 105/2024, ma di una considerazione più ampia sulla autonomia e la responsabilità del medico circa le prescrizioni mediche. Infatti, di recente viene posta attenzione alla questione della “appropriatezza” delle prescrizioni: il tema è complesso, perché coinvolge i problemi della c.d. medicina difensiva, della carenza cronica di risorse (economiche e di personale) della sanità (pubblica), dell'autonomia e della responsabilità del medico. La verifica ex post della congruità della prescrizione può incidere sull'autonomia del medico? Dopo la medicina difensiva andremo verso la “medicina inerte”? L'appropriatezza della prescrizione medica. Questioni Ormai da anni si parla di “appropriatezza” delle prescrizioni mediche, per il difficile bilanciamento tra le esigenze di bilancio pubblico e il diritto alla cura e alla salute. All'inizio del 2024 e dopo l'emergenza pandemica, che ha definitamente mostrato il collasso della sanità pubblica, si sono tenuti diversi convegni su questo argomento. Ricordo a titolo esemplificativo il convegno organizzato il 19 aprile 2024 dall'Ulss 3 Serenissima (Venezia) dal titolo Appropriatezza prescrittiva per il rilancio del SSN (cfr. Ordine dei Medici di Venezia), ma anche la XXIII edizione della rassegna Salute direzione Nord che si è tenuta a Palazzo Lombardia a Milano a giugno 2024. Da qui la ragione del presente contributo. Questi dibattiti non sono casuali. Infatti, il tema ha assunto concretezza con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 178 del 3 luglio 2024 delle nuove misure contro le liste d'attesa in sanità contenute nel d.l. n. 73/2024, convertito in l. n. 105/2024, recante: «Misure urgenti per la riduzione dei tempi delle liste di attesa delle prestazioni sanitarie». Si impone una doverosa riflessione, perché si possono avere ricadute giuridiche e sulla tutela della salute insidiose, a seconda della prospettiva che si intenda assumere. La questione di fondo è che una percentuale di prestazioni superiore al 20% è risultata inappropriata (in una valutazione ex post). Il tema delle liste di attesa è solo un aspetto di un quadro più ampio di gestione e tutela della salute, che involge pilastri della materia:
Sono questioni di non facile governo e bilanciamento. Il d.l. n. 73/2024: appropriatezza delle prescrizioni, liste d'attesa e meccanismo “assicura-prestazione”. Luci e ombre Il d.l. n. 73/2024 recante «Misure urgenti per la riduzione dei tempi delle liste di attesa delle prestazioni sanitarie» agisce sul fronte dell'appropriatezza delle prescrizioni mediche e sulla gestione delle liste d'attesa e prevede una serie di misure programmatiche, che attenderanno i decreti attuativi, i quali misureranno l'efficacia reale delle misure. V'è da osservare subito, però, che le enunciazioni di principio probabilmente rimarranno tali, perché non si scorge una reale misura strutturale e, comunque, non si risolve il problema della carenza (ormai assenza) del personale medico e sanitario del settore pubblico (a favore del privato verso cui si assiste ad un esodo). Ad ogni modo, è interessante ripercorre almeno i punti fondamentali: 1. Piattaforma nazionale liste d'attesa, in capo all'Agenas (Agenzia per i servizi sanitari regionali), pensata per monitorare in tempo reale le ‘code' ospedale per ospedale, garantire l'efficacia della misurazione delle prestazioni in lista attesa e verificare che ci sia disponibilità di agende di prenotazione sia per il sistema pubblico sia per i privati accreditati; verificare l'appropriatezza nell'accesso alle prestazioni (l'esame o la visita giusta prescritta/o al paziente nei setting di cura giusti), anche utilizzando piattaforme di intelligenza artificiale. Come per l'organismo che vedremo appresso, è da osservare che si moltiplicano gli enti di controllo, con aumento dei percorsi burocratici con dubbio impatto positivo, invece che utilizzare e potenziare organi già esistenti. 2. Organismo di verifica e controllo sull'assistenza sanitaria tramite la nuova figura del Rappresentante unico regionale dell'assistenza sanitaria (Ruas) che, in caso di criticità, sollecita la verifica di volumi e tempi d'attesa e segnala le strutture che non rispettano i termini. 3. Attivazione di Cup (Centri unici di prenotazione) unici a livello regionale o comunque integrati in modo da unificare anche le agende di cura degli ospedali privati accreditati con il Servizio sanitario nazionale. 4. Meccanismo “assicura-prestazione”: a parte il divieto di chiudere o sospendere le attività di prenotazione, se il Cup dell'Asl non è in grado di erogare la prestazione nei tempi previsti, allora la Asl dovrà coprire le spese attraverso l'utilizzo dell'attività intra moenia, oppure attraverso il sistema privato accreditato. In realtà un meccanismo del genere era già previsto, come vedremo. 5. Sistema di disdetta delle prenotazioni (anche per gli esenti): il cittadino è tenuto a disdire entro 2 giorni lavorativi e se non lo fa e non si presenta paga il ticket. Infatti, nel governo delle liste d'attesa si pone il problema delle mancate disdette, che creano disservizi. 