Ammissibilità della revocazione del giudicato amministrativo per contrarietà alla CEDU e alle sentenze della Corte di giustizia UE
04 Dicembre 2024
La previsione di cui all'art. 391-quater del c.p.c. (caso di revocazione di una sentenza divenuta definitiva, allorquando sia in contrasto con una decisione della CEDU sopravvenuta) è applicabile al processo amministrativo, in quanto anche nelle controversie devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo può venire in gioco un pregiudizio di un diritto di stato della persona. Diversamente, la previsione di cui all'art.391quater del c.p.c. non è operante anche in caso di contrasto tra giudicato amministrativo e una sentenza della Corte di Giustizia dell'U.E. Il dato letterale della disposizione contenuta nel codice di procedura civile esclude la possibilità di estendere la sua applicazione a un caso diverso e non contemplato e poi di esportare tale estensione nel processo amministrativo, in quanto così operando si introdurrebbe, in sede interpretativa, una nuova ipotesi di revocazione forzando la volontà del legislatore, che ha espressamente confinato l'applicazione della previsione di cui all'art.391quater del c.p.c. al solo contrasto di una sentenza definitiva con una decisione sopravvenuta della Corte EDU. L'art.391 quater è stato infatti introdotto nel codice di procedura civile, in forza del d.lgs. n. 149 del 2022, per colmare una lacuna dell'ordinamento – evidenziata anche dalla Corte Costituzionale nelle due sentenze nn.123 del 2017 e 93 del 2018, rispettivamente riguardanti il processo amministrativo e quello civile – allorquando, pur avendo ottenuto una pronuncia favorevole sopravvenuta della CEDU, il titolare della situazione soggettiva tutelata dalla Convenzione non avesse a conseguire un serio ristoro per il pregiudizio subìto dalla decisione negativa del giudice nazionale. Il minus di difesa che la parte subiva rappresentava peraltro l'inevitabile conseguenza della peculiare tecnica di tutela approntata alle situazioni soggettive euro-convenzionali, che ha carattere sussidiario e residuale, potendo la parte azionare la relativa pretesa dinanzi alla CEDU, in forza dell'articolo 35 della Convenzione europea, solo dopo aver esperito tutte le possibili vie di tutela giurisdizionale messe a disposizione dall'ordinamento statale al cui interno si verifica la lesione. Queste peculiarità del rimedio convenzionale, invece, non si rinvengono nel sistema che disciplina l'adizione della Corte di giustizia dell'U.E. la quale può essere richiesta dalla parte processuale, a tutela delle proprie pretese, in ogni grado ed in ogni tempo ai sensi dell'art.267 del TFUE, per il tramite del rinvio pregiudiziale, che diviene obbligatorio, ai sensi del comma 3 della medesima disposizione, per il giudice di ultima istanza, salvo vi sia la possibilità della cd.“interpretazione conforme” o si possa applicare la c.d. giurisprudenza Cilfit se la questione è materialmente identica ad altra già decisa dalla Corte, o se comunque il precedente risolve il punto di diritto controverso (e il contesto eventualmente nuovo non sollevi alcun dubbio reale circa la possibilità di applicare tale giurisprudenza), o se la corretta applicazione del diritto comunitario può imporsi con tale evidenza da non lasciar adito a nessun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata. Del resto, un'efficace forma di tutela delle posizioni unionali è assicurata attraverso il meccanismo della disapplicazione delle norme di legge statali in contrasto con i principi unionali. Pertanto, la radicale diversità dei meccanismi di tutela dei due sistemi esclude che, anche con riferimento a quello U.E., sia riscontrabile una lacuna consimile a quella riscontrata in relazione all'ordinamento CEDU, e, dunque, dimostra, già di per sé, la mancanza di eadem ratio che sola giustificherebbe un'applicazione analogica verticale dell'art.391 quater c.p.c., ossia l'operatività dell'eadem dispositio. |