Omesso deposito della sentenza appellata: una questione di decadenza o di effettività della tutela giurisdizionale?
16 Gennaio 2025
La ratio della disposizione in esame è duplice. La sentenza rappresenta l'oggetto del giudizio di impugnazione e costituisce un elemento essenziale per consentire al giudice una rapida valutazione dell'ammissibilità e del merito del gravame. L'immediata disponibilità della pronuncia impugnata è, dunque, indispensabile per applicare anche gli strumenti acceleratori previsti dal codice, come l'art. 60 (decisione immediata in sede cautelare) e l'art. 72-bis (definizione per manifesta inammissibilità). Invero: «la previsione dell'art. 94 c.p.a. risponde a esigenze di ordine pubblico processuale, che non possono essere disattese senza pregiudicare la funzionalità del rito e l'interesse generale alla definizione celere e ordinata delle controversie» (tra le molte, Cons. Stato, n. 4548/2024). Secondo l'orientamento tradizionale, l'omesso o tardivo deposito della sentenza di primo grado comporta l'inammissibilità dell'appello, in quanto l'onere previsto dall'art. 94 c.p.a. è inderogabile e sanzionato con la decadenza. Tale impostazione è sostanzialmente fondata su una interpretazione letterale che la giurisprudenza ha conferito all'avverbio « unitamente » implicando una contestualità perentoria tra il deposito del ricorso e della sentenza appellata. A tale aspetto si aggiunge la necessità di tutelare l'efficienza e della funzionalità del processo, cui la sanzione della decadenza è preordinata, nonché il principio di autosufficienza che nel processo amministrativo (come anche in quello civile) prevede che l'appellante sia tenuto a fornire tutti gli elementi necessari al giudice per una valutazione immediata e completa del gravame. L'orientamento tradizionale, quindi, ben rappresentato dalla risalente Adunanza Plenaria n. 20/1982, afferma che l'omesso deposito della sentenza di primo grado entro il termine perentorio imposto dall'art. 94 c.p.a. comporta l'immediata inammissibilità del ricorso in appello, senza possibilità di sanatoria. La pronuncia è particolarmente netta: «l'onere dell'appellante di depositare copia autentica della sentenza impugnata nel termine di cui all'art. 94 c.p.a. è funzionale a garantire ordine pubblico processuale e non può essere eluso né surrogato da attività del giudice. La sanzione dell'inammissibilità non è eccessiva, ma costituisce la diretta conseguenza della violazione di un precetto essenziale per la tempestiva instaurazione del contraddittorio in grado d'appello.» L'approccio della Plenaria si fonda su un principio di certezza processuale: la perentorietà del termine è finalizzata a impedire ritardi e a garantire la celerità del giudizio di appello. La stessa impostazione viene ribadita nella sentenza n. 3154/2024 che sottolinea come il rispetto del termine risponda a esigenze di funzionalità del rito: «l'inosservanza dell'art. 94 c.p.a. non può essere considerata una mera irregolarità, giacché impedisce al giudice di applicare le disposizioni di definizione accelerata del giudizio (artt. 60 e 72-bis c.p.a.), compromettendo l'efficienza del processo». Anche il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia, sentenza n. 956/2022 giunge alle medesime conclusioni: «il tempestivo deposito della sentenza di primo grado costituisce un requisito imprescindibile per l'ammissibilità del ricorso in appello: ogni diversa interpretazione finirebbe per vanificare il principio di autosufficienza dell'impugnazione». Questa impostazione, pur garantendo la certezza del rito, si espone al rischio di eccessivo formalismo, che potrebbe sacrificare la sostanza del diritto di difesa a fronte di una violazione meramente formale. Tuttavia, va riconosciuto che il rigore della sanzione risponde all'esigenza di garantire parità di trattamento tra le parti e di preservare la celerità processuale, soprattutto in un sistema in cui il sovraccarico dei tribunali richiede soluzioni rapide e definite. Se tale è un primo orientamento, occorre segnalare che una seconda interpretazione, negli ultimi anni, si sta facendo strada, incentrata sulla ragionevolezza e incidenza del PAT. A fronte di tale impostazione, un orientamento più recente, invero, propone una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 94 c.p.a., valorizzando i principi di:
Questa posizione si avvantaggia nella sua possibile fondatezza altresì da una constatazione pratica e tecnica: con l'introduzione del processo amministrativo telematico (PAT), il giudice d'appello può accedere direttamente al fascicolo telematico di primo grado. In tal senso, il mancato deposito della sentenza non pregiudicherebbe la funzione del rito. A partire infatti dagli ultimi anni, una parte della giurisprudenza ha iniziato a rivalutare l'interpretazione rigorosa dell'art. 94 c.p.a., in un'ottica più conforme ai principi costituzionali di ragionevolezza (art. 3 Cost.), effettività della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.) e proporzionalità della sanzione processuale. La sentenza del Consiglio di Stato n. 4542/2024 è una delle più significative in questa prospettiva: «l'attuale sistema del processo amministrativo telematico consente al giudice d'appello di accedere direttamente al fascicolo di primo grado. In tale contesto, l'omesso deposito della sentenza non può più essere considerato una violazione insanabile, bensì una mera irregolarità sanabile, previa assegnazione di un termine per l'integrazione dell'adempimento». Il passaggio chiave della sentenza richiama la necessità di bilanciare formalismo e sostanza, affermando che: «la sanzione dell'inammissibilità per violazioni meramente formali rischia di risultare sproporzionata rispetto alla lesione effettiva del contraddittorio o delle prerogative del giudice». Questa posizione è condivisa anche nella sentenza Cons. Stato n. 4548/2024 che evidenzia come il processo amministrativo telematico abbia modificato radicalmente la funzione del deposito cartaceo: «l'onere imposto dall'art. 94 c.p.a. deve essere reinterpretato alla luce delle regole tecniche del PAT, che consentono l'acquisizione d'ufficio della sentenza. La decadenza automatica appare, pertanto, contraria al principio di effettività della tutela giurisdizionale». Il nodo interpretativo, come rilevato dalla Sezione Seconda, si riassume, dunque, nel seguente quesito: «se l'onere di deposito della sentenza di primo grado entro trenta giorni dall'ultima notificazione, stabilito dall'art. 94 c.p.a., sia previsto a pena di decadenza, con la conseguenza che, in caso d'inadempimento, l'appello deve essere dichiarato inammissibile, ovvero se la disposizione debba essere intesa, in un'ottica costituzionalmente orientata, nel senso che l'onere non è previsto a pena di decadenza e può dunque essere assolto mediante un deposito tardivo ovvero surrogato dalla trasmissione del fascicolo di primo grado». La decisione dell'Adunanza Plenaria avrà un impatto rilevante sul processo amministrativo, stabilendo se l'art. 94 c.p.a. debba essere applicato secondo un approccio rigoroso, a tutela della certezza e della celerità processuale, o secondo un'interpretazione flessibile, volta a valorizzare i principi costituzionali e le opportunità offerte dal processo telematico. L'esito sarà determinante per il bilanciamento tra formalismo processuale e tutela effettiva dei diritti, delineando i confini della decadenza nel processo amministrativo contemporaneo. (fonte: dirittoegiustizia.it) |