6. Visite diagnostiche e specialistiche anche di sabato e domenica e fascia oraria prolungabile (aperture straordinarie). Questo non risolve il problema della carenza cronica e sistemica di personale e risorse. 7. Persone con malattie cronico-degenerative e oncologiche: viene garantito l'accesso alle prestazioni incluse nei loro percorsi diagnostico-terapeutici attraverso agende dedicate, gestite direttamente dallo specialista che li segue (i.e. escono dal percorso di prenotazione “generalista”) 8. Detassazione degli straordinari di medici e infermieri, con l'inserimento di una flat tax al 15%. Questo non pare risolvere la carenza strutturale di personale e, soprattutto, il tema della sicurezza e del burnout di personale già in stress. 9. Dal 2025 superamento del tetto sulla spesa per il personale sanitario attraverso un sistema di previsioni di spesa e di conseguenti riduzioni di autorizzazioni di spesa (tutto da verificare in sede di bilanci futuri). 10. Potenziamento dei Dipartimenti di salute mentale per rafforzare i servizi di Psichiatria. Come accennato, le misure non sembrano integrare un risanamento strutturale della sanità pubblica. In questa sede non interessa né salutare con entusiasmo la misura normativa né valutarla pessimisticamente. Dal punto di vista di politica del diritto, colpiscono, invece, due direttrici:
Sotto quest'ultimo aspetto, infatti, non occorreva prevedere il meccanismo per cui la Asl dovrà coprire le spese attraverso l'utilizzo dell'attività intra moenia, oppure attraverso il sistema privato accreditato, nel caso in cui non riesca a garantire i tempi della prescrizione medica, poiché la previsione era già presente nel nostro sistema. In particolare, viene in considerazione l'art. 3,comma 13, d. lgs. n. 124/1998: «13. Fino all'entrata in vigore delle discipline regionali di cui al comma 12, qualora l'attesa della prestazione richiesta si prolunghi oltre il termine fissato dal direttore generale ai sensi dei commi 10 e 11, l'assistito può chiedere che la prestazione venga resa nell'ambito dell'attività libero-professionale intramuraria, ponendo a carico dell'azienda unità sanitaria locale di appartenenza e dell'azienda unità sanitaria locale nel cui ambito è richiesta la prestazione, in misura eguale, la differenza tra la somma versata a titolo di partecipazione al costo della prestazione e l'effettivo costo di quest'ultima, sulla scorta delle tariffe vigenti. Nel caso l'assistito sia esente dalla predetta partecipazione l'azienda unità sanitaria locale di appartenenza e l'azienda unità sanitaria locale nel cui ambito è richiesta la prestazione corrispondono, in misura eguale, l'intero costo della prestazione.» In realtà, la disciplina è più complessa, perché era previsto che le Regioni definissero i criteri di tempi ed erogazioni delle prestazioni. In questa sede ricordiamo solo che al medesimo art. 3 vi erano altre previsioni: «comma 10. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le regioni disciplinano i criteri secondo i quali i direttori generali delle aziende unità sanitarie locali ed ospedaliere determinano, entro trenta giorni dall'efficacia della disciplina regionale, il tempo massimo che può intercorrere tra la data della richiesta delle prestazioni di cui ai commi 3 e 4 e l'erogazione della stessa. Di tale termine è data comunicazione all'assistito al momento della presentazione della domanda della prestazione, nonché idonea pubblicità a cura delle aziende unità sanitarie locali ed ospedaliere. comma 12. Le regioni disciplinano, anche mediante l'adozione di appositi programmi, il rispetto della tempestività dell'erogazione delle predette prestazioni, con l'osservanza dei seguenti principi e criteri direttivi: (…) c) imputare gli eventuali maggiori oneri derivanti dal ricorso all'erogazione delle prestazioni in regime di attività libero-professionale intramuraria alle risorse di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni ed integrazioni, con conseguente esclusione di ogni intervento finanziario a carico dello Stato; d) prevedere correzioni al regime di partecipazione al costo come definito nei commi 3 e 4 secondo i criteri desumibili dal comma 13.» Probabilmente il d.l. n. 73/2024 ha il pregio di cercare di rivedere il sistema di gestione delle prenotazioni. Ha riaffermato la regola di ricorso alla libera attività intra moenia e al privato accreditato in caso di incapacità di rispettare i tempi di attesa da parte della sanità pubblica. Da questo punto di vista, la previsione imporrà alle Regioni e ai Direttori Generali delle Asl una seria e concreta programmazione, certamente non facile, pena il definitivo dissesto economico. Il sistema dei rimborsi “scoperchia il vaso di Pandora”, perché, oltre ai principi, è decisivo che a livello strutturale e nazionale vi siano concreti investimenti nella Sanità. Non dimentichiamo che un investimento può essere considerato non tanto un “costo”, quanto