Delocalizzazione dell’attività produttiva in Paesi extra-UE: è illegittima se finalizzata ad eludere dazi doganali
28 Novembre 2024
Nel 2018, l'azienda H. D. è stata coinvolta nella guerra dei dazi tra Stati Uniti e Unione europea a causa dell'imposizione di dazi aggiuntivi sulle importazioni di acciaio e alluminio dall'UE. L'Unione europea ha risposto prevedendo dei dazi supplementari sui motocicli di cilindrata superiore a 800 cm³, costringendo l'azienda H. D. a trasferire la produzione dei motocicli destinati all'Europa dalla dagli Stati Uniti alla Thailandia per evitare i predetti costi aggiuntivi. Nonostante un parere contrario della Commissione europea, le autorità doganali belghe, a seguito di richiesta da parte della società, hanno riconosciuto l'origine thailandese dei motocicli con due decisioni IVO (Informazione vincolante sull'origine). La Commissione ha tuttavia ordinato alla Belgio di revocare tali decisioni, sostenendo che la delocalizzazione non fosse giustificata economicamente ai sensi dell'art. 33 Regolamento (UE) 2446/2015. La società H. D. ha presentato ricorso al Tribunale europeo, ma quest'ultimo ha confermato che la trasformazione non è economica se mira ad evitare l'applicazione di misure dell'Unione europea. La Corte di giustizia, nella sentenza del 21 novembre 2024, ha confermato la posizione della Commissione europea in base all'art. 33 Regolamento (UE) 2446/2015 il quale dispone che «un'operazione di trasformazione o lavorazione effettuata in un altro paese o territorio non è considerata economicamente giustificata se, sulla base degli elementi disponibili, risulta che lo scopo di tale operazione era quello di evitare l'applicazione delle misure di cui all'articolo 59 del codice». La Corte, esaminando i tre principali argomenti sollevati dalla società ricorrente, è concorde nel ritenere che il trasferimento della produzione in Thailandia aveva lo scopo principale di eludere i dazi dell'Unione. Ricorda, infatti, che il concetto di "lavorazione economicamente giustificata", va valutato secondo elementi oggettivi e verificabili al momento dell'operazione. I giudici di Lussemburgo hanno inoltre dichiarato che l'art. 33 in questione è conforme ai principi dell'Unione, e non presuppone l'elusione tariffaria, ma richiede all'operatore di dimostrare che l'operazione aveva intenti diversi. Infine, sulla presunta violazione del diritto a una buona amministrazione, pur riconoscendo lacune procedurali, la Corte ha sostenuto che queste non hanno avuto un impatto significativo sull'esito, considerando le prove a disposizione e l'intento elusivo delle operazioni in discussione. |