un investimento, laddove realmente renda più efficiente il servizio, eliminando o riducendo i costi dei ritardi e dei disservizi. Un buon investimento può implicare un risparmio di spesa maggiore del costo stesso dell'investimento. Dunque, può essere conveniente e portare in positivo o in parità il bilancio, se aumenta la sicurezza (quindi riduce i costi di risarcimento, anche per errori medici indotti da un ambiente lavorativo stressato). Soprattutto, si tutela realmente la salute delle persone. A molti sarà capitato di prenotare una prestazione medica, in cui il proprio medico di medicina generale aveva fissato un termine di erogazione (10 giorni, 30 giorni, 60 giorni, etc.), spesso disatteso più o meno macroscopicamente. Ebbene, fino ad ora poche persone hanno fatto valere il proprio diritto a ricevere la prestazione in libera professione o in strutture private accreditate (ferma la debenza del solo ticket, se dovuto). Chiaramente, se la massa di pazienti facesse valere i propri diritti, vi sarebbe l'immediato collasso economico della sanità pubblica, che dovrebbe pagare la differenza tra il ticket e il costo della prestazione intra moenia o convenzionata. Come detto, il decreto legge in esame può avere il pregio di dare un chiaro segnale politico di direzione. Tuttavia, timeo danaos dona ferentes. La previsione può avere un “lato oscuro”. Vi è il pericolo che i medici siano indotti a non fare prescrizioni “urgenti”, per il timore di controlli e sanzioni (che già vi sono, come vedremo). Infatti, il diritto alla prestazione medica o all'esame diagnostico dipende dall'urgenza fissata dal medico di base nell'impegnativa. Il problema, quindi, si pone per quelle prescrizioni mediche con urgenza più o meno marcata (10 giorni, 30 giorni, etc.), per la quale non si riesce a garantire l'erogazione della prestazione. I medici di base possono subire pressioni o indicazioni ad evitare di fare prescrizioni urgenti in luogo di altre con più ampio termine? Ecco il tema dell'appropriatezza della prescrizione medica, che va valutato molto attentamente. Detto diversamente, occorre evitare che l'appropriatezza venga usata come strumento di mera riduzione o taglio lineare delle prescrizioni. Prescrizioni mediche, aumento della domanda e PNP 2020-2025. Cenni Innanzitutto, il tema delle liste d’attesa e della appropriatezza delle prescrizioni mediche viene ricondotto anche al problema dell’aumento degli accessi alle prestazioni sanitarie. Come dato generale, è innegabile. Tuttavia, occorre respingere ogni logica generalizzante e fuorviante. Infatti, è vero che è aumentato il ricorso alle prestazioni sanitarie e ai ricoveri, ma per tutte le fasce d’età (Dati Istat). Questo fenomeno va valutato alla luce di almeno due considerazioni:
Consegue che obiettivamente non si può pretendere che il numero di richieste di prestazioni sanitarie rimanga invariato rispetto agli anni passati. Il rischio di questa prospettiva è cercare di distogliere l’attenzione, puntando ad una mera riduzione quantitativa delle prescrizioni e non qualitativa. Al contrario, in una politica di governo si deve prevedere ed investire sull’aumento della domanda. Dal punto di vista giuridico (o, meglio, di politica del diritto), questo chiarimento è necessario per evitare che il diritto alla salute e alle cure possa venire in qualche modo limitato o leso in nome di principi astratti (è assolutamente pacifico e condivisibile l’obiettivo di assicurare le prestazioni sanitarie, riducendo gli sprechi e le inefficienze; la questione è se tali principi vengono usati per strategia di tagli lineari). È indubbio il cambiamento sociale-demografico che stiamo vivendo: l’invecchiamento della popolazione correlato alla sostenibilità sociale e del servizio sanitario nazionale (i.e. costi sociali e sanitari legati all’anzianità). Lo scopo dovrebbe essere la promozione della longevità e anzianità senza disabilità e in salute. Sono due facce della stessa medaglia: prendersi cura oggi per stare meglio in futuro e ridurre l’impatto socio-economico dell’aging. Le fasi della vita non sono a “comparti stagni”: lo stile di vita e la cura di se stessi oggi si ripercuote sul futuro. Il costo sanitario deve trasformarsi in un investimento per il futuro, anche delle fasce di età più giovani. Questa prospettiva sembra affermarsi nel recente Piano di Prevenzione Nazionale 2020-2025, ispirato anche a tali principi. Il PNP 2020-2025 ribadisce l’approccio life course, finalizzato al mantenimento del benessere in ciascuna fase dell’esistenza, per setting (scuola, ambiente di lavoro, comunità, servizi sanitari, città, …), come strumento facilitante per le azioni di promozione della salute e di prevenzione, e di genere, al fine di migliorare l’appropriatezza ed il sistematico orientamento all’equità degli interventi. Le parole-chiave sono:
Naturalmente non è questa la sede per esaminare il PNP 2020-2025. Interessa evidenziare la crescente esigenza non solo di cura, ma anche di prevenzione in tutte le fasi della vita. Da qui, il tema della appropriatezza delle prescrizioni mediche non può essere ridotto ad una mera questione valutazione ex post di non congruità. L'appropriatezza della prescrizione medica. Riferimenti normativi ed evanescenza del concetto L'appropriatezza prescrittiva si riferisce, in termini generali, alla corretta e giusta applicazione delle prescrizioni mediche, considerando diversi fattori come la diagnosi del paziente, il suo stato di salute generale, eventuali allergie o interazioni farmacologiche, nonché le linee guida cliniche e le evidenze scientifiche disponibili. Detto diversamente, la terapia prescritta deve essere adeguata e sicura per il paziente specifico, garantendo che i benefici superino i rischi potenziali. Questa pratica è fondamentale per garantire un trattamento efficace e sicuro, personalizzato per le esigenze di ogni specifico paziente, evitando la somministrazione di farmaci non necessari e/o potenzialmente dannosi. Sin da ora è necessario evidenziare la poliedricità della persona umana e la dimensione individuale della cura medica. La singolarità, dal punto di vista clinico, non è l'eccezione, ma la norma sicché, fermo il carattere orientativo “di base” delle linee guida, dei protocolli sanitari o delle buone pratiche clinico-assistenziali per tutti i medici, ad ogni malato deve essere assicurato, nella diagnosi della malattia e nella prescrizione della cura, il rispetto della propria – eventuale – “diseguaglianza clinica”. Dunque, considerando anche l'autonomia del medico che agisce in scienza e coscienza, nonché il consenso informato e la c.d. alleanza terapeutica col paziente, occorre prestare attenzione alle valutazioni basate su dati statistici o a medie, oppure basate su valutazioni ex post. La caratterizzazione del singolo paziente è incompatibile con medie e dati astratti. D'altra parte, è necessario evitare prescrizioni non necessarie e/o potenzialmente dannose. Da qui l'importanza di delineare i confini di una prescrizione appropriata. Al riguardo, il concetto di “appropriatezza prescrittiva” è presente nella nostra legislazione, tuttavia non è definito e si presenta come un concetto “evanescente”. Al di là della disciplina regionale, in questa sede ricordiamo almeno i principali riferimenti nazionali: 1. Decreto-legge 20 giugno 1996, n. 323 , conv. con modif. in l. n. 425/1996 - «Disposizioni urgenti per il risanamento della finanza pubblica», art. 1, comma 4 - secondo cui «Le aziende sanitarie locali e le aziende ospedaliere curano l'informazione e l'aggiornamento del medico prescrittore nonché i controlli obbligatori, basati su appositi registri o altri idonei strumenti, necessari ad assicurare che la prescrizione dei medicinali rimborsabili a carico del Servizio sanitario nazionale sia conforme alle condizioni e alle limitazioni previste dai provvedimenti della Commissione unica del farmaco e che gli appositi moduli del Servizio sanitario nazionale non siano utilizzati per medicinali non ammessi a rimborso. Qualora dal controllo risulti che un medico abbia prescritto un medicinale senza osservare le condizioni e le limitazioni citate, l'azienda sanitaria locale, dopo aver richiesto al medico stesso le ragioni della mancata osservanza, ove ritenga insoddisfacente le motivazioni addotte, informa del fatto l'ordine al quale appartiene il sanitario, nonché il Ministero della sanità, per i provvedimenti di rispettiva competenza. Il medico è tenuto a rimborsare al Servizio sanitario nazionale il farmaco indebitamente prescritto (grassetto, ndr)». 2. Decreto-legge 17 febbraio 1998, n. 23 , conv. in l. n. 94/1998 - «Disposizioni urgenti in materia di sperimentazioni cliniche in campo oncologico e altre misure in materia sanitaria» - all'art. 3, comma 1, prevede che «Fatto salvo il disposto dei commi 2 e 3, il medico, nel prescrivere una specialità medicinale o altro medicinale prodotto industrialmente, si attiene alle indicazioni terapeutiche, alle vie e alle modalità di somministrazione previste dall'autorizzazione all'immissione in commercio rilasciata dal Ministero della sanità.» 3. Si ricorda anche l'Accordo Collettivo Nazionale reso esecutivo con d.P.R. n. 270/2000, che all'art. 15-bis («Appropriatezza delle cure e dell'uso delle risorse») stabilisce che Il medico di medicina generale concorre, unitamente alle altre figure professionali operanti nel Servizio sanitario nazionale, a:
Le prescrizioni di prestazioni specialistiche, comprese le diagnostiche, farmaceutiche e di ricovero, del medico di medicina generale si attengono ai principi sopra enunciati e avvengono secondo scienza e coscienza. Anche qui è previsto un organo di controllo sulla appropriatezza prescrittiva, valutata tenendo conto dei seguenti elementi:
4. anche il Codice Deontologico medico, in particolare all'art. 13, prevede che la prescrizione a fini di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione è una diretta, specifica, esclusiva e non delegabile competenza del medico, impegna la sua autonomia e responsabilità e deve far seguito a una diagnosi circostanziata o a un fondato sospetto diagnostico. La prescrizione deve fondarsi sulle evidenze scientifiche disponibili, sull'uso ottimale delle risorse e sul rispetto dei «principi di efficacia clinica, di sicurezza e di appropriatezza». Il medico tiene conto delle linee guida diagnostico-terapeutiche accreditate da fonti autorevoli e indipendenti quali raccomandazioni e ne valuta l'applicabilità al caso specifico. Come si vede, la disciplina positiva, guardando anche alle intitolazioni, attiene all'aspetto di ottimizzazione delle risorse economiche. Da questo punto di vista, si devono ricordare le norme della Costituzione che fissano i termini di bilanciamento degli interessi sottesi alla appropriatezza della prescrizione medica:
Dunque, il concetto di appropriatezza della prescrizione medica è stretto tra i principi di libertà ed autonomia del medico (che agisce in scienza e coscienza sotto la sua responsabilità) e principi ed esigenze di bilancio. Da questo punto di vista, il medico dipendente oppure convenzionato deve rispondere anche a logiche di fedeltà e bilancio, foriere di responsabilità amministrative/erariale. Il medico (che partecipa sanità pubblica), quindi, è sottoposto a controllo e a limitazioni di prescrizioni. L'iperprescittività. Responsabilità amministrativa e civile Come detto, una percentuale di prestazioni superiore al 20% è risultata inappropriata (in una valutazione ex post). Il tema (e la disciplina positiva sopra vista) si colloca precipuamente sul versante del controllo della spesa pubblica. Con riferimento alla tutela delle esigenze di bilancio, vi sono diversi modi di verificare gli eccessi da parte degli organi di controllo:
Risulta evidente che i criteri adottati per queste verifiche prescindono da una reale “colpa” medica in senso civilistico per iper-prescrizione, tanto che si instaura un contraddittorio, ove il medico può e deve dimostrare la correttezza del proprio operato. Non a caso, sul fronte della responsabilità amministrativa, la Corte dei Conti ha negato ogni automatismo tra discostamento dalle medie e responsabilità del medico per iperprescrizione. «Ai fini della sussistenza della responsabilità per danno erariale del medico convenzionato, per effetto di iperprescrizioni di farmaci a carico del S.s.n., non è sufficiente il superamento della media prescrittiva praticata dalla generalità degli altri medici di base, essendo necessario accertare anche il titolo di imputazione soggettiva (Corte Conti, sez. reg. giurisd., 23 settembre 2019, n.337). «Se non suffragato da validi elementi probatori, il criterio del danno da "iperprescrizione in senso lato" - consistente in una condotta prescrittiva del medico difforme rispetto alla "media ponderata" delle quantità di farmaci normalmente prescritte dagli altri sanitari della stessa ASL - non può essere seguito nel giudizio di responsabilità amministrativa, posto che lo stesso mostra solamente un maggiore esborso a carico del SSN, senza condurre al sicuro ed inconfutabile riconoscimento di una responsabilità amministrativo-contabile del medico (potendo, al più, assumere valore meramente sintomatico di un'illiceità della condotta prescrittiva). Infatti, l'astrattezza di tale criterio è incompatibile con la valutazione di un'attività incontestatamente discrezionale, quale è quella medica, nonché con il fondamentale principio dell'onere della prova (attorco) della responsabilità amministrativo-contabile, che può derivare solo da condotte dannose certe e provate caso per caso, secondo un nesso causale, non desumibile statisticamente» (Corte Conti Lombardia, sez. reg. giurisd., 11 gennaio 2018, n.2). La Corte dei Conti ha precisato che le indagini del GdF possono solo dimostrare una iperprescrittività in senso stretto, che però non può produrre un «giudizio di responsabilità amministrativa, non tanto per l'inattendibilità tecnica del criterio o per la carenza di rigore scientifico, quanto per la sua astrattezza, incompatibile con la valutazione di una attività incontestatamente discrezionale, quale quella medica, ed alla luce del fondamentale principio dell'onere della prova della responsabilità amministrativo-contabile, di natura personale, derivante da comportamenti dannosi storicamente certi e provati, caso per caso, secondo un riscontrato nesso etiologico-causale, non desumibile statisticamente». La responsabilità non può essere individuata sulla base di criteri generici, ma deve essere dimostrata in maniera puntuale per evitare di snaturare l'attività stessa del medico e la sua professionalità. Si torna così ad una valutazione delle responsabilità secondo i canoni civilistici. L'errore del medico può essere compiuto in tutte le fasi del processo di guarigione della malattia: nella fase diagnostica, in quella prognostica e nella fase terapeutica. Le linee guida possono assumere un certo rilievo. Il rischio di una medicina semplificata, meccanica e stereotipata deve confrontarsi con la consapevolezza giurisprudenziale che le linee guida possono rappresentare uno strumento utile di accertamento, ma non costituiscono regole cautelari assolute, sia perché prive della prescrittività sia perché troppo variabili, non affidabili e non escludenti il dovere del medico di perseguire la migliore soluzione per il paziente (Cass. civ., sez. III, 30 novembre 2018, n. 30998; Cass. civ., sez. III, 9 maggio 2017, n. 11208; Cass. pen., sez. un., 21 dicembre 2017, n. 8770; Cass. pen., sez. IV, 20 aprile 2017, n. 28187; Cass. pen., sez. IV, 18 giugno 2013, n. 39165; Cass. pen., sez. IV, 11 luglio 2012, n. 35922). Non è questa la sede per affrontare i temi della valenza delle linee guida e delle raccomandazioni, che possono assurgere a parametri di valutazione di correttezza dell'operato medico, sino ad oggettivizzarne la colpa, pur ribadendosi la non vincolatività e la piena autonomia decisionale del medico (sia consentito rinviare a A. BENNI de SENA, "Tachipirina e vigile attesa”: cure domiciliari dei pazienti Covid alla luce della sentenza del Consiglio di Stato, in IUS Responsabilità civile, 9 giugno 2022). Il medico deve dimostrare di conoscerle, di averle esaminate criticamente all'atto della scelta diagnostica o terapeutica, sia quando si sia ad esse uniformato, sia quando se ne sia discostato, così da assicurare in modo trasparente il grado di perizia richiesto e la diligenza da «valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata» (art. 1176, comma 2 c.c.), considerando diversi fattori come la diagnosi del paziente, il suo stato di salute generale, eventuali allergie o interazioni farmacologiche, nonché le linee guida cliniche e le evidenze scientifiche disponibili. Così il medico può agire in scienza e coscienza, in autonomia e sotto la sua responsabilità. «Posto che le linee guida in materia di farmaci hanno, tra l'altro, la finalità di evitare sprechi dovuti all'eccesso di prescrizioni da parte della classe medica, non è ravvisabile la condotta illecita del medico di famiglia che, nel trattare un determinato caso, prescriva farmaci oltre i limiti indicati dalle linee guida, per una volta soltanto e, quindi, senza reiterazione della condotta, e se il caso concreto ne giustifica un discostamento dai parametri ideali, tenuto altresì conto che un'interpretazione troppo rigorosa del valore delle linee guida e degli effetti di eventuali violazioni delle relative prescrizioni o indicazioni appare pericolosa rispetto alle esigenze di tutela del diritto alla salute tutelato dall'art. 32 Cost., potendo porre il medico di fronte a dubbi di difficile soluzione tra il timore di responsabilità nei confronti dei pazienti e rischi di trattenute sullo stipendio conseguenti a prescrizioni che egli ritiene necessarie nel caso di specie, ma non conformi alle linee guida» (Tribunale Lecce sez. lav., 16/04/2019, n. 1753). Rischi e criticità dell'appropriatezza delle prescrizioni mediche. Salute e bilancio Il bilanciamento tra esigenze di bilancio e tutela della salute sembra essere difficile, soprattutto nel contesto attuale, ove gli “animi sono esasperati”. Da una parte vi è il personale medico e sanitario (nel settore pubblico) sotto stress, con rischio di burnout e conseguente pericolo di commettere errori e cagionare danni ai pazienti. Dall'altra, i pazienti che, se non possono permettersi le cure private, cadono nel limbo delle liste d'attesa. Soprassediamo sulle sempre maggiori aggressioni al personale medico-sanitario oggetto di cronaca, sintomo di un problema ormai ineludibile. Il primo rischio di non comprendere esattamente i termini della questione è porre in conflitto tutela della salute ed esigenza di bilancio. In realtà, le diverse esigenze esprimono aspetti diversi, che non devono essere giustapposti, pena sì sacrificare l'uno a discapito dell'altro. Come visto, quando si parla di appropriatezza di prescrizioni mediche, di regola non si parla di responsabilità medica in senso stretto, ossia per prescrizione di farmaci o esami pericolosi o dannosi per la salute fonte di responsabilità civile, ma di sistemi di controllo della spesa pubblica e di gestione delle liste d'attesa, che hanno un costo. Se l'appropriatezza (che riguarda aspetti di sostenibilità economica) diventa anche il “faro” per dirigere l'azione sanitaria, allora sì che l'art. 32 Cost. rischia di divenire cedevole. Così non può essere. Infatti, la sanità (pubblica) e il relativo bilancio devono avere il medesimo scopo, ovvero la tutela della salute individuale e collettiva. Dunque, salute individuale e pubblica da un lato ed esigenze di bilancio dall'altra non sono in antitesi. Lo diventano se si pone malamente il problema, creando giustapposizioni. Altro rischio strettamente connesso ad un'impostazione errata è che il bene salute venga considerato negoziabile o disponibile. Invero, tale impostazione mentale è già presente: nella generalità dei casi, parlando con pazienti e addetti ai lavori troppo spesso si tende a giustificare, rassegnati, la situazione perché c'è carenza di personale e risorse nella sanità pubblica. Ebbene, tale impostazione sottende all'accettazione dell'idea che la salute sia un bene negoziabile o disponibile: le esigenze di bilancio prevalgono sulla salute. Così non deve essere, di fronte al diritto inviolabile alla salute, bene primario, diritto costituzionalmente garantito, irretrattabile ed indisponibile (Cass. civ., sez. III, 30 agosto 2013, n. 19963 in tema di RCA e clausola di guida esclusiva; Cass. civ., sez. lav., 1° luglio 2011, n. 14507 sugli obblighi del datore di lavoro; Trib. Napoli, sez. VIII, 27 settembre 2023, n. 8779 in tema di responsabilità medica; come bene primario, ex multis, Corte Cost., 19 dicembre 2003, n. 361). La Corte Costituzionale ha ripetutamente affermato che la salute rappresenta, in forza dell'art. 32 Cost., un bene primario e fondamentale che impone piena ed esaustiva tutela (Corte Cost., 31 luglio 1990, n. 396; Corte Cost., 27 ottobre 1988, n. 992: «Il bene della salute umana rappresenta, ai sensi dell'art. 32 Cost., un diritto primario fondamentale che impone piena ed esaustiva tutela; pertanto, gli art. 32, comma 4 l. 27 dicembre 1983 n. 730 e 15 l. 22 dicembre 1984 n. 887 sono incostituzionali, per violazione dell'art. 32 cit., nella parte in cui non hanno consentito, con le modalità contemplate ai fini dell'assunzione della spesa a carico del servizio sanitario nazionale, l'eseguibilità delle prestazioni di diagnostica specialistica ad alto costo anche presso strutture private non convenzionate, allorché queste ultime siano le uniche detentrici delle relative apparecchiature e gli inerenti accertamenti risultino indispensabili»). «Gli accordi contrattuali recanti l'indicazione di limiti di spesa finalizzati ad assicurare la razionalizzazione della spesa sanitaria, se rilevanti tra le parti contraenti, non possono assumere valore ex art. 1372 c.c. nei confronti dei minori disabili che si trovano nelle condizioni previste dalla legge n. 833/1978, art. 26, in quanto questi ultimi, da un lato, sono soggetti terzi rispetto all'accordo contrattuale, ma, dall'altro, sono titolari di un diritto fondamentale – alla salute - costituzionalmente garantito dall'art. 32 Cost.. Tali limiti di spesa non possono incidere sul diritto alla prestazione in sé e per sé, trattandosi di diritto primario inerente al bene fondamentale della salute, garantito dalle norme costituzionali e dalle disposizioni generali dell'ordinamento sanitario» (Trib. Bari, sez. lav., 17 luglio 2018). Ed ancora. «Le disposizioni finalizzate ad assicurare la razionalizzazione della spesa sanitaria, al duplice fine di garantire prestazioni adeguate per tutti contenendo gli oneri per la collettività, si risolvono in norme di azione amministrativa, che creano vincoli di gestione per gli amministratori, ed assumono rilevanza nei confronti degli utenti del servizio sanitario solo nei limiti in cui coinvolgano l'esercizio del potere di auto-organizzazione dell'ente pubblico. Pertanto, i limiti di spesa che ne risultano non possono incidere sul diritto alla prestazione in sé e per sé, trattandosi di diritto primario inerente al bene fondamentale della salute e della vita di ogni individuo, garantito dalle norme costituzionali e dalle disposizioni generali dell'ordinamento giuridico e sanitario, potendo incidere solo sulle modalità di erogazione della prestazione, o nel senso di limitare il diritto di scelta del singolo o nel senso di chiamare gli assistiti a contribuire alla spesa» (Trib. Bari sez. II, 3 novembre 2008, n. 2483). «La tutela del bene primario della salute va contemperata con il perseguimento degli altri valori costituzionalmente protetti, ivi compreso quello attinente alla conservazione degli equilibri della finanza pubblica, tenendo conto delle risorse disponibili, che non sono ovviamente illimitate, ma che vanno piuttosto razionalmente calibrate ed impiegate proprio per garantire la massimizzazione dei benefici ricavabili a vantaggio degli interessi pubblici e collettivi connessi allo svolgimento del Servizio Sanitario, ne consegue che la determinazione dei criteri e dei limiti per la valutazione della produttività delle strutture ospedaliere dipende da un apprezzamento latamente discrezionale rientrante nella competente responsabilità decisionale delle autorità preposte al governo del servizio sanitario e quindi non è suscettibile di un sindacato nel merito innanzi al giudice amministrativo» (T.A.R. Napoli, Campania, sez. I, 18 marzo 2008, n. 1372). Dunque, le esigenze di bilancio devono essere indirizzate a tutelare (concretamente e fattivamente) il bene salute, ossia devono essere a questo funzionali. È compito del legislatore, nella attuazione positiva degli interessi tutelati, il contemperamento della tutela del bene primario della salute con gli altri criteri costituzionalmente protetti, tenuto conto dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore incontra in relazione alle esigenze organizzative e finanziarie di cui al momento dispone: Corte Cost., 3 giugno 1992, n. 247, che ha ritenuto inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 25, ult. comma, l. n. 833/1978 («Istituzione del servizio sanitario nazionale») e art. 1 della legge reg. Liguria 14 dicembre 1976 n. 41 («Norme modificative ed integrative in materia di assistenza ospedaliera») sollevata in riferimento agli art. 3 e 32 cost., nella parte in cui non prevedono l'obbligo del rimborso integrale della spesa - ma soltanto un contributo - per prestazioni sanitarie e di ricovero ospedaliero effettuate all'estero. Infine, altro rischio risiede nella rottura del rapporto di fiducia medico-paziente. Questo rapporto è profondamente mutato, oltre che per la rivoluzione copernicana del consenso informato, oggi anche per la sfiducia che si è creata, a causa delle disfunzioni della sanità pubblica, come pure a causa di informazioni auto-reperite in internet. Ricordo un detto che ripeteva mia nonna: «Chi sa governare se stesso, governa un bel castello». Ritengo che questo detto di antica saggezza mantenga tutta la sua verità. Tuttavia, mi spinge ad interrogarmi se, con riferimento specifico al tema trattato, il generale stato critico della sanità pubblica possa spingere i pazienti a cercare la tutela della salute altrove, fissando sempre più la scissione con la scienza e con i medici in particolare, nell'illusione di “governare un bel castello facendo da sé”. Detto diversamente, un sistema efficiente e funzionale alla tutela dei beni primari allontana il pericolo di derive arbitrarie ed irrazionali, favorendo invece il rapporto medico-paziente. Quanto al giudizio di appropriatezza, questo si espone a diverse criticità:
Sotto quest'ultimo aspetto si riporta un caso concreto:
Come si vede, le diverse possibili valutazioni sulla appropriatezza della prescrizione medica di visite ed esami possono risultare diverse a seconda di chi le compie. Un fisiatra potrebbe ritenere non appropriata o eccessiva la valutazione del radiologo, del MMG o dell'ortopedico, nel rispetto nella specifica competenza. Non si vuol dire che l'uno o l'altro abbia sbagliato, ma che, nella rispettiva valutazione, la prospettiva può essere diversa: così, pur in presenza di una obiettiva lesione, nella fase di regressione, il fisiatra non può che rilevare una ottima mobilità, il che non significa assenza o errata valutazione del quadro clinico di ciascun medico coinvolto. In conclusione Il tema della appropriatezza della prescrizione medica è innegabile, riguarda specialmente aspetti di controllo e bilancio, che non possono dettare i criteri di tutela della salute, ma devono essere a questa funzionali. Dai dati riferiti nei convegni, risulta che una certa percentuale di esami rivelatasi ex post non appropriati riguardasse esami “seri” (colonscopie, etc.). Il dato è d’effetto, ma richiede un ulteriore chiarimento: trattandosi di esami molto invasivi, non si può pensare che i medici (anche specialisti) abbiano prescritto simili esami con “leggerezza”. Se così fosse, allora sì vi sarebbe spazio per un errore diagnostico e prescrittivo. Diversamente, è da chiedersi se l’esame abbia ex post smentito una diagnosi nefasta, ma necessaria per appurare il reale stato di salute, così tutelando questo bene primario: in presenza di sintomi e quadro clinico sospetto, l’esame è stato correttamente prescritto nella valutazione ex ante. Il medico potrà dimostrare l'appropriatezza prescrittiva, considerando diversi fattori come la diagnosi del paziente, il suo stato di salute generale, eventuali allergie o interazioni farmacologiche, nonché le linee guida cliniche e le evidenze scientifiche disponibili. La verifica di appropriatezza deve muoversi su regole di responsabilità certe, ragionevoli e riferite al momento della prescrizione. Diversamente, introducendo limiti o verifiche preventive ed astratte, si riproporrà il rischio di una medicina semplificata, meccanica e stereotipata, ove il medico sarà “bloccato” per il timore di esporsi a censure ogni casa faccia, attenendosi rigidamente a linee guida in uno stato di attesa immobile dell’evoluzione clinica. In questo senso, vi è il rischio di passare da una medicina difensiva ad una forma involuta di medicina “inerte”. Il medico deve essere messo nelle condizioni di poter lavorare e svolgere la sua professione, anche evitando carichi di lavoro e burocratici eccessivi che sottraggono tempo e forze all’esercizio dell’attività medica e di cura. Questo dimostra, ove ce ne fosse bisogno, che non stiamo parlando di entità astratte (doveri di cura, etc.) fini a se stesse, ma di osservanza di regole e rispetto di doveri strumentali alla concreta tutela di un bene superiore (la salute individuale e pubblica). In questo senso, medico e paziente stanno dalla stessa parte e non devono porsi in contrapposizione o, meglio, non devono essere posti in conflitto dall’assenza di risorse economiche strutturali. Solo così, si può ricucire il rapporto medico-paziente e, soprattutto, tutelare il bene sostanziale «salute». |